“Te piace ’o presepio?”. “No!”. Il perché è una vecchia storia

Certe tradizioni forse non spariranno mai. Ma farle resistere al vortice dei pacchetti regalo a tutti i costi rimane una missione a volte assai complessa

Di Red.Ticino7

Pubblichiamo l’editoriale apparso su Ticino7, allegato a laRegione

Qua vengono tutte montagne, eh, con la neve sopra, le casette piccole… Le case piccole perché… per la lontananza. Qua viene il cacciatore, la lavandaia, eh… Questa è l’osteria e questa è la capanna dove nasce il Gesù Bambino. Deve nascere il Bambino là… Te piace, eh?”. “No!”. “Eh… beh, certo, si capisce. Quello adesso è abbozzato, non si vede niente. Quando è finito si può dare il giudizio. È giusto, non si può dire adesso…“.
In Natale in casa Cupiello di Eduardo De Filippo, il protagonista (Luca Cupiello) si dedica alla preparazione del presepe. Il figlio Tommasino (senza un’occupazione) non apprezza: a lui non piace. Non-gli-pia-ce. Che ci deve fare, è così. Secondo una lettura diffusa, in De Filippo il presepe è una metafora della tradizione. Quel “No, nun me piace!” (un tormentone, si direbbe oggi) è la negazione che scava la distanza tra Tommasino, il papà e quella fede paterna (apparentemente semplice, anacronistica agli occhi del figlio). Scritto oltre 90 anni fa, il capolavoro del maestro napoletano testimonia – per chi avesse dei dubbi – come le difficoltà dei genitori a trasmettere valori e simboli non siano un’invenzione dell’altroieri. Lo scontro e il rifiuto (a volte anche violento) dei modelli proposti in famiglia sono passaggi obbligati per lo sviluppo degli adulti di domani – meglio se critici e dunque portatori di nuove idee –, e la conseguente distruzione/ricostruzione degli standard (sociali, economici ecc.) dominanti.

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