Condominio interiore

Il suo nucleo esatto scoprii essere un grande condominio ubicato fra il cuore e la gola

Di Matteo Beltrami

Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, allegato a laRegione

Errare, o andare per via senza meta, è una rubrica di racconti. È un gioco con il vuoto, in cui tacciono le certezze, i dati, le cronache, ma parlano i silenzi, gli sbagli, il dietro dell’angolo che non svoltiamo. L’invisibile cessa di essere mostruoso oppure, come unica alternativa, ridicolo. Errare poi è un verbo che suona, facciamo finta che sia solo un fruscio, al massimo un sentore. Errando catturo delle immagini. Ogni cosa mi risulta tragicomica e questo è il carattere di Errare, forse l’unica patria che gli è concessa.

Propaggini urbane mi partivano dal centro del petto e mi raggiungevano la testa, rive di fiume lo stomaco e via dicendo fino a ogni cellula. “Ah, eccoti”. Mormorai a denti stretti, lì nel reparto verze e altri cavoli.

Quel giorno mi ero guardato dentro per la prima volta e ci avevo trovato tutta una città, con i vicoli, i mercati e il resto. La città, ancora oggi, non lo so come si chiami, ma è piena di abitanti e loro, sì, hanno nomi e cognomi. Sono tutti me, ma allo stesso tempo parlano con una loro voce.

Mi sarei aspettato un villaggio su palafitte, oppure uno di quei paesi fra gli Appennini e i boschi di castagno. Invece avevo dentro un immenso agglomerato urbano, una metropoli con decine di quartieri diversi, ponti su baie, etnie mescolate, traffico e traffici, locali notturni e teatri, magnifiche librerie e negozi di giacche usate che sembravano nuove.

Fra il cuore e la gola

Il suo nucleo esatto scoprii essere un grande condominio ubicato fra il cuore e la gola. Un condominio come non ne fanno più, di quelli ottocenteschi con ottoni, specchi, portineria e tutto. Pieno di cortili alberati, fioriere colme di piante grasse, appese alle ringhiere, con dentro posacenere dimenticati, trombe di scale, comignoli, piccionaie, mansarde segrete fra travi di faggio e un numero infinito di stanze. Piccole, ampie, seminterrate o affacciate sui cocci del tetto. Tutte abitate. Era il mio condominio interiore.

Ci vivevano i miei personaggi interiori. Per me fu una rivelazione. Camminavo per il supermercato e con l’immaginazione guardavo negli appartamenti. Cominciavo a scorgere qualche profilo, sulle prime cercavano di nascondersi. Non credevano che li scoprissi. D’altronde nemmeno io credevo di scoprirli, non quel giorno. Non così, come se niente fosse, mentre facevo la spesa. Ne riconobbi subito alcuni, vecchie glorie del mio passato. Altri non li avevo mai visti, ma da subito mi sentii sicuro del fatto che in qualche modo mi avevano influenzato da sempre.

Mollai il cestino con la spesa dentro al reparto roba Thai e uscii dal negozio. Raggiunsi il tavolino di un bar lì vicino e ordinai un caffè. Presi a far finta di leggere un quotidiano, fissai lo sguardo su una notizia qualsiasi. Cadeva un governo. Promuovevano l’ananas in scatola. Allarme attraversamento rane su una certa strada. Ora non ricordo. Con il pensiero entrai nel condominio, il portone era enorme e socchiuso. Strano, ero dentro di me, eppure mi sentivo un ospite.


© Matteo Beltrami

L’atrio era un luogo magnifico e si affacciava su un cortile dal quale esplodeva una magnolia immensa. Vidi che nella parete destra era scavata una finestrella, chiusa con due piccole imposte di vetro opaco e antico. Portineria, diceva la scritta a pennello, sul muro appena sopra. Toc-toc. Un’anta si aprì lentamente e mi apparve un tizio tutto vestito da giudice. Volto austero, con due occhialetti tondi incastonati, naso adunco e sguardo torvo.

“Si?”, mi disse.

“In che senso?”, gli feci.

“Chi cerca?”.

“Qui siamo dentro di me, no?”.

“Si qualifichi, insomma”.

“No, si qualifichi lei”.

“Ah, ora ricordo, ho saputo che stava arrivando. Lei dev’essere il capo, il proprietario insomma, ci ha scoperti”.

“Sì, sono io, il capo, e, come prima cosa, vorrei capire perché hanno messo un giudice alla portineria del mio condominio interiore”.

“Beh, capo, sono il più affidabile”.

“Ah, sì?”.

Parlai con quel rigido omino. Scoprii essere il Signor Dottor ex Giudice in pensione Severiano Rimbrotto, al presidio di miei meccanismi interiori quali: moralismo limitante, eccessivo senso del dovere, sensi di colpa a vanvera, preoccupanti preavvisi, autonotifiche preventive di mie negligenze future ipotetiche.

Sulla via sbagliata

Subito, forse per irrobustirsi il ruolo e intimidirmi, mi fece un paio di commenti astiosi su un paio di amici che avevo mollato, secondo lui sbagliando.

“Ma allora sei tu che ci pensi ancora?”, gli chiesi.

“Già, e mi chiedo come faccia lei a non farlo più”.

Così a secco poi, quasi minaccioso, mi sibilò che certe volte mi origliava mentre pensavo di mollare il lavoro e mi intimò di non fare coglionate.

“Coglionate?”.

“Ho detto proprio così, capo, e non mi sta bene che parli con altri inquilini di questa idea. Certi di loro non vedono l’ora di vederla sul lastrico”.

“Lastrico? Certi di loro? Ma cosa dici?”.

“Ah, so quello che dico, ci sono anime guerce che abitano su in soffitta e non pagano neppure l’affitto. Sono loro che vorrebbero che lei smettesse di lavorare”.

“Tipo?”.

“Tipo il Poeta Maledetto, che scrive poco, ma beve un sacco. Tipo quel sociopatico del Viandante, una specie di demente che non farebbe altro che viaggiare a piedi attraverso tutto il mondo, come se la società avesse bisogno di fannulloni come lui. E via dicendo, il Condominio è pieno di gente che vuole portarci sulla via sbagliata”.

“Io li vorrei conoscere tutti”.

“Oh, non avevo dubbi che fosse qui per questo. Bernard e io sapevamo che questo giorno sarebbe arrivato”.

“Chi?”.

“Il lodevolissimo Signor Stratega Bernard L’Odioso, l’amministratore, è lui che mi ha messo in portineria”.

Sospirai profondamente. Mi sentivo come esterrefatto. Tutto quel movimento a mia insaputa? Mossi un passo all’indietro per guardare meglio quel Severiano Rimbrotto.

“Credo che come prima cosa, con tutto il rispetto, ma la destituirò, signor Rimbrotto”.

“Immaginavo anche questo, capo. L’Odioso Bernard sta sopraggiungendo per sottoporle alcuni incarti”.

“Incarti?”.

“Sì, alcune clausole che ancora ignora, capo, e il mio certificato di benservito magna cum laude, che dovrà firmare per congedarmi”.

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