Di carne viva dipinta

Breve, anzi brevissima rassegna di dipinti che hanno quale soggetto principale la carne, dal Medioevo a un insospettabile Monet
Di Red.Ticino7
Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, allegato a laRegione
Fra gli ingredienti primari della cucina di tutto il mondo, la carne e il fatto di prepararla raccontano non poco della nostra storia (ed evoluzione), legandoci strettamente a un passato antico fatto di caccia per la sopravvivenza. Per tutte queste, ma anche altre ragioni, non poteva quindi – la carne – non essere soggetto d’arte.
È fuor di dubbio che nella tradizione culinaria e nella cultura popolare, la carne occupi un posto di preminenza, raccontando parte della nostra storia, anche evolutiva. In cucina, è materia prima pregiata e protagonista di innumerevoli piatti tradizionali: la carne è al contempo simbolo e allegoria di vita e morte, forza e pure ricchezza, abbondanza, agiatezza, finanche potere; determinando uno status symbol che richiama il lato atavico, primitivo dell’essere umano. Ma non ci dedichiamo qui né a questioni di antropologia alimentare, né a tagli, cotture e ricette… non si tratta di cucina tout court, bensì della rappresentazione della carne sulla tela, assurgendo a materia pittorica. In un brevissimo e per nulla esauriente excursus vediamo come il tema abbia alimentato immaginario e iconografia della pittura, divenendo un vero e proprio topos, capace di darci chiavi di lettura della società.
Caro, carnem, carnis
Le raffigurazioni della carne nell’arte variano molto, passando da quelle realistiche di animali macellati a immagini simboliche. Nelle diverse rappresentazioni – dalle nature morte alla pittura di genere (sviluppatasi soprattutto in Nord Europa e nei Paesi Bassi, dedicata a scene di vita quotidiana, dai mercati alle faccende domestiche o feste) –, la carne è sia rappresentazione d’abbondanza e ricchezza, sia sinonimo di caducità della vita, che spinge alla riflessione sulla precarietà dell’esistenza, in particolare umana.
Nei codici miniati medievali (p. es. i Tacuina sanitatis, vale a dire manuali di scienza medica che descrivevano e miniavano i sei argomenti per mantenersi in salute, come cibo e bevande, movimento e riposo, aria buona, sonno e regolazione dei sentimenti) venivano rappresentate botteghe di macellai per raccontare la quotidianità e i commerci del tempo, così come appunto le maestrie.
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Tacuina casanatense, Roma
E grazie a quelle opere sono giunte fino a noi le rappresentazioni di come eravamo e di come si svolgevano i mestieri: gesti che rinnoviamo quotidianamente dalla notte dei tempi. Quello del macellaio, non si svela nulla di sconvolgente, è antichissimo (le mani ce le hanno messe anche nella Preistoria) e originariamente legato ai sacerdoti che, nei rituali, compivano sacrifici animali. In epoca medievale, il macellaio perde la funzione religiosa, acquisendo però un ruolo nel commercio, seppur mestiere allora umile, (si rimanda all’arte dei beccai, una delle corporazioni di arti e mestieri fiorentine, istituita nel XIII sec., facente parte delle quattordici arti minori, insieme a vinattieri, calzolai, fabbri…), evolvendo fino ai giorni nostri.
Dalle scene di cucina, macelleria ai primi piani
Nei secoli a venire, molti pittori (si intendono quelli europei) si sono quindi dedicati alla carne (e alla macelleria) trasponendola su tela, un soggetto che ha una storia ricca e complessa, come si abbozzava poco sopra. Chiusi i codici medievali e facendo balzi spregiudicati in avanti nel tempo, nelle nature morte e/o nelle scene di genere, si trovano soprattutto banchi di macelleria dove l’uomo e il suo lavoro sono ancora ben presenti, lasciando, in alcuni casi, il primo piano alla carne (rappresentata con dovizia di particolari), come nell’olio su tavola del pittore olandese Pieter Aertsen (1508-1575), detto Langhe Peter, Banco di macelleria (1551) custodito dalla Collezione d’arte dell’Università di Uppsala. La tavola è considerata una delle prime rappresentazioni delle scene di mercato, proprio per la preminenza di carni appese, salumi, teste… mentre l’elemento umano è relegato nei piani subalterni, con una biblica Fuga in Egitto sullo sfondo (nella parte sinistra della composizione) e poco più avanti, sulla destra, il lavoro di macelleria.
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Pieter Aertsen, ‘Banco di macelleria’, 1551, Uppsala
Da Nord si scende a Sud, dove, pochi anni più tardi, il pittore nato a Bologna Annibale Carracci (1560-1609) realizza l’olio su tela Bottega del macellaio (1585; conservato alla Christ Church Gallery di Oxford), una rappresentazione obiettiva e realistica dei beccai al lavoro, qui in primissimo piano, in mezzo a carcasse appese, pronti a tagliare, riporre e pesare. La composizione della tela, si legge, apporta alcuni elementi originali, come la raffigurazione intera delle persone, che non si ritrova per esempio nella Macelleria (~1580, custodita alla Galleria nazionale d’arte antica a Roma) di pittore bolognese un po’ più vecchio, Bartolomeo Passerotti (1529-1592), che realizza un interno con i macellai a mezzo busto intenti a guardarci fisso negli occhi mostrandoci la loro mercanzia.
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Annibale Carracci, ‘Bottega del macellaio’, 1585, Oxford
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Bartolomeo Passerotti, ‘Macelleria’, ~1580, Roma
Una sessantina d’anni dopo, su una tela di formato discreto, il celebre pittore olandese Rembrandt Harmenszoon Van Rijn (1606-1669) dipinge un Bue macellato (1655, Musée du Louvre, Parigi): qui il topos figurativo della carcassa di bovino, collocato nel filone delle scene di cucina, è protagonista assoluto, niente gli ruba la scena, neppure la donna sullo sfondo che pare far parte della muratura. Concludiamo questa minimissima rassegna pittorica con un insospettabile (almeno per chi scrive) Claude Monet (1840-1926), pittore impressionista francese arcinoto per i suoi Déjeuner sur l’herbe, la Cattedrale di Rouen in pieno sole, le Ninfee… che nel 1864, stratificando materia pigmentata di rossi, bianchi, rosa, arancioni, ha dipinto Natura morta con carne (Musée d’Orsay, Parigi).
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Rembrandt, ‘Bue macellato’, 1655, Parigi
Non finisce qui però, avvicinandoci nel tempo, il topos della carne ha impegnato e questionato innumerevoli artisti, anche contemporanei. Ma questa è un’altra storia.