Qatar 2022: due o tre cose sui Mondiali

Nel grande dilemma etico che grava sulla manifestazione sportiva, c’è davvero da sentirsi come il figlio di un dentista dentro un negozio di dolciumi

Di Davide Martinoni

Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, allegato a laRegione

Da malati di calcio sappiamo perfettamente che il grande evento in Qatar poggia su una palafitta divorata dalle tarme. Ma ciononostante, sportivamente, siamo stuzzicati da mille curiosità. Calcistiche, ma soprattutto di opportunità politiche, economiche e legate ai diritti dell’uomo.

Di nomi e di formazioni

La prima riflessione, legittimamente patriottica, legata ai Mondiali di calcio che prenderanno avvio domani, domenica 20 novembre, riguarda il percorso che la nostra Nazionale riuscirà a compiere dopo il brillante Europeo dell’anno scorso. La Svizzera appare forte ed equilibrata in tutti i settori: la caviglia di Sommer sembrerebbe guarita e davanti a lui Akanji è in totale fiducia dopo aver incontrato il Manchester City di Guardiola come Giulietta fece con Romeo. Non giocherà, ed è tutto dire, Schär, titolarissimo nel Newcastle terzo in Premier dietro il City e l’Arsenal di capitan Xhaka. Davanti, Okafor a 22 anni ha già conquistato Salisburgo e sembra destinato a farci rivivere i fasti che furono di Alex Frei. Rimane da verificare la competitività dell’unico fantasista che il cielo ci ha concesso, Shaqiri, lautamente stipendiato dai Chicago Fire del presidente bianconero Mansueto, ma non per forza sul pezzo come i colleghi dei principali campionati. Ma la fiducia è una grande dote: qualcosa San Xherdan ce lo inventa sempre.
Non che i nostri avversari di gruppo stiano peggio. Anzi. Nel Brasile dei sogni, nomi come Alisson, Thiago Silva, Casemiro, Fabinho, Neymar, Vinicius Jr., Martinelli e Gabriel Jesus sussurrano alle orecchie dei calciofili come Robert Redford ai cavalli del Montana; c’è solo da sperare che Tite non sia in grado di metterli in campo come squadra o che la Seleçao si sfianchi di samba in hotel. Pericolo che invece non corre la Serbia dello juventino Vlahovic e di Mitrovic, bomber vero al Fulham: con due così vado in Rotonda a mezzanotte. Quanto ai Leoni del Camerun, bastano quattro nomi: il portiere Onana dell’Inter, Anguissa del Napoli, Mbeumo del Brentford e Choupo-Moting del Bayern Monaco: tutti biglietti da visita di un ospite che potremmo rimpiangere di aver invitato.
Per le grandi – la Francia campione, l’Argentina, lo stesso Brasile, l’Inghilterra, il Belgio, il Portogallo, la Spagna e la solita Germania – ogni traguardo è aperto e noi godiamo al solo pensiero di vederle in campo, fra sombreri, rulete, biciclette, tunnel e perché no, anche Colpi dello Scorpione, dati per estinti da quando Higuita, a 43 anni, ha attaccato i guanti al chiodo, partecipato all’Isola dei Famosi colombiana e fatto il quarto a briscola con Asprilla, Valderrama e Pablo Escobar. Per dimostrarci, forse, quanto sia labile, nel mondo del calcio, il confine fra poesia e prosa. Con il rischio di rincorrere gli svolazzi di Baricco in Seta e incontrare invece i fendenti di Ágota Kristóf ne La trilogia della città di K.: secchi, essenziali, all’occorrenza brutali, ma veri, e a tratti addirittura insostenibili, anche per ottimi incassatori.

Perché il Qatar

Il suono che sentiamo è quello assordante di otto cantieri nati in contemporanea: quelli che Tamim bin Ahmad Al Thani, emiro del Qatar, ha finanziato nel suo sabbioso giardino di casa per realizzare gli stadi in cui si giocherà il primo Mondiale d’inverno, disputato in un’unica città: Doha. Negli impianti hanno lavorato complessivamente circa due milioni di operai provenienti dai Paesi più poveri del Sudest asiatico. Secondo il Guardian – come ha ricordato un’inchiesta della trasmissione Rai ‘Report’ , da cui attingeremo liberamente – i morti sul lavoro sono stati 6’500, prima, durante e anche dopo l’intervento sul posto dell’International Labour Organization (Ilo), istituzione chiamata per controllare l’introduzione di alcune riforme, fra cui l’abolizione della Kafala, l’equivalente di una moderna schiavitù. Un’Ilo la cui indipendenza è stata per altro pesantemente messa in discussione, visto che la sua attività è generosamente finanziata dalla monarchia assoluta di un Paese dove le leggi si ispirano alla Sharia e dove l’omosessualità è considerata un danno psicologico. Diciamo che non è proprio una garanzia. Gli impianti, va detto, sono autentici gioielli: sette sono dotati di aria condizionata, l’ottavo lo hanno chiamato ‘974’, dal numero dei container navali con cui è stato costruito lo scheletro, che sarà smontato dopo il Mondiale. Bene. Meno bene che durante il mese di torneo verranno prodotte 3,6 milioni di tonnellate di biossido di carbonio: il doppio di quanto emesso durante il Mondiale di Russia.

Aumm aumm…

L’accostamento fra i due Paesi non è casuale, visto che lo stesso giorno – il 2 dicembre 2010 – Doha e Mosca seppero dalla viva voce di Sepp Blatter che a loro erano stati affidati i Mondiali 2018 e 2022. Immediate, piovvero le accuse di corruzione. Ma, nonostante le inchieste, il massimo che si è arrivati a stabilire è che, nella votazione favorevole al Qatar, “numerosi membri del Comitato esecutivo della Fifa hanno mostrato evidente disprezzo per il codice etico della Fifa e accettato benefits e favori”.
Sempre a fine 2010, l’allora presidente Uefa Michel Platini risponde a una telefonata. È Sarkozy, che lo invita per un pranzo informale all’Eliseo. Il 23 novembre, quando si presenta, Platini si accorge che non sarà un “tête-à-tête”: al tavolo c’è anche un uomo dalle fattezze mediorientali, vistosi baffi, portamento regale: è il futuro emiro del Qatar Al Thani, allora “solo” figlio dell’emiro in carica, Hamad bin Khalifa. Tema principale all’ordine del giorno, le relazioni diplomatiche fra i due Paesi. Agli eventuali: la candidatura del Qatar a organizzare il Mondiale 2022, che verrà attribuito di lì a pochi giorni. Com’è andata, lo sappiamo. E sappiamo anche che Sarkozy e Platini sono entrambi indagati per corruzione e traffico d’influenze. Dall’inchiesta è emerso che durante il pranzo non si era parlato solo di diplomazia e pallone, ma anche della copiosa vendita di armi dalla Francia al Qatar; armi usate proprio come moneta di scambio per l’attribuzione del Mondiale. Infatti dopo l’incontro Platini chiamò Blatter comunicandogli di avere intenzione di rompere il patto d’onore secondo cui si era impegnato a votare per gli Stati Uniti.
Non è tutto: nell’accordo fra Sarkozy e il rampollo qatariota sarebbe rientrato anche l’acquisto del Paris Saint-Germain da parte del Fondo sovrano del Paese arabo. Il presidente e suo figlio Pierre avrebbero convinto Al Thani a pagare il doppio della cifra pattuita – 64 milioni di euro invece di 30 – all’allora proprietario del club parigino, l’imprenditore Sébastien Bazin, guarda caso compagno di merende di Sarkozy. Com’è e come non è, nella girandola di favori rientra anche il figlio di Platini, Laurent, che viene assunto dal Qatar Sports Investments, il braccio sportivo del Fondo sovrano qatariota da 400 miliardi di euro.

Le lunghe braccia del denaro

Da allora il Qatar ha esteso la sua influenza a tutto il mondo: dalla Gran Bretagna – dove è il maggiore investitore immobiliare e possiede i grandi magazzini Harrods e l’aeroporto di Heathrow – all’Italia, dagli Stati Uniti (è nel trust che a New York detiene l’Empire State Building) alla Germania (è in Volkwagen, Deutsche Bank, Siemens), fino appunto alla Francia, dove oltre ad aver acquistato il Paris Saint-Germain e diversi palazzi storici è in Louis Vuitton, Total e Airbus. A Parigi l’emiro Al Thani ha segnato il terreno piazzando un uomo di assoluta fiducia e ottima presenza scenica: l’amico ed ex tennista Nasser Al-Khelaïfi, nominato ambasciatore dello sport del Qatar nel mondo e messo a sedere sulla poltrona di presidente del Psg.
A Parigi, Al-Khelaïfi ha collezionato campioni così come in Europa ha accumulato potere: è membro del comitato di governo dell’Uefa, presidente dell’Eca (l’associazione che rappresenta i club europei) e di Bein Media Group, la società qatariota che detiene i diritti televisivi della Champions e della Premier League. Un potere che transitoriamente abbraccia il Qatar. Il vero obiettivo dell’emirato, secondo produttore al mondo di gas liquido? Poca roba: scalzare il ruolo egemone della Russia sullo scacchiere energetico internazionale.
Dimentichiamo qualcosa? Ah sì: buon Mondiale a tutti!

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