I panchinari del country: suoni dell’America della frontiera

Volete cogliere il senso più profondo (e anche contemporaneo) della musica dei cowboy? Ecco le suggestioni Dwayne Poteet e i consigli del nostro “Tondo”

Di Sandro “Tondo” Bassanini

Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, allegato a laRegione

Eviteremo di sprecare il nostro e il vostro tempo cercando di convincervi ad amare la musica country: sarebbe come cercare di spiegare a un texano il Festival di Sanremo… In quel caso, però, il tentativo di difendere Mahmood e Blanco significherebbe beccarsi il calcio d’una pistola in mezzo alla fronte. Non c’è niente da fare, dai: per un europeo – specie se d’estrazione urbana – la musica country resta ‘missione impossibile’, come lo è stata per me nel corso dei miei primi dieci anni di vita americana. Quando passava alla radio, la ascoltavo giusto quei cinque secondi necessari a girare la rotellina dell’autoradio e sintonizzarmi altrove. Questo fino a quando la mia società acquisì dalla concorrenza le loro attività in Texas, e mi spedirono laggiù a lavorare. Fu lì che tutto cambiò.

Houston, estate 1997

Atterrai a metà agosto, affittai un’auto e mi diressi a ovest verso Dell City, vicino al confine col New Mexico. Un trip surreale in mezzo al nulla, 1’150 chilometri d’asfalto completamente dritti – a parte due curve ad angolo –, cieli infiniti e quel tipo di vuoto che può ammazzarti l’anima oppure spalancarla verso l’ignoto, verso un territorio infinito fatto d’infinite possibilità. Al mio arrivo la musica country non solo la capivo: la bramavo. Durante quel viaggio e nei mesi, negli anni a venire ebbi la possibilità di ascoltare tutti i grandi del country, da Willie Nelson a Hank Williams, passando per Johnny Cash, Jimmy Rodgers, Patsy Cline, Waylon Jennings, Conway Twitty, Loretta Lynn e compagnia bella. Ma questa rubrica non consiste nel nominarli tutti, anzi, siamo qui per i panchinari. Ora: se c’è un esperto di panchinari del country, uno che ha vissuto sulla sua pelle la tristezza, le delusioni, la sofferenza quasi senza fine nelle quali è impastata questa musica, quello è Dwayne Poteet, clown da rodeo. Uno, insomma, che due o tre cose sull’intreccio tra dolore e musica le ha imparate.

Tondo: “Ciao Dwayne, per favore, spiega ai nostri lettori svizzeri cosa fa un ‘Rodeo Clown’”.
Poteet: “Pensavo che avremmo parlato del country!”.

T: “Poi ci arriviamo. Ma ho l’impressione che un popolo disposto a mettersi due assi ai piedi per lanciarsi sulla neve da tremila metri d’altezza a meno 15° centigradi potrebbe apprezzare il tuo lavoro”.
P: “Beh, prima spieghiamo il ruolo del cowboy da rodeo: sostanzialmente deve restare in equilibrio su un toro da più d’una tonnellata per almeno otto secondi. Il più delle volte cade prima, e quando cade arriviamo noi clown: dobbiamo distrarre il toro prima che si metta a passeggiare sul poveretto, con prevedibili conseguenze”.

T: “Ma come si distrae un toro?”
P: “È piuttosto semplice: ci vestiamo da pagliacci e corriamo di fronte al toro. Il toro incorna noi e il cowboy è salvo”.

T: “Ah, ecco. E come può venire in mente di lanciarsi in una carriera da clown di rodeo?”.
P: “Personalmente ho cominciato nel 1987. All’inizio lo facevo per le birre, poi è diventato uno stile di vita, è nato un legame fraterno con gli altri clown. Poi certo, tocca sorbirsi viaggi lunghissimi, la paga fa schifo e va a finire che ci si rompe un osso dopo l’altro. Però la birra è sempre fresca, le folle ci applaudono, e non c’è nulla di paragonabile alla sensazione che provi quando guardi negli occhi un toro brahman da duemilacinquecento libbre”.

T: “Messa giù così, non fa una grinza. Ora però parliamo dei panchinari del country. Cosa ci consigli?”
P: “Prima di tutto, una precisazione. Io vengo da Ballinger, in Texas, sicché mi rifiuto di prendere anche solo lontanamente in considerazione qualsiasi cosa spuntata fuori da Nashville, Tennessee, e contrabbandata come country. Il mio è il vero country”.

T: “Mi stai dicendo che Taylor Swift potrebbe venire esclusa dalla tua lista?”.
P: “Ma se di country non ha neanche gli stivali! E poi, scusa, come fai a cantare country se sei nata a nord della Mason-Dixon Line? (lo storico confine tra stati del Nord e stati confederati, ndr).

Tondo: “Sì, ma prima della classifica devo chiederti un’ultima cosa: ho letto che hai partecipato alla ‘Battaglia dei tori’ presso la prigione di Stato di Angola, Louisiana. Che roba è?”.
Poteet: “La prigione di Angola è la più famigerata di tutti gli Usa, la chiamano ‘l’Alcatraz del Sud’. Una volta all’anno, i detenuti possono partecipare a un vero rodeo. Ne ho allenati più nel ruolo di Rodeo Clown, e così facendo ho conosciuto alcune delle persone più incredibili. Nella vita qualche errore lo facciamo tutti, e a volte uno di questi errori ci costa la libertà. Ma questo non significa che non debba esserci possibilità di redimersi. Il country poi le ha viste passare, due o tre canzoni su questo tema…”.
Stateci bene!

LA CLASSIFICA

10. Tanya Tucker – ‘Delta Dawn’ (1973)
Una vera bellezza texana con una voce a tremolo che ti spezza il cuore. Quando ti trovi in uno di quei momenti esistenziali in cui hai davvero bisogno di Gesù, metti su Delta Dawn e ti ci avvicini immediatamente. Ho avuto bisogno dell’intervento divino più d’una volta nella mia vita, e questo pezzo non mi ha mai tradito. Curativa.

9. Roger Miller – ‘Wild Child’ (1965)
Dopo il rodeo c’è quasi sempre un ‘hoedown’, una festa danzante. I cowboy si danno una lavata, le ragazze si mettono in ghingheri, l’alcool comincia a scorrere e… beh, abbassa la puntina su “Playboy” e vedi un po’ che succede. Carnale.

8. Gene Watson – ‘No One Will Ever Know’ (1980)
La chitarra slide è una componente imprescindibile del country. In questo pezzo troviamo una combinazione micidiale di slide, violino e testi da fine d’un amore: proprio quello che serve per arrivare disperati a fine giornata. Miserando.

7. Patsy Montana – ‘Cowboy’s Sweetheart’ (1966)
“I want to be a Cowboy’s Sweetheart” (‘Voglio essere la morosa d’un cowboy’, ndr) fu registrata per la prima volta nel 1935. Patsy ci ha venduto un milione di copie! Ho scelto questo disco, ma i suoi potrei consigliarveli tutti senza esitazioni. Il suo stile di ‘Country Yodeling’ è qualcosa di leggendario, e non esiste un solo, vero cowboy che non la conosca e non l’abbia desiderata. Mitico.

6. The Louvin Brothers – ‘Tragic Songs of Life’ (1956)
Mettiamo che dopo un rodeo ti ritrovi con tre costole rotte e nessuna paga perché qualcuno ti ha fregato, devi guidare per 400 miglia per arrivare all’ingaggio successivo e la tua Chevy Silverado ha un disperato bisogno di rifare la trasmissione. Metti su questa perla e tutti i tuoi problemi passeranno in secondo piano. Desolato.

5. Tom T. Hall – ‘Ballad of Forty Dollars and Other Great Songs’ (1969)
La canzone perfetta quando hai 40 dollari in tasca e la strada ti si spalanca davanti. Finestrini giù, il cane sul sedile del passeggero, beef jerky, una Mountain Dew, sigarette e quella lingua d’asfalto. Cos’altro ti serve? Toccante.

4. Jean Shepard – ‘Got You On My Mind’ (1961)
Oltre il cuore spezzato: è lì che ci trovi Jean Shepard. Di canzoni strappacuore ce ne sono tante, ma nessuna come “Waltz of the Angels”. Cowboy e delusioni d’amore vanno a braccetto da sempre, sono inseparabili e inevitabili, è un fatto, la vita è fatta così. Solo che noi quelle delusioni non ci limitiamo ad accettarle: le facciamo nostre. Straziante.

3. Mark Chesnutt – ‘Longnecks & Short Stories’ (1991)
Ce lo infilo così non mi accusate di vivere nel passato, anche se ci vivo eccome. Mark Chesnutt è un vero cowboy texano, ma il suo album va giù come una birra del Colorado filtrata a freddo dopo un lungo viaggio. Una hit dopo l’altra di caro vecchio country, qualcosa che non vi deluderà. Affidabile.

2. Hank Thompson – ‘Take Me Back To Tulsa’ (1980)
Hank Thompson ha cominciato a tirar fuori un capolavoro dopo l’altro già nel 1954. Ho scelto Take Me Back To Tulsa perché ce l’ho su musicassetta e la mia Silverado del ’78 ha solo radio e cassette, sicché questa l’ho suonata fino al midollo. La terza traccia, “Texas and Okies”, è la polaroid di quello che siamo noialtri, una specie di Star-Spangled Banner dei cowboy. Non so neanche perché non l’ho messa al primo posto. Epica.

1. Garth Brooks – ‘Ropin’ The Wind’ (1991)
Qualcuno mi scorticherà per questo, ma tutti quelli che come me hanno la fortuna di poter campare con il country devono qualcosa a Brooks e a questo disco. Ropin’ The Wind ha catapultato nuovamente questo stile di vita sotto i riflettori e nel giro d’un soffio rodeo, stivali, cappelloni ‘Ten Gallon’ e tutto il resto sono tornati di moda. Come se non bastasse, stiamo parlando di un gran disco e di un classico del genere. Poi, certo, potremmo anche chiederci se Brooks non appartenga addirittura alla Top Ten degli artisti country. Boh, in ogni caso almeno l’undicesimo posto se lo merita tutto. Egregio.

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