L’arte ‘sociale’ di Manuela Villa-Petraglio
“Vado in studio, resto lì… a respirarne l’aria, tasto l’atmosfera, cerco di estraniarmi dal mondo esterno per entrare in una comunicazione con me stessa”
Di Marco Jeitziner
Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, allegato settimanale de laRegione
Classe 1961, è nata a Mendrisio, vive e lavora ad Arzo. Ha conseguito la patente di insegnante di scuola elementare, si è diplomata in pittura alle Belle Arti di Brera e ha studiato a Parigi a l’Académie de la Grande Chaumière. Si è formata in educazione creativa con Arno Stern, si è diplomata in lavoro sociale e ha conseguito un Master in artiterapia. L’incontro con lo scultore italiano Angelo Tenchio nel 1992 segnerà la sua crescita personale ed artistica. Ha esposto in Svizzera, a Como e a Parigi. È socia di Visarte-Ticino dal 1999. È docente all’Istituto S. Angelo di Loverciano.
Già da bambina amava disegnare e dipingere: “Tutte le attività creative in genere mi entusiasmavano. Crescendo questa mia passione si è intensificata sempre più” ci racconta l’artista. Persona sensibile, ad accompagnarla c’è sempre stato anche uno spiccato interesse rivolto al campo del sociale, infatti “l’incarico come educatrice all’Istituto S. Angelo di Loverciano mi ha stimolata a continuare la formazione professionale di educatrice sociale” spiega.
Guardare l’altro
Da giovane ha fatto di tutto e viaggiato tanto. “Ho lavorato nei campi più disparati, ho viaggiato per mesi nel Sud-est asiatico e in America centrale, attirata dal confronto con altre culture e altri popoli. Contemporaneamente ho vissuto un periodo molto ricco dal punto di vista artistico” spiega. Poi ecco il desiderio di diventare genitore: “Ho sospeso, durante circa tre anni, l’attività professionale in campo sociale per occuparmi di mia figlia adottata in Etiopia”, e poi ancora il richiamo alla cura dell’altro: “Con il desiderio di coniugare le attività professionali che avevo parallelamente praticato, l’arte e la relazione di aiuto, ho conseguito un Master in artiterapia”.
Dipingere intuizioni
Benché si sia avvicinata anche alla scultura, fondamentalmente è una pittrice. Il suo atelier è pieno di disegni e tele ammassati ovunque, grandi dipinti arrotolati appesi all’esterno in occasione del “World Art Day 2021”: si capisce che ama sia i colori sia le sfumature di nero. Vediamo animali, corpi femminili, volti di donne. “Inizio il lavoro mettendo in scena una specie di rituale. Ogni volta devo riappropriarmi dello spazio; vado in studio, resto lì… a respirarne l’aria, tasto l’atmosfera, cerco di estraniarmi dal mondo esterno per entrare in una comunicazione molto diretta con me stessa”. Petraglio spiega che così si stacca dalla volontà, la mette da parte e si pone in ascolto: “Lascio che siano i fogli, le tele a parlarmi, aspetto che le tematiche affiorino spontaneamente”. Quali i temi che dipinge? “Non sono tematiche ragionate, sono intuizioni”.
© Sylvana Raschke
Un processo personale
Da dove parte l’atto del dipingere? “Subentra la volontà di rappresentare ciò che è emerso e il lavoro inizia e prosegue. È un’alternanza di ispirazioni e atti meditati nella scelta di soggetti, materiali, tecnica, forme, colori, luci, spazi e dimensioni” spiega l’artista. Come potremmo definire la sua pittura? “Non è gestuale, ma il gesto, l’azione del dipingere, la modalità di esecuzione (ovvero mettere, togliere, dipingere, cancellare, agire, prendere le distanze, coprire, svelare, graffiare, strapazzare o accarezzare la tela, con veemenza o con delicatezza, con trascuratezza o con cura) sono già significative!”. Dipinge per il bisogno di esternare l’interiorità, per “rendere concreto, palpabile, uno stato emozionale e mentale, per un aiuto all’elaborazione di determinati vissuti. Il soggetto non è per me un pretesto e la sua scelta è stata sempre molto pertinente, simbolica, metaforica anche”. È in questo modo che la sua arte esplicita un suo bisogno di elaborazione, di comunicazione, di raccontare e talvolta anche di denunciare: ovvero “integrando l’atto creativo e la vita quotidiana. Un esempio è il dipinto ‘Profughi’ del 1999”, racconta.
Essere artisti oggi
Le chiediamo del significato di “Visarte-Ticino” oggi: “La nostra associazione ha vissuto tempi difficili. Capita! Ora siamo in fase di rinascita”, afferma. Reputa “significativo” e “importante” ciò che fece l’ex presidente Stefano Donati, e poi Sergio Morello. Oggi, dice, “apprezzo molto il lavoro portato avanti dai co-presidenti Matteo Fieni, Cosimo Filippini, da Al Fadhil e da tutti i membri del comitato. Credo ci siano buone prospettive, sono molto fiduciosa”. Ma il famoso “Ticino terra di artisti” ha senso? “Oggi ha valenza turistica”, commenta lapidaria. Come tanti altri, per poter dipingere ha ripiegato sull’insegnamento, perciò le chiediamo: così l’arte non diventa un hobby? “È una provocazione che non mi tocca” risponde.
Tra maestri e autenticità
Eppure chi è arrivato prima traccia sempre una via: quali i suoi referenti principali? “Angelo Tenchio è stato il mio maestro!” dice senza esitazione, lei che ha frequentato i corsi dello scultore comasco per due annetti. “Aveva una capacità di comprendere e di comunicare fuori dal comune, inserendosi nel processo creativo interiore dell’allievo”, afferma. Ma anche “il contatto con amici artisti è per me vitale”, precisa Petraglio, citando Marisa Casellini, Al Fadhil (di cui indossa una maglietta con lo slogan “Vietato aspettare”, a suo avviso “un messaggio perfetto, un urgente imperativo universale”), Flavia Zanetti, Nando Snozzi. Le piacciono Hodler e Segantini, e stima molto alcuni artisti della Svizzera interna quali Alex Zwalen, Patricia Jacomella Bonola e Giada Bianchi. Ma il nuovo nell’arte esiste davvero? “A livello artistico non credo si debba parlare di ‘nuovo’, ma di contemporaneità”, sostiene l’artista. “Io credo nell’autenticità, non nella ricerca del nuovo”.
© Sylvana Raschke