Non è ‘solo’ una questione di capelli

A Lugano c’è un salone dedicato a donne che affrontano un percorso di chemioterapia: è l’aRtelier di Katy e Alessia. Le ho incontrate

Di Sara Rossi Guidicelli

Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, allegato a laRegione

I capelli. Il viso. Il nostro aspetto. Che importanza hanno quando siamo malate? Cosa ci succede quando la chemioterapia ci toglie i capelli? Che ruolo ha una parrucca quando ci ritroviamo a testa nuda?
Un salone dedicato ad accompagnare nel suo cammino chi sta seguendo un percorso per combattere un tumore è un negozio di accessori o un servizio a cui dobbiamo avere diritto? Lo chiediamo ad Alessia e Katy, parrucchiera e infermiera; e a Francesca, che porta una parrucca, questione di qualche mese, finché non le sarà ricresciuta la sua chioma naturale.

Nel cuore di Lugano, vicino al fiume, all’ospedale, all’autostrada, al centro città, c’è un cortile un po’ nascosto; lì è appartato un piccolo angolo di coccole e lacrime, bellezza e amicizia femminile: L’aRtelier, di Alessia e Katy, rispettivamente parrucchiera e infermiera.

Storia di due amiche

Si conoscono da una vita, sono come sorelle. E un giorno di pochi anni fa a Katy arriva la diagnosi: tumore, chemioterapia. E lì scopre che avere qualcuno al fianco fa la differenza. Non solo una spalla su cui appoggiarsi per i crolli emotivi – quanti! –, ma una persona che ti dà una mano anche in molti altri aspetti pratici che si accumulano.


© Ti-Press / Elia Bianchi
Katy è infermiera

Anche i capelli. Sì, i capelli. I medici, i parenti, tutti ti dicono: «L’importante è guarire». Verissimo. Però. Ci sono anche altre cose importanti. Si può dire? I capelli sono importanti. Il tuo aspetto è importante. La tua privacy.

E così «avere una amica parrucchiera ti fa sentire più sicura, coccolata e privilegiata», sorride Katy. «Insieme siamo andate a scegliere parrucca e copricapo, ma mi sentivo come se andassi a comprare qualcosa di accessorio, mentre io sentivo che era qualcosa di più. Nei luoghi dove mi sono rivolta, mancava amore per l’oggetto, e anche considerazione per me e quello che stavo vivendo.

Per esempio: mi hanno detto di tagliare i capelli, di tenerli corti. Ma io li ho sempre portati lunghi, e li consideravo una parte di me; tagliandoli avevo paura di non sentirmi più me stessa. Oggi c’è una maggiore sensibilità, ma molto è ancora da costruire».


© Ti-Press / Elia Bianchi
Alessia è parrucchiera visagista

Un piccolo angolo di coccole e lacrime

In Ticino oggi ci sono più luoghi dove rivolgersi nel caso in cui si abbia bisogno di una parrucca: saloni che si occupano di questo aspetto e negozi di parrucche. L’aRtelier a Lugano è solo uno di loro, con una particolarità che mi spiega Francesca, un’amica che ha da poco finito i cicli di chemioterapia per un tumore al seno: «Qui ti seguono in tutto il tuo percorso che devi affrontare. Katy è infermiera e oltretutto è già passata da questa strada».

Leggerezza

Mi spiegano quanta pesantezza comporti la malattia: dal momento in cui devi spiegarlo a colleghi, amici, parenti, alla cura vera e propria, il dolore fisico, la vita che si stravolge tutta. «Cambia ogni cosa, tutto è pesante. Stai male, hai paura. Pensi al peggio. Riuscire a fare progetti in quei mesi è un toccasana straordinario, ed è quello che è successo a me», racconta Katy. «A un certo punto, ho detto ad Alessia: “Facciamolo noi il salone per pazienti oncologiche, un luogo dove trattiamo le nostre clienti come esseri speciali che hanno diritto a conservare una immagine piacente di sé stesse. Rendiamo noi almeno una parte del percorso un po’ più leggera”». E ora sono qui, nel loro spazio, meglio sarebbe chiamarlo salotto, aperto un paio di anni fa: L’aRtelier.

Comodo, caldo, raffinato. Discreto, pieno di parrucche, due specchi, varie poltrone, il solito lavandino per lavare i capelli, ma con qualche accorgimento in più. Angolo caffè, e qualcosa che si percepisce con certezza: il tempo a disposizione. Lo si capisce da come si siedono, da come ti guardano e ti ascoltano Katy e Alessia: si dedicano a te.

Parrucche

All’inizio la parrucca può essere un trauma da accettare: è un oggetto estraneo che ti metti in testa. Una volta faceva parte del corredo di una donna; ancora oggi negli Stati Uniti è usuale cambiare look per una serata mettendosi una parrucca. Da noi invece non è costume. Quindi non siamo abituate. E quando a Katy è toccato cercare una soluzione per sé stessa, perché stava perdendo i capelli, aveva l’impressione che nei negozi e nei saloni mancasse la sensibilità di capire cosa stava provando. Oggi piano piano il tema sta venendo a galla. Ciglia, sopracciglia, capelli.

«Per noi qui ogni parrucca ha una considerazione speciale: diventa la testa delle nostre clienti. Sappiamo che questi accessori sono legati alla sofferenza e cerchiamo di trasformare il momento della scelta in un incontro, una valorizzazione di tutta la persona che abbiamo davanti». Alessia è visagista e aiuta a trovare il taglio migliore, il colore più consono. Si prova insieme, mi spiega, con calma, si cerca, si cambia idea, si personalizza la parrucca…
«E intanto parliamo. Accompagniamo prendendo la persona tutta intera: discutiamo di quello che sta succedendo in ogni tappa, ci beviamo una tazza di tè e decidiamo che cosa fare quando cadono e quando iniziano a ricrescere i capelli». Qui le donne (o gli uomini, anche se sono più rari) vengono con un’amica, con il compagno o la compagna, con una figlia… arrivano una alla volta, non ci sono mai due clienti insieme.

Capelli

Insieme con la cliente scelgono in anticipo la parrucca; può essere molto simile alla propria chioma naturale, oppure si può prendere la palla al balzo per provare qualcosa di diverso. Quando inizia la chemioterapia, si decide quando e se tagliare i capelli veri.

Per quanto riguarda i prodotti, Alessia e Katy cercano di non vendere illusioni. «I capelli vanno sempre trattati bene», mi spiegano. «Noi stiamo attente alla qualità dei prodotti, ma non ci sono spazzole, shampi o balsami miracolosi che contrastano una terapia tanto forte». La speranza più grande è lì davanti: Katy, che è tornata in salute, guarita del tutto, splendida dentro e fuori. A volte lei mostra le fotografie di quando era gonfiata dal cortisone, senza capelli, abbattuta dal peso di ciò che stava vivendo, per dimostrare che poi si torna in sé.


© Sara Rossi Guidicelli
Da sx: Alessia, Francesca e Katy

Andare in mille pezzi

«Purtroppo c’è ancora chi minimizza la questione come se fosse un vezzo estetico», mi dice Francesca, poi mi spiega che invece si tratta di qualcosa di molto più profondo. La malattia ti scompone in frammenti. Il corpo non ti risponde più, ti ha tradita. Devi trovare grandi risorse dentro e fuori di te per non lasciarti andare. Le medicine ti modificano fisicamente e non ti riconosci più, vivi te stessa come se tu stessi nel corpo di un’altra. Magari ti hanno pure amputato un seno o due. E poi ci sono questioni finanziarie, spesso non facili da risolvere.

Certo che l’importante è guarire, ma bisogna pure guarire bene. Tornare sé stesse, piacersi e provare piacere. Non ritorni più quella di prima, sei trasformata per sempre: ma puoi provare a trasformarti in modo gradevole. «Bisogna abbattere quel muro di chi si prende cura del corpo e non si interessa di niente altro. Bisogna capire che siamo fatte di tante cose e che bisogna provare ad abbracciarle tutte. Quindi quando già vai in mille pezzi, guardarti allo specchio e vederti carina, o anche solo riconoscerti, significa moltissimo. Io lo conosco ormai quello sguardo di chi ti vede senza capelli e pensa: “Poverina, ha il cancro…”. Quel piccolo silenzio di quando entri in un posto e la gente smette un attimo di parlare. La parrucca ti dà la possibilità di scegliere se hai voglia di raccontare oppure no.

Se in quel momento ti va di parlare d’altro o se vuoi confidare la tua malattia. Spesso non ne hai voglia, quando esci di casa desideri anche pensare ad altro, essere Francesca e non ‘una malata’». E Katy aggiunge: «Non si parla solo di gioia dentro la tua anima, ma anche di produzione di endorfine, che sostengono il processo di guarigione. Ci sono donne che non escono più di casa, a causa degli effetti collaterali delle cure: lo specchio diventa un incubo e lo sguardo della gente è una difficoltà in più da affrontare.

Conosciamo le domande, i commenti inopportuni. E quando è il tuo nipotino di tre anni che ti vede pelata e piange? O tua figlia che distoglie lo sguardo? E il tuo partner?».

Domande

Le domande sono molte. Bisogna chiedersi per esempio se l’integrità fisica possa far parte dei diritti, anche quando si tratta di una questione frettolosamente chiamata “estetica”. La parrucca è di più che un addobbo; diventa un paracadute, che ti protegge quando hai bisogno di normalità per riuscire ad andare avanti; e, tuttavia, anche se fosse una questione di vanità, mi dicono, non ci sarebbe niente da giudicare.

In caso di malattie o di cure che prevedono la perdita di capelli, ogni persona ha diritto a un contributo per l’acquisto di parrucche o copricapi (fasce, turbanti, foulard ecc.) e questo è già un passo avanti. Una donna medico mi dice però che c’è ancora molto lavoro da fare, anche nel suo campo, affinché si riconosca l’importanza di curare una persona tutta intera e non a pezzi. Già, perché, in questi casi, curare la propria immagine fa parte del tentativo, in un momento delicatissimo, di non sgretolarsi del tutto.


© Ti-Press / Elia Bianchi
La parrucca è, per donne con tumore, un paracadute

L’appuntamento

Prevenzione e sensibilizzazione

Prevenzione e sensibilizzazione sul delicato tema del tumore si svolgono anche nelle scuole, attraverso iniziative di varia natura. In questo senso, il Centro professionale sociosanitario (Cps) di Lugano – parte del Dipartimento dell’educazione, della cultura e dello sport – ospita dal 12 febbraio al 10 marzo 2025 Souveraine(s), un’esposizione fotografica. La mostra – curata da Vanessa Aeschbach (dell’associazione Aletheia di Parigi) – presenta una serie di fotografie che ritraggono donne che hanno avuto un trascorso di tumore al seno. L’allestimento è a ingresso libero ed è visitabile ogni giorno dal lunedì al venerdì (8-18).

Inoltre, lunedì 10 marzo, l’Auditorium del Centro professionale di Trevano ospiterà lo spettacolo tratto da racconti e ricordi di donne (che ci sono passate o tuttora vivono un percorso di tumore al seno) dell’associazione Anna dai capelli corti, con il gruppo Teatranne e la regia di Duodeno (Gaby Lüthi e Alessandra Ardia). Lo spettacolo, prima replica alle 13.30 e seconda alle 19, è a ingresso libero. Prenotazione obbligatoria contattando daniele.luethi@edu.ti.ch.

Articoli simili