Lucio Dalla: note sull’opera musicale di un genio
Con una carriera alle spalle nata col jazz all’inizio degli anni Sessanta, ancora oggi molti dei suoi album rimangono capolavori di sorprendente attualità
Di Sergio Mancinelli
Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, allegato a laRegione
“Fu un fiasco di rimarchevoli proporzioni: ogni sera raccattavamo una buona dose di fischi e di pomodori, uno spettacolo nello spettacolo, che durò quanto tutto il Cantagiro. Lucio, in ogni modo, si mostrò veramente un duro e non si lasciò abbattere”. Con queste parole Gino Paoli ricorda l’esordio discografico di Lucio Dalla con ‘Lei’, canzone interpretata da Ray Charles (‘Careless Love’) tradotta in italiano dallo stesso Paoli, con l’arrangiamento di Gian Piero Reverberi e le voci del Coro della Cappella Sistina. Del resto, era stato Gino Paoli a convincerlo a diventare un cantante. Fino a quel momento, Lucio aveva suonato il clarinetto da autodidatta, ma ottenendo riscontri notevoli: prima a Bologna, nella Rheno Dixieland Band soffiando il posto a Pupi Avati e poi a Roma con la leggendaria Roman New Orleans Jazz Band di Carlo Loffredo. E a Roma aveva deciso di trasferirsi, accettando l’offerta di Edoardo Vianello di entrare nel suo gruppo: i Flippers, con Franco Bracardi al pianoforte e Massimo Catalano alla tromba. Debuttò con loro al Cantagiro del 1963 con ‘I Watussi’. E grazie a quel pezzo firmò il suo primo contratto con la RCA.
Fu durante quel Cantagiro che Gino Paoli lo marcò stretto per convincerlo a intraprendere la strada da solista, convinto delle sue grandi potenzialità come interprete. Lucio era l’unico cantante italiano, a sua detta, ad avere un’autentica voce soul.
‘Disadattato senza calzini’
Lucio Dalla iniziò così la sua attività da solista. Mette su il suo gruppo, Gli Idoli, e inizia a fare serate per l’Italia, compresa una settimana a Torino nella sala ‘Le Roi’ provocando numerose dispute con i padroni del locale che disapprovano la sua abitudine di esibirsi scalzo, affibbiandogli l’etichetta di ‘disadattato senza calzini’. Ricorderà poi quell’episodio dicendo: “Una sera me li dimenticai di nuovo, ma mi pitturai i piedi, così da far sembrare che li avessi sotto le scarpe”. Nella primavera del 1966 incide il suo primo album, “1999”, con dentro ‘Quand’ero soldato’ e una canzone che aveva presentato poche settimane prima al Festival di Sanremo in accoppiata con gli Yardbirds di Jeff Beck. E proprio con ‘Paff Bum’ assapora per la prima volta la notorietà entrando in classifica. Torna a Sanremo anche l’anno successivo, in coppia con i Rokes di Shel Shapiro. La sua funambolica capacità d’improvvisazione e le sue stravaganze cominciano a circolare sui giornali. Spesso, per gioco, Lucio andava in giro con delle ciliegie appese per i gambi alle orecchie, oppure a spasso per il centro di Bologna con una gallina al guinzaglio. Successe anche che alla finale del Festival delle Rose gli uscieri gli negarono l’accesso per l’aspetto troppo trasandato.
‘Fumetto’
Nonostante le apparizioni sanremesi e la serata al Piper di Milano come spalla a Jimi Hendrix, il successo tarda ad arrivare e Dalla non riesce a centrare l’indirizzo giusto da dare alla sua musica. Pubblica però un 45 giri che gli apre le porte della televisione come sigla di un programma di fumetti intitolato ‘Gli eroi di cartone’. Dentro a ‘Fumetto’ c’è tutta la sua improvvisazione vocale fatta di uno ‘scat’ morbido ma coinvolgente. Anche per il pubblico è una piacevole sorpresa e la spinta data dalla canzone gli permette di incidere il suo secondo album, “Terra di Gaibola”, dal nome della collina sopra Bologna dove andava a giocare da ragazzino. Gli arrangiamenti, questa volta, sono di Guido e Maurizio De Angelis, i futuri Oliver Onions. “Terra di Gaibola” è un buon disco ma non sfonda. Oltre ai testi di Sergio Bardotti, Gianfranco Baldazzi e Paola Pallottino, per la prima volta appare anche Ron, autore di ‘Dolce Susanna’ e un pezzo che pochi mesi dopo farà la fortuna di Gianni Morandi.
Lucio dalla ai tempi della trasmissione “Gli eroi di cartone” (anni Settanta).
‘Gesù Bambino’
La prima vera svolta avviene nuovamente a Sanremo nel 1971 con ‘Gesù Bambino’, che la commissione esaminatrice boccia. Quel titolo, e la storia di una ragazza madre messa incinta da un soldato americano, erano considerati irriguardosi e ingiuriosi nella frase che diceva: “giocava alla Madonna con un bimbo da fasciare”. Paola Pallottino, autrice delle parole, aveva immaginato il testo come un risarcimento morale per Lucio, rimasto orfano all’età di 7 anni. Modificò molte parti e cambiò il titolo in ‘4 marzo 1943’.
L’arrangiamento scarno, la voce da cantastorie sul modello folk americano e l’unico accompagnamento del violino ne fanno un successo clamoroso: ‘4 marzo 1943’ arriva al numero uno della Hit Parade dove rimane per tre settimane consecutive. E questa è la versione con il finale che a Sanremo venne censurato:
‘4 marzo 1943’ viene cantata in francese da Dalida e commuove Chico Buarque De Hollanda, al quale Lucio l’aveva cantata in un ristorante a Campo de’ Fiori a Roma; il brasiliano la inciderà, una volta tornato in Brasile. Dalla la inserisce nel nuovo album “Storie di casa mia”, con dentro anche ‘Itaca’, ‘Un uomo come me’, ‘Il gigante e la bambina’ e ‘La casa in riva al mare’, la storia di un detenuto che dalla sua cella su un’isola vede una donna affacciarsi ogni giorno e se ne innamora.
Città del cuore
Due, da sempre, le città nel cuore di Lucio Dalla: Bologna e Napoli. ‘Piazza Grande’ è la canzone che ha riassunto Bologna. È Piazza Cavour, la piazza sotto la casa della sua infanzia. Lucio la scrive insieme a Ron mentre sono sul traghetto che da Napoli li sta portando a Palermo. Ma, prima di arrivare alla stesura e al titolo definitivo, parecchi sono i passaggi: il primo testo di Ron parlava di un emigrato, Lucio invece – con l’aiuto di Gianfranco Baldazzi suo paroliere e amico d’infanzia – lo trasforma, parlando di un clochard, un senzatetto che sceglie le panchine di Piazza Grande come posto della sua vita.
La casa discografica, la RCA Italiana, che Lucio Dalla non ha mai abbandonato per tutta la vita, vuole che si cambi ulteriormente il testo, ambientando la storia a Venezia e pretendendo d’intitolarla ‘Canal Grande’, per sfruttare così la maggiore popolarità delle acque veneziane. Tutto sembra iniziare a funzionare ma Lucio è restio a ripetere gli stessi meccanismi, si smarca e cerca una strada alternativa, iniziando una collaborazione artistica con Roberto Roversi, poeta e intellettuale che con Pier Paolo Pasolini aveva fondato a Bologna la rivista ‘Officina’, per poi dirigere ‘Lotta continua’. È un cambio totale: la musica di Dalla entra nella sperimentazione con suoni e improvvisazioni che il pubblico fatica a recepire. Viene fuori la sua vena jazzistica con tutti i cambi funambolici dei suoi registri vocali
Cantautore
Insieme, Dalla e Roversi, realizzano tre album: “Il giorno aveva 5 teste”, “Anidride Solforosa” e “Automobili”, nato da uno spettacolo teatrale scritto insieme. Lucio, spinto dal poeta, porta i suoi concerti in Festival giovanili come quello di Re Nudo a Milano, e anche in fabbriche e luoghi di lavoro. Ma è anche il momento della fine della loro collaborazione. Lucio Dalla avverte che è arrivato il momento di uscire dalla ‘canzone politica’ per andare incontro ad atmosfere più ampie, in cui iniziare a raccontare anche il suo modo di sentire la vita. ‘Automobili’ è il disco che chiude un ciclo, ma che poco dopo ne aprirà uno nuovo trionfale. Dalla trascorre tutta l’estate del 1977 alle Isole Tremiti sull’Isola di San Domino, il posto dove riesce ad avere la massima ispirazione e, per la prima volta, compone un intero album del quale è paroliere e musicista. Con “Come è profondo il mare” nasce il Lucio Dalla cantautore.
È l’inizio del periodo più importante della sua carriera. Con il berretto di lana blu in testa, i pantaloni di tela larghi e la canottiera bianca, inanella una perla dietro l’altra: ‘Il cucciolo Alfredo’, ‘Corso Buenos Aires’, ‘Disperato erotico stomp’ e ‘Quale allegria’, con la vita e la rappresentazione che ne diamo. Da fuori spesso lasciamo percepire che tutto vada bene ma dentro la realtà è diversa. Con il richiamo forte al padre: perduto senza avere avuto il tempo per poterlo conoscere a fondo. Il salto di qualità e definitivo: il clown incompreso e sbeffeggiato negli anni ’60 diventa un cantautore a 360 gradi, capace di parlare al cuore del suo pubblico in maniera diretta, con la poesia dei testi e una musica avvolgente. Quando arriva l’album “Lucio Dalla”, nel 1979, il terreno intorno è già tutto perfettamente concimato e pronto a dare i frutti a lungo aspettati.
L’eponimo
I sogni di ‘Anna e Marco’, le loro vite di periferia che si perdono nella luce stroboscopica di una discoteca. Era il desiderio di ogni adolescente degli anni ’70, il posto dove qualcosa sarebbe potuto succedere, anche andar via tenendosi per mano. “Lucio Dalla” è un disco che ancora oggi si ascolta e si riascolta senza soluzione di continuità. Spiazza l’ascoltatore con un caleidoscopio di suoni e una varietà di atmosfere inaspettate. Impossibile tra ‘Notte’, ‘L’ultima luna’, ‘Stella di mare’, ‘Milano’, ‘Tango’, ‘L’anno che verrà’ stabilire quale sia la più bella, la più incisiva, ma c’è una canzone che darà a breve il via a una collaborazione inaspettata.
‘Cosa sarà’ sancisce la collaborazione iniziata poche mesi prima tra il Principe malinconico e fascinoso Francesco De Gregori e l’istrione artista di strada Lucio Dalla. Avevano realizzato un po’ per gioco un po’ per vedere l’effetto che facesse ‘Ma come fanno i marinai’, e l’effetto era stato sorprendente, tanto da dare vita a una tournée indimenticabile: ‘Banana Republic’. La musica dal vivo e i concerti, dopo anni di sosta forzata, tornavano negli stadi e nelle arene.
“Banana Republic” è un successo da oltre mezzo milione di spettatori. L’omonimo disco viene registrato e stampato al volo con la fabbrica della Rca, aperta anche ad agosto, che chiede ai dipendenti, operai e maestranze, di rimandare le ferie estive per far sì che il disco sia nei negozi ai primi di settembre. Tutti rispondono all’appello uniti da uno spirito di squadra di cui si sentono parte ormai da anni. Il successo, in termini di vendite, è senza precedenti e il suono che Lucio Dalla aveva sperimentato nel tour diviene il suo nuovo marchio di fabbrica, grazie all’apporto di quattro musicisti che da quel momento si sarebbero chiamati Stadio, andando ad arricchire l’album in arrivo.
Il quasi eponimo
Il nuovo 33 giri s’intitola semplicemente “Dalla” ed è un concentrato di poesia, sentimenti umani e melodie a tratti malinconiche a tratti avvolgenti. Gli arrangiamenti ritmici a cura di Ron caratterizzano il nuovo suono di Lucio in ‘Siamo Dei’, ‘Meri Luis’, ‘Mambo’ e fanno sì che il disco non abbia mai momenti di stasi. Tutto è perfettamente calibrato. Fino all’arrivo dei pezzi più intimi, quelli che arrivano dritti al cuore senza fermate intermedie. “‘Futura’ nacque come una sceneggiatura, poi divenuta canzone. La scrissi una volta che andai a Berlino. Non avevo mai visto il Muro e, dopo il concerto, mi feci portare da un taxi al Checkpoint Charlie punto di passaggio tra Berlino Est e Berlino Ovest. Mi sedetti su una panchina e accesi una sigaretta. Poco dopo si fermò un altro taxi, dal quale scese Phil Collins, anche lui a Berlino per un concerto dei Genesis. Si sedette sulla panchina vicina e si accese una sigaretta anche lui. Mi venne la tentazione di avvicinarmi per conoscerlo, per dirgli che ero anch’io un musicista ma non volli spezzare la magia di quel momento. In quella mezz’ora scrissi le parole di Futura, la storia di questi due ragazzi uno di Berlino Est, l’altro di Berlino Ovest, che progettano di fare una figlia e di chiamarla Futura”.
‘Futura’, ‘Cara’ e ‘La sera dei Miracoli’ formano la trilogia dei sentimenti, quelli più intimi, raccontati come immagini nello svolgersi di un film neorealista. “Ho cambiato tante case nella mia vita ma non ce n’è stata una che non avesse una finestra da dove ascoltavo e cercavo i battiti dei vostri cuori, i vostri respiri, le vostre bestemmie alla vita. I rumori dei vostri sogni, i misteriosi piccoli delitti quotidiani e le miracolose rinascite che tutti i giorni avvengono sotto i cieli di tutti i paesi e le città, nelle notti ricoperte di stelle”. Sono anni di una tale intensità artistica e professionale che Lucio Dalla non si ferma un istante, allargando i suoi orizzonti al cinema, al teatro e alla musica classica. Scrive ‘Tosca amore disperato’ e diventa la voce narrante di ‘Pierino e il lupo’, firma la regia per ‘L’opera del mendicante’ (The Beggar’s Opera) di John Gay e ‘Pulcinella’ di Stravinskji, collabora con Battiato, canta con Pavarotti realizza un tour indimenticabile con Gianni Morandi e inizia a lavorare con Mauro Malavasi, in quel momento il più internazionale e innovativo musicista italiano.
Da ‘Washington’ a ‘Caruso’
Malavasi, protagonista dei Change, il primo gruppo italiano a entrare nella classifica americana di rhythm ‘n blues, regala alla musica di Lucio Dalla i nuovi colori dell’elettronica con tutte le sue sfumature e ‘Washington’, nella sua sospensione tra immaginazione e ipotetica realtà, è la prima canzone di questa nuova collaborazione. Due piloti, uno giapponese, l’altro americano, che dopo l’esplosione dell’Atomica stanno facendo rotta entrambi su Washington. Naturalmente con pensieri diversi, aspettando che sia l’altro a fare la prima mossa. Uno pensa all’attacco, alla vendetta, l’altro alla difesa. Ma restano fermi immobili, quasi a fissarsi negli occhi in attesa che l’altro faccia il minimo movimento. La guerra incomprensibile, l’odio per chi neanche si conosce ma che in quel momento vive lo stesso istante di angoscia.
La collaborazione con Mauro Malavasi prosegue alternandosi con i rodatissimi Stadio, con i quali Dalla torna negli Stati Uniti per una serie di concerti da cui verrà estratto un album dal vivo. Doveva intitolarsi “DallAmerica”, ma quel titolo avrà un’aggiunta inaspettata, diventando “DallAmeriCaruso”. “Ero in barca tra Sorrento e Capri con Angela Baraldi e stavamo ascoltando le canzoni di Roberto Murolo quando si ruppe l’asse del motore. Andammo a vela per qualche miglio, poi chiamai un amico: il proprietario dell’Hotel Excelsior Vittoria che ci trainò in porto”, disse Lucio. “In attesa che aggiustassero la barca, ci invitò a passare la notte in hotel, proprio nella suite dove morì Caruso. Lì c’era tutto, anche il pianoforte, completamente scordato. Quella sera un altro amico, giù al bar La Scogliera, mi raccontò di un Caruso alla fine dei suoi giorni, innamorato di una giovane cantante cui dava lezioni. Era uno stratagemma per starle vicino ma, l’ultima sera, sentendo la morte arrivare, fece portare il piano sulla terrazza e cantò con un’intensità tale che lo sentirono fino al porto”. E ancora: “Mi sono inventato la scena dei suoi ultimi momenti, quando pensa alle notti là in America. Era un passaggio che nel 1986 per me, che stavo per partire per un tour negli Stati Uniti, aveva un significato particolare. Per me quel ‘Te vojo bene assaje’ messo in quel punto della canzone significava darle il marchio della napoletanità. Da sempre nutro una grande passione per Napoli, per la sua cultura, dalla scrittura alla filosofia fino alle canzoni: è una città che mi ha sempre catturato e ho provato a rappresentarla con questa canzone. Bologna e Napoli, le mie città, con le Tremiti: la mia vita”.