Kasserine. Intrecciare arte e bestiame (prima parte)

Un festival in Tunisia celebra la cultura dei pastori nomadi di una delle regioni più depresse del paese. Un viaggio tra storie, sorrisi, drammi, speranza

Di Sara Rossi Guidicelli

Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, allegato a laRegione

Non si sradica il terrorismo con le bombe. Non funziona. Ci vuole cultura, lavoro, fiducia nella strada che si ha davanti. Adnen Helali, maestro e poeta di Semmama, turbante in testa e tuta mimetica, grida parole di poesia, dolcezza e rosmarino in mezzo al cortile. Siamo nel Centro culturale Jebel di Semmama, in una zona montuosa della Tunisia: un luogo di incontro, arte e artigianato inaugurato nel 2018, costruito grazie ad aiuti internazionali per aiutare la regione di Kasserine a trasformarsi.


© Sara Rossi Guidicelli

Qui nel centro-ovest del paese, c’è livello rosso di allarme terrorismo, dato che dopo la Rivoluzione queste montagne sono diventate luogo di rifugio per i jihadisti. Le proteste che avevano fatto cadere il governo di Ben Ali hanno avuto il loro cuore proprio qui, ma gli abitanti sono stati delusi: non è cambiato nulla, le politiche economiche, sociali e turistiche hanno continuato a dare priorità alle città e alle coste. “Ci hanno sacrificati”, dice Adnen. “Ma noi non ci stiamo, siamo pastori e siamo abituati a chinarci senza cadere. Facciamo resistenza: poesia, dolcezza e rosmarino sono le nostre armi”. Il rosmarino, nella cultura berbera è simbolo di amore e scambio.


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Il poeta Adnen Helali.

Quando le arti si incontrano

Siamo stati invitati da una pastora ticinese a questa festa di pastori tunisini: Piera Gianotti Rosenberg, la donna dalla doppia vita, che concilia l’inconciliabile: le capre e il teatro. Quando incede, Piera sembra un’imperatrice e il suo sguardo accarezza chi incontra per strada. Il babbo bregagliotto, la mamma svizzero-tedesca, Piera è cresciuta prima in Bregaglia poi in Capriasca, dove ora risiede con il marito e le due figlie. Adnen ha saputo di lei grazie a Gardi Hutter, che è già stata ospite della Fête des Bergers (la Festa dei Pastori), che esiste da una dozzina di anni circa e che si tiene al Centro Culturale Jebel; Gardi Hutter ha raccontato al poeta tunisino che nella Svizzera italiana c’è un’attrice che la mattina munge e la sera recita. Ed eccola qui, Piera, pronta a portare a Kasserine la sua versione in francese dello spettacolo Genealogie caprine, spettacolo nato l’anno scorso e che racconta della sua famiglia e del suo gregge.


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L’attrice Piera Gianotti Rosenberg.


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Cactus e “modernità”.

Un deserto di plastica

Il viaggio da Tunisi e verso Kasserine e la montagna di Semmama (circa 300 chilometri in bus) dà un’idea di desolazione. Il paesaggio si fa via via desertico, le case sono sempre più povere, le donne invisibili, la vegetazione meno varia. Alla fine gli alberi si riducono a eucalipti, ulivi e fichi d’india. Sarebbe di una bellezza sobria e luminosa se non fosse che tutto è completamente ricoperto da brandelli di plastica. Il vento trasporta bottigliette d’acqua, sacchetti blu per la spesa, pezzi bianchi e rosa di una plastica finissima. Il sistema di raccolta dei rifiuti non funziona, non ci si prova neanche più a organizzare i container della spazzatura. Ci sono discariche a cielo aperto, la gente in campagna fa il proprio buco in giardino per bruciare il grosso. Ma le terre sono ormai infestate dai rifiuti.
Kasserine non dà lavoro. In questa regione alle sette del mattino le terrazze dei caffè sono già piene di uomini senza occupazione che bevono tè di menta, fumano la shisha e giocano a carte. Da tre anni poi non piove e c’è allerta siccità. Il governo inoltre non riesce a debellare quei piccoli gruppi di terroristi sulle montagne dove crescono le piante che fanno l’identità dei pastori nomadi che un tempo facevano la transumanza e raccoglievano erbe: rosmarino, agave, sparto, ginepro, artemisia. Tutti qui raccontano di una cugina o di una zia saltate sopra una mina mentre erano in cerca di queste piante tradizionali.


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Una famiglia locale.

La Fête des Bergers

Adnen preferisce chiamarla Festa, piuttosto che Festival. Sono quattro giorni di spettacoli, musica e incontri dedicati alla popolazione di Kasserine, questa regione gialla e arida, da dove i giovani fuggono a causa del nulla che si trovano intorno.
O peggio, cadono preda dei fondamentalisti. Esiste dal 2011, anno della Rivoluzione. In programma ci sono momenti per la stampa, incontri con le ambasciate che sostengono il Centro Culturale, ma soprattutto spettacoli e danze aperti alla popolazione locale. Ci sono varie compagnie invitate dall’estero e giornalisti chiamati a dare visibilità all’evento. Ci sono gruppi di cantori, musicisti e artisti tunisini che rappresentano la cultura locale tradizionale ma anche alcuni artisti contemporanei. Già il primo giorno incontriamo i ragazzi di Kasserine che fanno la break dance, una cantante berbera con il suo gruppo folcloristico di flauti e percussioni e un artista che sta lavorando a un progetto sulle tracce di Paul Klee, che proprio durante un viaggio Tunisia aveva scoperto la luce e aveva deciso di diventare pittore perché, ha poi scritto, si era sentito “posseduto dal colore”.
All’inizio vediamo soprattutto uomini; organizzano, suonano, ci danno l’acqua. Le donne invece stanno nascoste, cucinano ma non si vedono. A ogni pasto, ci arrivano in tavola meravigliosi piatti di cuscus e carne di capra o pecora, e nella piccola bottega del centro si possono ammirare e acquistare gli oggetti fatti di fibre di sparto intrecciato. Con lo sparto si possono costruire tappeti, cestini, sottopiatti, cappelli e così via. La festa dei pastori è anche una specie di fiera dell’artigianato, in cui si vedono telai in azione, costruzione di flauti e persino un concorso per il miglior tosatore di pecore.

Ma non solo

All’inizio verrebbe da chiedersi cosa c’è da festeggiare. Non dovrebbero piuttosto fare un’altra Rivoluzione? Tutto ciò ha però anche motivazioni profonde: si coglie l’occasione per rispondere ad alcuni bisogni primari della popolazione locale, in generale poverissima. Per esempio, molte persone non hanno accesso alle cure o alla prevenzione. Così, Adnen Helali e la sua squadra approfittano di questo momento per far venire durante una giornata intera un’équipe di medici volontari che visitano gli anziani, i bambini o le donne. Si chiama Carovana della Salute. “Proviamo a portare qui tutto ciò di cui necessitano in questi villaggi”, racconta Adnen. È chiaro che la presenza di stranieri ha lo scopo di ottenere fondi per contribuire allo sviluppo sociale ed economico della regione. In questi giorni per esempio si tiene anche il convegno di agronomia dove i ricercatori in ambito agricolo portano dati disperati sulla siccità e le possibili parziali soluzioni per farle fronte.


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Nella zona montuosa di Sammama.

La gente di Piera

Siamo stati invitati e siamo sette. Ci chiamano les suisses, abbiamo tutti molti microfoni, quaderni, occhi digitali e non. Oltre a Piera c’è Aron Anselmi, che gira un documentario su di lei; un altro regista, Olmo Cerri, che scrive per l’Agricoltore e sta attento a tutti noi; Manuel Perrone che viaggia picaresco per Rete Due e ha portato il suo bellissimo film su Claudia Cardinale, nata in Tunisia; Alan Koprivec, il giovane sognatore che insegue con la telecamera l’altro ticinese invitato dai pastori tunisini, Juri Cainero. E poi c’è il marito di Piera, Emanuel Rosenberg, regista e coreografo, che insieme a lei conduce un atelier corporeo per il pubblico dei più piccoli. Fare la ruota, la capriola, salire sulle spalle di Emanuel: giochi nuovi per questi bambini che hanno poche occasioni di fare qualsiasi cosa. Emanuel ha curato anche la regia dello spettacolo di Piera.
Per andare in scena, si attende il calar del sole. Siamo a fine aprile ma le giornate sono già torride. Il pubblico comincia a sedersi, tutti vogliono accaparrarsi i posti all’ombra, poi l’ombra si allunga e non c’è più una sedia libera. Le donne sono uscite dalle cucine, sono venute anche loro a vedere Piera vestita da capra, da pastora e da lupo, che parla di sé ma parla a loro, parla di loro. Sono già diventate amiche, in realtà, perché prima di salire sul palco, per due giorni l’attrice è stata al loro fianco in cucina ad asciugare cucchiai, a scambiare gesti sulla mungitura e su quell’amore che le donne mettono in ogni cura, che sia cibo, bellezza, bambini o animali. Piera parla davanti a cento persone, molte delle quali non avevano mai visto il teatro. Si mette una maschera, danza, tesse i fili dei racconti, quelli di famiglia e quelli del suo gregge. E intanto fa il formaggio, che alla fine distribuisce, insieme ai suoi abbracci forti, fatti per incontrare. Il pubblico la guarda attento, le donne ridono con la mano davanti alla bocca, si meravigliano di vedere una donna che ulula e balla e racconta del mestiere della contadina. I bambini dicono “basta” quando lei diventa lupo. Forse hanno paura. “Per me la cultura cambia la vita”, racconta Piera emozionata. “Da parte mia, mi sento riempita da questa esperienza e non la dimenticherò. Però spero, in qualche modo, di aver sfiorato anche queste signore e queste bambine. Mi è piaciuto vederle un po’ divertite e un po’ scandalizzate. Forse è una cosa nuova conoscere una donna che balla su un palco, si esprime con il teatro e parla delle capre e delle figlie che ha a casa. Quando ripartirò mi porterò dentro questa luce: quella del cielo e quella della gente”.


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Piera e i suoi animali che parlano di noi…

GENEALOGIA DI PIERA

“Le capre sono intelligenti e testarde, con la loro pupilla orizzontale, capiscono tutto. A volte non capiscono niente. Le mie capre sono fedeli e stanno in famiglia, con le sorelle, le mamme e le zie, camminano fianco a fianco e non si lasciano mai. A meno che non si detestino. Le mie capre si picchiano spesso. Ce n’è una che si chiama Maria Callas, perché canta mentre dorme. Un’altra era così bella che faceva pensare a un’attrice tunisina, la vostra Claudia Cardinale. Vi racconto di un animale che mi è morto di nostalgia una volta che si era perso ed era rimasto solo. Un’altra capra è morta di lupo. Due si sono avvelenate con piante non autoctone che non conoscevano. Non è bello veder morire un animale avvelenato. Le capre, come le persone, mettono in atto ogni strategia per prendere il potere: spietatezza, cattiveria, intelligenza, furbizia. Ma i buoni capi li riconosciamo. Sono quelli che quando hanno preso il potere si occupano degli altri. Maria Callas è stata così. Un buon capo. Si è presa cura degli altri capretti. Ha allattato i figli di sua sorella. Potrei parlarvi di loro ancora moltissimo, perché hanno tante storie e raccontarvi delle mie capre sarebbe come parlarvi di un villaggio. Ed è per questo che non posso scegliere tra i miei due mestieri”.


© Sara Rossi Guidicelli

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