Il vocabolario di Putin è al passato

Con l’Occidente satanista e la Russia storica si spiega la guerra. Partendo da un saggio di Bengt Jangfeldt, alcune riflessioni sulla tragedia ucraina

Di Fabiana Testori

Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, allegato a laRegione

C’è stato un tempo. Per esempio l’anno 2003, quando Paul McCartney si esibì per la prima volta in Russia. Durante le prove del concerto, in Piazza Rossa, il giovane presidente Vladimir Putin uscendo dal Cremlino a fine giornata si mischiò alla folla, visibilmente sorpresa nel vederlo in veste di spettatore. Il filmato dell’epoca mostra Putin avvicinare l’indice alla bocca in segno di silenzio dicendo con un sorriso ai propri concittadini, accorsi in massa a vedere l’ex Beatle, di non prestare attenzione alla sua presenza perché “Paul McCartney sta cantando”. Era il 2010 invece quando il leader russo, in una sala stracolma di star hollywoodiane, da Sharon Stone a Gérard Depardieu, passando per Kevin Costner, giunte a San Pietroburgo per un evento benefico, intonò lui stesso la popolare canzone R&B ‘Blueberry Hill’ di fronte a un pubblico entusiasta. C’è stato un tempo quindi, che oggi più che mai sembra lontanissimo.

Ve lo ricordate il famoso ‘Discorso di Monaco’ pronunciato da Putin in occasione dell’annuale Munich Security Conference del febbraio 2007? I lavori furono introdotti dalla cancelliera tedesca Angela Merkel alla presenza di diversi ministri degli Esteri e della Difesa, del Segretario Generale della NATO dell’epoca, Jaap de Hoop Scheffer, dell’Alto Rappresentante dell’Unione europea per la Politica Estera e di Sicurezza Comune (PESC), Javier Solana, nonché di autorità governative e parlamentari di molte nazioni. Alla luce dei sanguinosi fatti attuali, retrospettivamente, gli esperti di geopolitica considerano l’intervento a Monaco di Baviera il vero manifesto della politica estera del Cremlino. I toni, benché smussati rispetto a quelli di oggi, riflettono già la filosofia putiniana, sono i primi semi dell’odio verso l’Occidente: l’accusa agli Stati Uniti di imporre i loro standard al resto del mondo, la critica allo spiegamento di un sistema di difesa antimissile in Europa, l’apparizione di basi USA sul suolo di nuovi Paesi NATO, il popolo russo come artefice della caduta del Muro di Berlino (si noti bene), la totale apertura dell’economia russa ai capitali stranieri – ma non il contrario –, le ingiuste lezioni di democrazia alla Federazione da parte di chi non le apprende a sua volta.


Febbraio 2007: un discorso che farà “storia” (e guerre).

Guerre preparatorie, idee e tragedie

È seguita poi la guerra in Georgia (2008), la fine della seconda guerra cecena (2009), il sostegno russo al regime del presidente Bashar al-Assad durante la guerra civile siriana (dal 2015 anche armato), l’invasione-annessione della Crimea (2014) e il conseguente inizio del conflitto regionale in Donbass e il Russiagate (2016). La tensione è continuata a salire, anche se l’incontro fra il presidente russo e quello americano al Parc de la Grange a Ginevra nel giugno 2021 sembrava aver dato qualche segnale di speranza. Infatti, in quell’ultima occasione, nonostante le incomprensioni, Vladimir Putin aveva assicurato di non volere una nuova Guerra fredda. Oggi si sa; era un’altra la guerra che voleva. In vent’anni di governo praticamente ininterrotti, Putin non ha semplicemente consolidato il proprio potere, l’ha personificato, scolpendo e plasmando la sua figura e la sua retorica secondo un piano preciso: “Passare alla storia”, così si era espresso nel 2013. Per farlo, un’intera ideologia è stata riesumata, adattata, sistematizzata. Si tratta dell’applicazione in chiave 2.0 della cosiddetta “idea russa”, del concetto di “mondo russo”, che da secoli, a periodi alterni, ha caratterizzato i rapporti fra la Russia e l’Occidente. Essa rimonta agli slavofili, a Dostoevskij, a Danilevskij, agli eurasisti di stampo più grezzo come gli ormai tristemente celebri Aleksandr Dugin e Vladimir Medinskij, ex ministro della Cultura della Federazione Russa, nominato, fra l’altro, capo della delegazione russa per i negoziati e colloqui con l’Ucraina nella risoluzione del conflitto. La dottrina eurasiatica, in connotazione fanatica, considera la Russia solo e unicamente come impero, il quale incorpora una civiltà diversa e superiore, in netta contrapposizione all’Occidente, definito come corrotto e marcio. La “nuova” cultura patriottica russa si propone come unica alternativa valida al degrado liberista occidentale, difendendo i valori tradizionali di famiglia, patria e ortodossia (per chi fosse interessato ad approfondire il tema, raccomando vivamente il libro del professore svedese Bengt Jangfeldt, L’idea russa, edizioni Neri Pozza, 2022). Vladimir Putin ha ribadito in molte occasioni come la dissoluzione dell’Unione Sovietica sia stata la tragedia più importante della sua vita. A partire da quello smarrimento, da quel boccone amaro mai digerito, il presidente russo ha costruito la sua linea politica, servendola poi alla sua opinione pubblica.

Beata gioventù…

Non riuscendo a offrire ai propri cittadini, dopo anni di privazioni sovietiche, benessere sostanziale, crescita economica concreta e riscatto sul piano internazionale, per mantenerne l’orgoglio e l’attaccamento, il leader russo ha deciso di nutrirli a rancore e nazionalismo. A questo proposito, la retorica utilizzata nei suoi discorsi ne è la rappresentazione più tangibile. Quest’ultima si è evoluta in maniera aggressiva nel corso dei decenni per culminare nella dichiarazione di invasione e di guerra in Ucraina. Il potere, e quello assolutista in particolare, trasforma le persone. Il grigio e insipido ex funzionario del KGB, nella solitudine del suo bunker anti-Covid, ha deciso di interessarsi alla storia, l’ha quindi interpretata a sua convenienza e poi l’ha spiegata al mondo. Grazie alle sue decisioni, giustificate attraverso un linguaggio tipico di un apparatčik sovietico, il presidente russo ha fatto ripiombare il mondo in un clima da Guerra fredda. Alcuni analisti sostengono che ogni sua esternazione pubblica, sia essa contro l’Occidente, l’Ucraina, la NATO o la comunità LGBT, gli consenta di riassaporare un po’ della sua gioventù, in un mondo (l’URSS) che però non esiste più. Ascoltare le sue parole anacronistiche farebbe quasi ridere se a queste non seguissero gli orrori che provengono ogni giorno dall’Ucraina, ma tant’è, Vladimir Putin desidera condividere la sua visione della realtà, anche se essa appartiene a un passato non ben precisato antecedente al 1989.

Lessico bellico

Qui di seguito alcuni esempi emersi dai suoi discorsi prima e dopo il 24 febbraio 2022, che possiamo considerare particolarmente interessanti per interpretarne la visione.

Operazione militare speciale
È così che Vladimir Putin ha annunciato l’invasione e la guerra condotta dalla Russia in Ucraina. Utilizzando l’eufemismo di “operazione militare speciale” ha tentato
di diluire la gravità dei fatti, rendendoli più accettabili per il popolo russo. Oggi, in Russia, si è punibili penalmente se ci si riferisce all’Operazione militare speciale con la parola ‘guerra’.

Denazificazione
La denazificazione (in tedesco, Entnazifizierung) fu un’iniziativa alleata volta a liberare dall’ideologia nazionalsocialista la società, la cultura, la stampa, l’economia, la giustizia e la politica dell’Austria e della Germania dopo la fine del Secondo conflitto mondiale. Putin ha impiegato lo stesso termine per giustificare la guerra in Ucraina: l’obiettivo sarebbe quello di denazificare il popolo ucraino, il quale, a suo dire, sarebbe dominato e soggiogato da un regime nazista. Putin fa uso di una parola che rimanda volontariamente alla Seconda guerra mondiale, sollecitando così l’orgoglio nazionale dei russi che ogni anno, il 9 maggio (Giorno della Vittoria), festeggiano non la fine della guerra, ma il successo riportato dall’Armata rossa nella liberazione dell’Europa dal regime nazista. In Russia non si parla di Seconda guerra mondiale per riferirsi ai fatti, ma di Grande guerra patriottica.

Occidente collettivo
Formula con cui il presidente russo identifica oramai indistintamente i Paesi occidentali. Nella sua logica esiste un solo agglomerato, appunto l’”Occidente collettivo”, composto, s’immagina, dall’Europa, gli Stati Uniti, l’Australia, la Nuova Zelanda e probabilmente il Giappone. L’”Occidente collettivo” , nella sua mente, è in diretta opposizione al mondo russo (Russky Mir). Da quando Vladimir Putin ha deciso di impiegare quest’espressione, essa viene adottata da tutti i ministri, funzionari e organi di stampa della Federazione.

Agente straniero
In Russia, l’espressione “agente straniero” si associa allo spionaggio dell’epoca della Guerra fredda. La legge concernente gli agenti stranieri è stata adottata nel 2012 in risposta alle manifestazioni di protesta contro il ritorno di Vladimir Putin alla presidenza e concepita per limitare le ONG indipendenti. Essa esige che chiunque riceva un “sostegno” proveniente dai confini esterni alla Russia o sia sotto “l’influenza” dell’estero debba essere registrato come “agente straniero”. La direttiva è stata ampliata negli anni e contempla sia persone fisiche, sia giuridiche, cittadini russi e stranieri, concentrandosi in modo particolare sui media operanti sul territorio della Federazione. Gli “agenti stranieri” sono obbligati a redigere dei rapporti trimestrali con il dettaglio degli attivi e di come siano stati impiegati. Inoltre, per quanto riguarda la stampa, deve essere ben visibile sui canali di diffusione la dicitura “agente straniero”.

Paesi nemici
La prima risposta di Mosca alle sanzioni occidentali dopo l’invasione dell’Ucraina è stata quella di redigere la lista dei “Paesi non amici” (nella traduzione letterale dal russo), cioè nemici, ostili. Essa include Stati Uniti, Canada, Stati dell’UE, Regno Unito (tra cui Jersey, Anguilla, Isole Vergini britanniche, Gibilterra), Ucraina, Montenegro, Svizzera, Albania, Andorra, Islanda, Liechtenstein, Monaco, Norvegia, San Marino, Macedonia del Nord, Giappone, Corea del Sud, Australia, Micronesia, Nuova Zelanda, Singapore e Taiwan.

Patriota
Il patriottismo è uno dei fondamenti della concezione politica di Vladimir Putin. Patriota significa persona che ama la patria e mostra amore lottando e combattendo per essa, ma in Russia il termine viene esasperato, per cui il patriota è pronto a legittimare, giustificare e difendere qualsiasi azione del proprio governo. A esso, nella Russia putiniana, si contrappone un unico altro termine, traditore.

La Russia storica o Nuova Russia (Novorossija)
Per legittimare l’invasione dell’Ucraina e l’annessione dei territori occupati di Lugansk, Donetsk, Zaporizhzhia e Kherson (in parte poi persi), il leader russo sempre più spesso rievoca
la “Russia storica” o la “Nuova Russia” – termine amministrativo per il Sud-est dell’Ucraina attuale impiegato al tempo in cui queste terre erano parte della Russia zarista –, spiegando come i confini tracciati fra il Donbass e la Russia siano in realtà artificiali, poiché “persi” , “lasciati” all’Ucraina durante il XX secolo.

Liberalismo
Negli anni Vladimir Putin ha sviluppato delle fisse riguardo al mondo occidentale che sembrano tormentarlo. Una di queste è il pericolo rappresentato dalla società liberale. Già in una celebre intervista concessa al Financial Times nel 2019, il presidente russo aveva definito il liberalismo come obsoleto, cioè definendo antiquata una società che si pone come obiettivo la tutela delle libertà e dei diritti inviolabili dei cittadini, assicurati dalle leggi. A suo dire, il potere sta oramai virando “al populismo nazionale sull’onda del risentimento pubblico per l’immigrazione, il multiculturalismo e i valori secolari a detrimento della religione”.

Genitore 1, Genitore 2
Altra inquietudine di Putin sembra essere quella del “gender”. Si tratta di un tema ricorrente nella sua retorica ed è interessante osservare che perfino nel discorso alla nazione del 30 settembre scorso, per il riconoscimento dei territori occupati in Ucraina, la questione del gender ha fatto ancora una volta capolino. L’Occidente è stato accusato di essersi appropriato delle risorse dell’URSS per superare la crisi economica degli anni Ottanta e di continuare nella sua volontà di piegare la Russia, senza rispettare la sua autodeterminazione. A questo punto si è rivolto ai propri cittadini chiedendo se volessero anche loro, in Russia, invece di una madre e un padre, un genitore numero 1 e un numero 2.

Epilogo (delirio permettendo)

Le parole del presidente russo, a tratti davvero deliranti, sembrano testimoniare che l’operazione militare speciale in Ucraina abbia dei connotati che vanno ben oltre l’occupazione territoriale. Attraverso la dichiarazione di guerra e poi la mobilitazione parziale, il leader russo sembra farsi crociato di una missione per la restaurazione non solo dell’URSS, ma dell’impero russo al fine di conquistare un posto nel mondo di valenza eccezionale. La Russia come civiltà diversa e superiore, l’unica capace di difendere il passato, i valori tradizionali e di offrire reali prospettive per il futuro. Sono però mesi che il resto del mondo ascoltandolo si domanda preoccupato: la diagnosi sarà quella di follia paranoica?

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