Lisa Lurati e gli esperimenti con l’arte
“Credo in quello faccio (…) ma allo stesso tempo me ne distacco molto in fretta, lascio alle opere una loro indipendenza, una vita che non mi riguarda”
Di Keri Gonzato
Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, allegato a laRegione
Classe 1989, vive e lavora a Lugano. Si è formata presso la scuola di fotografia di Vevey (CEPV) e l’accademia di Basilea (FHNW) dove ha recentemente conseguito il suo MA. Lavora a partire da un materiale visivo ibrido, trovato o prodotto indifferentemente e poi costantemente mescolato, manipolato e trasformato per creare nuove immagini. Nel 2018 è finalista per VFG Young Talents for Photography. Nel 2020 è finalista per Swiss Emerging Art Prize e in residenza a la Cité des Arts a Parigi. Nel 2022 sarà in residenza in Colombia con ProHelvetia Coincidencia. Benché giovane, sono già state numerose le sue mostre personali, in Svizzera e all’estero.
Lisa Lurati ama le persone gentili, la natura, le idee. E poi, tra le sue cose preferite, ci sono Buenos Aires, l’acqua e le sue sfumature cromatiche descritte dal cantautore Tom Jobim in quello splendido brano che si chiama Aguas de Março. L’artista multidisciplinare cresce tra due universi, la sangre argentina della madre e i geni svizzeri del padre. A unirli, il fiume dell’arte, che scorre da parte a parte. Dell’infanzia ricorda quando il padre, architetto e fotografo, portava lei e la sorella Sara in montagna dove con il cavalletto dipingevano paesaggi, e quando la madre suonava la chitarra classica e cantava. “La mia famiglia è un poco turbolenta e allo stesso tempo piena d’amore. Durante l’infanzia e l’adolescenza avevo l’impressione che mia madre venisse da un pianeta diverso da quello da cui veniva mio padre, in un certo senso lo penso ancora ma nel corso degli anni seguenti, tra incontri e viaggi, ho avuto modo di capirla meglio, comprendere da dove veniva e realizzare quanto può essere difficile per un immigrato ricostruirsi una vita in un paese nuovo”.
Una ragazza ‘incasinata’
Gli aggettivi che descrivono la sua infanzia sono movimentata, avventurosa e malinconica. Qualità che la definiscono tutt’oggi, al momento dell’intervista è appena tornata da un viaggio con il ragazzo, in macchina verso Napoli a caccia di vita: “Credo di essere abbastanza irrequieta di natura, un po’ incasinata persino, sto cercando di migliorarmi sotto quest’aspetto, e allo stesso tempo riconosco che questa parte del mio carattere è quella che mi porta a spostarmi, a viaggiare e a sognare sempre un po’ “. Partire dal Ticino è stato per lei fondamentale, gli studi nel Canton Vaud e poi Basilea, ma anche gli anni intermedi a Berlino, le residenze artistiche a New York e Parigi e i viaggi… “Provo per quel periodo grande riconoscenza. Oggi, dopo otto anni, sono tornata a vivere a Lugano; a dire la verità non credevo sarebbe successo, o almeno non così presto. Non immaginavo nemmeno che avrei fatto l’artista”.
“Untitled” (2021), monotipia su carta.
Lei e loro (le opere)
Il suo approccio alla creazione artistica inizia con la fotografia per poi spostarsi abbastanza rapidamente verso nuovi orizzonti. “Mi interesso a varie tecniche di stampa. Mi affascina l’idea del transfer, dipingere su teli di plastica e trasferire su tele di lino, disegnare e intagliare su placche di metallo e avere come risultato un’immagine su carta”. Durante questi processi succedono cose che sono fuori dal suo controllo e le immagini si rivelano in modo inaspettato. “Una sorpresa necessaria, è come se durante questi processi il mio “Io” non fosse più presente, come se le immagini avessero una vita propria. Quest’approccio credo sia un esempio di come sia molto distaccata dal mio lavoro. Come spiegarlo… credo in quello faccio, lo faccio con passione e amore, ma allo stesso tempo me ne distacco molto in fretta, lascio alle opere una loro indipendenza, una vita propria che non mi riguarda”.
Un approccio materico
La natura ha una presenza importante nelle gigantografie del suo immaginario. Sin da piccola passava ore seduta in giardino incantata a guardare i fiori e gli insetti con occhi sognanti: “Poi è successo qualcosa tre anni fa in Cile, nella Tierra del Fuego, una regione molto isolata dell’estremo sud del continente delle Americhe. Luoghi con pochissima presenza umana e una natura non modificata o molto poco dall’uomo. Mai avevo avuto accesso a così tante stelle, il cielo era così limpido che la Via Lattea pareva cascarti addosso!”. Al rientro comincia a lavorare sull’idea delle megaflore o piante estinte per poi passare, nei lavori più recenti, all’ingrandimento di piante ed erbacce ticinesi. “I lavori degli ultimi anni narrano un mondo immaginario, ma forse non più così lontano, dove la natura si riappropria della Terra, e dove la presenza dell’uomo è completamente scomparsa”. Oggi, avvicinandosi alla scultura, sta esplorando una dimensione materica nuova. “Non so bene dove mi porterà ma sono molto curiosa del processo, è un altro modo di pensare, venendo dalle immagini bi-dimensionali”. Il suo approccio è old school, infatti non lavora con macchine e tecnologia digitale. “Non ho personalmente nulla contro, anzi, uno dei miei artisti preferiti è Ed Atkins, un giovane inglese che basa gran parte del suo lavoro su avatar digitali. Lui è un po’ un’eccezione; il mio approccio è materico e direi persino basico. Mi piacciono processi e tecniche semplici, quasi a voler rivendicare la possibilità che sia per tutti, anche per i bambini”.
© Alberto Lurati
Qui e ora, in attesa di partire
E chi sarà Lisa tra cinque anni? “Spero di poter continuare a vivere di arte, con gli alti e bassi del mestiere certo, ma faccio davvero molta fatica a immaginare di fare altro. Il dove è però un mistero per ora. Ogni tanto fantastico sul Messico o la Grecia ma per ora Lugano è di nuovo la mia casa. Sto iniziando a immaginare che il Ticino possa diventare il mio campo base, e il resto del mondo un luogo da esplorare”. Ha da pochi giorni iniziato a lavorare in un nuovo atelier, presso l’artista Marta Margnetti, e in questo momento avere un luogo di lavoro adatto sembra essere la cosa più importante. “Sento che non è il momento di muoversi o di pensare al muoversi; è il momento di stare ferma, di trovare la quiete e di concentrarmi sulla pratica. Mi trovo all’inizio di una fase di transizione rispetto al mio lavoro, è il momento che prenda nuove direzioni, che apra qualche nuova porta e perché ciò accada sento la necessità di stare ferma”. L’aspetto interessante del fermarsi e coltivare nel presente è la possibilità di far sbocciare le cose: “In questo mio nuovo stare c’è molta voglia di sperimentare, è il momento di uscire dalla mia zona di comfort. Ho molta voglia di lavorare, di quello ne sono certa, ma i processi prendono tempo e vedremo dove mi porteranno”. Già sa che a ottobre di quest’anno sarà in Colombia per una residenza artistica. L’avventura continua.