Sanremo: come sopravvivere al Festival
È il Nirvana della canzone e vi hanno suonato tutti (tranne i Nirvana). Un’esperienza che i temerari accettano, perché uscirne indenni è possibile…
Di laRegione
Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, disponibile anche nelle cassette di 20 Minuti per tutto il fine settimana.
Col Festival di Sanremo, in Italia, ci si nasce. La manifestazione, inizialmente radiofonica poi radiofonico-televisiva, infine più televisiva che radiofonica, si tramanda dal 1951 tramite plagio involontario di madre in figlio (il padre italiano, invece, tramanda la Domenica Sportiva). Prima di scoprire De André, gli AC/ DC, Miles Davis (alcuni) e quel fitto mistero chiamato «ragazze» (molti di più), è la mamma che canta i ritornelli dalla cucina a far nascere la vocazione per il Festival: solo gli illuminati, però, riusciranno a seguirlo ogni anno, chiedendosi a ogni edizione, una volta divenuti adulti: «Ma perché lo faccio?» (e trovando risposta in uno di quegli assunti che vanno bene per spiegare un po’ tutto, dalla religione fino alla dieta vegana: «Perché così è deciso»).
Il Festival è nato con l’intento di scuo- tere i sanremesi dall’atavica pigrizia in materia di promozione turistica. A distanza di decenni, si può dire che gli ideatori ci avevano visto lungo. Digitando «Sanremo» su booking.com, una volta resa nota la settimana in cui si svolgerà la gara canora, si scoprirà che il 95% delle strutture sono già occupate. Ma con poco meno di 10mila euro si può ancora trovare un posto all’Hotel Royal per la prossima settimana (qualcuno deve aver rinunciato, forse un fan di Al Bano che, stranamente, quest’anno non è in gara).
C’è chi, di gare canore televisive, non ne può più. Comprensibilmente. Ma ci sono anche gli snob, ai quali Sanremo fa molto «popolino». Non sono pochi gli snob che, pur rinnegandolo come Giuda seduto sul divano dell’Ultima cena, Sanremo lo guardano. Di nascosto, ma lo guardano. E si tradiscono con alcune giustificazioni, ivi riassunte in ordine crescente di poca credibilità: 7° posto: «Ieri sera facevo zapping e per caso sono finito sulla Rai». 6°: «Mah, ho visto qualche cosa, ma di sfuggita». 5°: «Ho visto l’inizio e poi ho girato». 4°: «A quell’ora già dormo». Sul podio. 3°: «Sai com’è, coi bambini la vita ti cambia». 2°: «Ah, è cominciato? Ma dai, e quando?». 1°: «Non abbiamo la TV».
C’è chi un giorno ha deciso di guardare il Festival di Sanremo seguendo il consiglio di Enrico IV d’Inghilterra, per il quale il modo migliore per sconfiggere il nemico è quello di farselo amico. Sanremo inizia di martedì, finisce sabato e, compreso il Dopofestival, può durare fino a 6 ore a notte, inclusi telegiornale e pubblicità. Sono da prevedersi almeno 2 soste alla toilette – o più di 2, superati i 50 anni –, soste che si potrebbero concentrare durante le interruzioni pubblicitarie, ma si rischierebbe di fare le cose di fretta; meglio attendere l’ospite americano che viene tutti gli anni e che in una ventina di minuti (utili per qualsiasi tipo di urgenza fisiologica) sale sul palco dell’Ariston, loda la pizza, gli spaghetti, le donne mediterranee e poi se ne va storpiando «Volllare» (che, lui non lo sa, s’intitola «Nel blu dipinto di blu»).
Per ingannare il tempo durante le esibizioni si può trovare conforto nella rete, unendosi ai gruppi di ascolto per commentare anche soltanto i vestiti dei cantanti (o i loro lifting). Per i leoni da tastiera esistono gruppi del tipo «L’Italia va a fondo e questi cantano» (di Sanremo si diceva così anche nell’Italia del boom economico). Tra i diversivi più motivanti c’è senz’altro il gioco dei pronostici, una sorta di scheda elettorale nella quale ognuno scrive in anticipo i primi 3 posti; le schede compilate vanno poi riposte in un’urna e aperte a Festival concluso, per vedere chi in famiglia ci ha preso. Ma si può giocare anche da sé, per testare quanto si capisce di musica (e quanto si è soli).
Superate le complessive 24 ore di TV spalmate su 5 giorni, quando arriva il sabato sera il telespettatore è assalito da una forma lieve di rassegnazione: «Sono arrivato sin qui, che senso avrebbe non vedere la finale?». Quando, intorno alle due del mattino dopo, il presentatore si congeda, in casa regna la stanchezza tipica dei matrimoni con pranzo e cena. Dopo una settimana di canzoni, già di domenica pomeriggio i cantanti sono ovunque a promuoverle. È solo allora, intrappolato in quello che pare il labirinto di Shining, che il telespettatore capisce che la citazione corretta non è quella di Enrico IV d’Inghilterra, bensì quella del poeta libanese Khalil Gibran: «Sarai completamente in pace con il tuo nemico solo quando morirete entrambi»
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1. The Economist
«Non si capisce proprio perché gli italiani vadano così pazzi per un festival che sta al confine con la Francia».
2. Edoardo Bennato
«È il circo Barnum degli impresari».
3. Fabrizio De André
«Se si trattasse di un fatto di corde vocali, la si potrebbe ancora considerare una competizione quasi sportiva, perché le corde vocali sono pure sempre dei muscoli. Nel caso mio, dovrei andare a esprimere i miei sentimenti, o la tecnica attraverso i quali io riesco a esprimerli, e credo che questo non possa essere argomento di competizione».
4. Ennio Flaiano
«Non ho mai visto niente di più anchilosato, rabberciato, futile, vanitoso, lercio e interessato».
5. Daniele Luttazzi
«Vincere a Sanremo è molto utile. Per due settimane hai una buona risposta se qualcuno chiede: ’Novità?’».
6. Rino Gaetano
«Sanremo non significa niente, e non a caso io ho partecipato con ‘Gianna‘, che non significa niente» .
7. Luigi Tenco
«Faccio questo non perché sono stanco della vita (tutt’altro) ma come atto di protesta contro un pubblico che manda ‘Io tu e le rose’ in finale e una commissione che seleziona ‘La rivoluzione’. Spero che serva a chiarire le idee a qualcuno».