La vita ‘segreta’ di Tidy Minghetti
Milano, Boston e ancora Milano, posto dal quale poi girare il mondo come ‘voce ufficiale’ di Versace. Almeno fino al 15 luglio 1997, poi…
Di Beppe Donadio
Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, allegato a laRegione
Gianni Versace era solito chiamarla ‘Tidina’, ma non è cosa che Tidy Minghetti ti dice dall’oggi al domani. Potrebbero pure passare cinque anni da quando l’hai conosciuta e almeno tre da quando ti ha fatto sapere di avere lavorato come responsabile dell’ufficio stampa per la maison Versace degli anni d’oro. Compreso l’annus horribilis. Rapportata all’odierna fame di notorietà, tutta questa riservatezza pare autolesionismo, ma a noi sembra più umiltà, concetto per capire il quale un giorno servirà Wikipedia.
Mia scondinzola al suo fianco mentre saliamo nella Tree House di Tondo Music a Maroggia, lasciandoci i vinili di Sandro al piano di sotto. “In quegli anni – ci dice Tidy – la soddisfazione era quella di creare un evento da zero e vederlo realizzarsi e funzionare così come l’avevi sognato. Ho sempre amato il lavoro in team, e uscire con belle storie sui giornali. Il contatto con le celebrities lo si dava per scontato, faceva parte del lavoro. E poi quando lavoravo per Versace non esisteva il selfie; da qualche parte ho delle fotografie, ma non è quello che mi dava l’emozione della vita. Non so se la cosa fosse apprezzata, o se magari preferissero uno stile più ‘groupie’…”. La storia dice che quella riservatezza è stata apprezzata. Oggi Tidy si occupa della comunicazione di Tondo Music, continuando a fare consulenze nel campo della moda. “Sempre a distanza, faccio anche la mamma, ho una figlia a Milano e un’altra in Costa Rica. Sono l’impegno prioritario”.
© Tondo Music
Selfie d’autore: Tidy & Sandro (in un mare di vinili).
Una di famiglia
Tidy Minghetti nasce a Milano; si laurea alla Boston University nel 1985 in quello che lì chiamano ‘double major’, psicologia (la sua passione) e comunicazione, concetto che ancora deve definirsi appieno; pensa di rimanere negli Stati Uniti ma rientra nella sua città natale per restarvi. A Porto Ercole, sull’Argentario, in Toscana, passa un’estate smistando le barche in porto, poi il telefono squilla: “La moda stava decollando, c’erano nomi come Armani, Versace, Ferré, Moschino, Krizia; in quel momento non avevo grandi idee, così avevo rispolverato la comunicazione”. Versace le offre di lavorare all’ufficio stampa, iniziando da “junior che più junior non si poteva, al limite della receptionist”; lei resterà per cinque anni occupandosi della stampa estera, mentre l’azienda moltiplica linee, sfilate, eventi, entra nell’arte, nel balletto, nel teatro. Un’esperienza “enorme e varia”, lasciata per andare da Byblos e Genny, gruppo di Ancona che le offre il grado di capo ufficio stampa; vi resta solo due anni, poi una faida familiare le conferma che è meglio andare via. “Feci un colloquio con Armani, ma da Versace mi chiesero di tornare. Nel mondo della moda è cosa abbastanza rara, di solito finisci su di una specie di lista nera, ma io ero stata chiara sulle ragioni del mio addio e avevo lasciato la mia porta aperta. Con Gianni, Donatella e Santo era come stare in famiglia”.
South Beach, Miami: la mattina del 15 luglio 1997, 25 anni fa, Gianni Versace veniva assassinato sugli scalini della sua villa: “Con la morte di Versace l’Italia e il mondo perdono lo stilista che ha liberato la moda dal conformismo, regalandole la fantasia e la creatività” (Franco Zeffirelli).
“È la CNN, tra dieci minuti siamo lì, vogliamo parlare con qualcuno…”
Il 15 luglio del 1997 è una data che Tidy Minghetti non dimenticherà. Nemmeno il mondo l’ha dimenticata. “Eravamo appena tornati con lui dall’Alta moda di Parigi, mi aveva chiamato solo due giorni prima per questa idea di proporre ai giornali gli scatti dei grandi fotografi non destinati alla pubblicità, da usare per servizi che ci riguardassero. Richard Avedon, Bruce Weber, immagini così costose che la stampa non avrebbe mai potuto pagarle. ‘Mi raccomando Tidina, piazzami bene queste foto!’. Furono le ultime parole che mi disse”. Quarantotto ore più tardi, lo squilibrato Andrew Cunanan freddava Gianni Versace, cofondatore dell’omonima casa di moda, sulle scale della sua villa di Miami Beach. E questa è la cronaca di quelle concitate ore: “Chiamano da Roma, dove tutto è pronto per la sfilata di Trinità dei Monti; al telefono sento urla terribili e riconosco Donatella; dopo dieci minuti le linee impazziscono: mi sento dire cose come ‘è la CNN, tra dieci minuti siamo lì, vogliamo parlare con qualcuno’, ma tutti sono a Miami e io non ho nessuno con cui farli parlare; chiudo tutti i portoni della nostra sede di Milano, chiedo alle altre sedi di fare altrettanto, perché da un momento all’altro avremmo visto uscire i fotografi anche dai condotti dell’aria condizionata…”. Da qualche fessura, è certo, sarebbe penetrata anche la stampa: “Il grande rischio era che uscissero illazioni, complottismi, e dovevo evitarlo”. E di lì a poco ci sarebbe stato un funerale da organizzare: “Donatella voleva che si tenesse in Duomo, con tutte le incognite dovute al fatto che Gianni fosse gay, e che fosse stato ucciso; ci vollero tre appuntamenti, tutti con una figura dietro l’altare ad ascoltarci”. Figura che alla fine si pensa fosse il Vescovo di Milano in persona, pronto a concedere la ‘location’ a una condizione: “Che non diventi un concerto rock”. “Così mi ritrovai a organizzare il funerale facendo il sitting, come alle sfilate”. Attribuendo cioè i posti giusti a Elton John, Sting. E Lady D, naturalmente.
© Ti-Press
La Principessa e Valentino
Il giorno del funerale di Gianni Versace, Lady Diana arriva in Via Gesù, dove il rigido protocollo reale dice che nella camera ardente ospitante le ceneri di Gianni Versace nessun altro può entrare oltre alla Principessa se non Donatella e due persone dello staff. “Mi chiama il pr di Valentino, dicendomi che si trovavano al vicinissimo Four Season e che sarebbero arrivati a rendere omaggio a Gianni. Chiesi che attendessero almeno mezz’ora prima di presentarsi; cinque minuti dopo me li trovo sulla porta; allora li ‘parcheggio’ nella stanza del centralino, in attesa che Lady Diana se ne vada. Nella frenesia di tutto, mi sa che il tempo mi è un po’ scappato…”. È così che Valentino Clemente Ludovico Garavani resta imprigionato nella stanza del centralino per un tempo indefinito. “Forse erano quaranta minuti, spero non siano stati di più. È che in quei momenti il tempo non ha più nessun valore…”.
Siamo entrati, inevitabilmente e anche un po’ spudoratamente, nel campo dell’aneddotica e Tidy, discretamente, ci asseconda: “Prince era molto amico di Donatella, veniva spesso nella villa di Como di Gianni. Ricordo Whitney Houston, Robbie Williams, Madonna, puntualissima e sempre professionale. Ricordo Elton John, grandissimo amico della famiglia”. Sir Elton, noto anche per la sindrome da acquisto compulsivo: “Quando entrava nelle sedi di Versace la voce girava: ‘Elton è a Parigi, ha svaligiato il negozio!’”. E poi un Terence Trent d’Arby appena lasciato dalla sua compagna: “Di fianco a lui, a tavola, percepivo il suo dolore, che rendeva tutto più umano. Era l’aspetto che più mi attraeva in queste persone, spesso costrette a indossare maschere tutto il tempo”. Sfilate, cene, artisti, modelle, fotografi, “ma per noi era lavoro: ti sedevi, mangiavi poco altrimenti non entravi nei vestiti e bevevi tanta acqua”. Ride. Tanta acqua e zero relax: poteva capitare di dover cambiare il senso di marcia in Bond Street per l’apertura del negozio londinese, di gestire le allerte di Scotland Yard sull’ordine pubblico, di tenere Michael Hutchence (1960-1997) a debita distanza da Bob Geldof, ex marito di Paula Yates che si era messa con l’ancora vivo leader degli INXS. E altre dinamiche di coppia cui prestare attenzione: “Oggi googli, ma al tempo l’unico modo era sorbirsi le riviste di gossip dal parrucchiere…”.
© Ti-Press
Maroggia, canton Ticino
Alla data della morte di Gianni Versace erano trascorsi altri cinque anni dal ritorno di Tidy nella maison: “Il quarto anno avevo iniziato a scalpitare, volevo una famiglia, dei figli e in quelle condizioni, viaggiando tantissimo e lavorando a orari infernali, non era possibile. Ma non mi sembrava corretto mollare in quel momento. Sono rimasta un anno ancora, faticosissimo”. Dopo Versace, Tidy lascia la moda per aprire, con un socio, una propria agenzia di comunicazione che cresce per dodici anni. “Poi mia figlia si è ammalata e ho rivisto interamente la mia vita per stare con lei”. Quando lei e la bimba escono da tutto questo, e per fortuna ne escono bene, la moda è l’ultimo dei pensieri: “Avendo frequentato ospedali per un anno, avendo visto la sofferenza in mia figlia e in tanti altri ragazzini, non avrei mai più potuto tornare in quel mondo, cui già appartenevo soltanto per metà. Non ce l’avrei più fatta a vivere tra le bollicine, in mezzo a crisi isteriche perché il vetro della passerella non era abbastanza fumée o le orchidee non erano abbastanza bianche. Erano cose che avevo sopportavo prima, ma alle quali non avrei potuto dare un senso ora”. Anche il mondo era cambiato: “Avevo vissuto in una bolla per un tempo imprecisato e ora mi ritrovavo al cospetto dei social media a chiedermi cosa mai fossero, per capire che erano ancor più contro la mia natura”. Anche se è Facebook, nel tipico ritrovarsi dei compagni di classe, che indirettamente – ma più per l’insistenza dei vicini di banco – riavvicina Tidy a Sandro una buona fetta di vita dopo l’American School di Milano. Entrambi con trascorsi d’infanzia a Maroggia, oggi a Maroggia ci vivono.
Come si resta sani in un mondo di ego smisurati, Tidy? La risposta è: “Facilmente, perché io non credo di avere un ego e non mi è mai piaciuto stare sotto i riflettori. A chi mi chiedeva che lavoro facessi, ho sempre risposto ‘lavoro nel mondo della moda’, ma senza specificare per chi. Lavoravo per Versace, poi tornavo a casa ed ero Tidy Minghetti. Lavorare per Gianni non mi autorizzava a sentirmi tre passi avanti agli altri. Mi piaceva il backstage, non mi piaceva primeggiare. Anche perché sono timida”. Sulle scelte di vita di Tidy, nemmeno Mia sembra avere niente da dire. Chissà, magari quel cambio di rotta le ha precluso una storia con Arthur, il cane di Elton, ma la cosa potrebbe non farle né caldo né freddo.
© Tondo Music
Con l’inseparabile Mia…
Elton John: anch’egli assiduo frequentatore (‘saccheggiatore’) delle boutique Versace. Nell’immagine una t-shirt del ‘The One Tour’ (1992-1993) disegnata dalla maison.