Danzando con Camilla Stanga

Classe 1996, una passione diventata mestiere. Il suo posto è il palco, ma anche il dietro le quinte del Festival di Narrazione di Arzo

Di Martina Parenti

Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, allegato a laRegione

Classe 1996, Camilla Stanga è una danzatrice e performer ticinese. Lavora con diverse realtà del territorio, ama disegno, collage e fotografia, che spesso utilizza all’interno del processo creativo delle sue performance. Insegna danza e teatro sia a bambini e adolescenti sia agli anziani nei centri diurni. Fa parte della Commissione artistica del Festival Internazionale di Narrazione di Arzo, giunto alla sua 22esima edizione e in programma quest’anno dal 18 al 21 agosto.


Arianna De Angelis
Camilla Stanga in ‘Khorakanè’

Ma tu, in pratica, che lavoro fai? È una delle domande che ogni artista, almeno una volta nella vita, si è sentito porre. Soprattutto da parte di parenti o conoscenti poco inclini a frequentare teatri e spazi scenici. Figuriamoci a quante bizzarre curiosità deve rispondere una danzatrice per spiegare che sì, c’è chi fa proprio questo nella vita. Usare il proprio corpo e la propria voce come strumento di lavoro e creazione artistica richiede inevitabilmente una bella scorta di coraggio e determinazione per affrontare a testa alta un provino andato male, un progetto saltato, un futuro incerto e precario o le quotidiane difficoltà di far girare la propria opera in patria e all’estero. Per non parlare poi di tutte le peripezie burocratiche per far tornare i conti e rivendicare il proprio status di lavoratrice indipendente a tutti gli effetti.

Lo sa bene Camilla Stanga, danzatrice classe 1996 nata a Mendrisio e residente a Bellinzona. Dopo un diploma in tecnologia tessile presso il CSIA di Lugano, decide di dedicarsi alla danza a tempo pieno, trasformando la passione in mestiere. Dopo una primissima formazione classica e un percorso pre-professionale con la compagnia giovani di Tiziana Arnaboldi, finite le superiori si trasferisce a Losanna per specializzarsi presso La Manufacture (Haute École des Arts de la Scène). Studia poi con i docenti dell’Accademia Dimitri portando avanti, in parallelo, collaborazioni e progetti con diversi gruppi di teatro, scuole e compagnie come i Giullari di Gulliver e il Teatro DanzAbile, focalizzati soprattutto sul teatro fisico e sull’arte inclusiva.

Il mio amore per la danza è nato fin dall’età di tre anni – dice Camilla -, i miei genitori mi raccontano che ballavo in continuazione e in casa mi spostavo da una stanza all’altra camminando sulle punte. Mi hanno dovuto portare da una psicomotricista per farmi perdere il vizio! In ogni progetto firmato da Camilla si intravedono curiosità e desiderio di esplorare linguaggi diversi, in una contaminazione continua di arti eterogenee come fotografia, musica, arte visiva, immagini. Questo accade ad esempio in Khorakhanè – un viaggio: omaggio danzato ai popoli erranti a partire da uno dei testi di Fabrizio De André. Con l’aiuto di un’amica interprete la danzatrice ha tradotto la canzone in lingua dei segni trasformando poi i gesti e la mimica facciale in danza e movimento: La lingua dei segni possiede una gestualità molto concreta, immediata, capace di aprire un canale di comunicazione per me inedito con il pubblico. Quello che tento di fare nei miei spettacoli è trasformare le immagini in corpo in movimento. In questa occasione mi sono ispirata anche ai ritratti fotografici di alcuni Rom fatti da Jeremy Sutton-Hibbert. Ho fatto una ricerca fisica partendo dalle loro posizioni. È stato un modo di portarli in scena con me.


Arianna De Angelis
In ‘Khorakanè’

Ma, oltre al lavoro sul palco, Camilla collabora da anni anche con il Festival Internazionale di Narrazione di Arzo lavorando dietro le quinte nell’organizzazione e nella programmazione, in sinergia con la Commissione artistica. La kermesse, giunta alla sua 22ª edizione e in programma quest’anno dal 18 al 21 agosto, nasce nel 2000 dall’idea di un gruppo di narratori (i Confabula – Associazione I Giullari di Gulliver) desideroso di creare una piccola rassegna dedicata alla narrazione, sulla falsariga di un’iniziativa simile vista in Burkina Faso. Un festival davvero molto particolare, che si snoda in una dimensione quasi intima tra corti private, giardini e piazzette di questo piccolo paese al confine con l’Italia, con la complicità e il benestare degli abitanti, pronti a condividere e a mettere a disposizione i propri spazi. Il pubblico, durante questi quattro giorni, ancora caldi ma già un po’ malinconici per l’atmosfera di fine estate che si respira, assiste a spettacoli interamente dedicati alla narrazione. Ma, cosa si intende, esattamente, per narrazione? Bella domanda! Il teatro di narrazione è un genere in continua evoluzione. Se inizialmente era più legato a temi sociali e di teatro civile, oggi è molto più vario. Le nostre scelte vanno su spettacoli che mettono l’attenzione sulle storie. Tra le più varie: accadute realmente, completamente inventate, per bambine e bambini o per un pubblico più adulto. L’importante è che ognuna di esse possa essere ricordata, tramandata, raccontata nuovamente. Ci piace pensare che tutte queste parole, dopo essere state pronunciate qui, continuino a viaggiare grazie alla memoria e alla voglia di condivisione del pubblico. Certo, poi dobbiamo necessariamente scegliere pièce senza troppe pretese tecniche, che possano adattarsi ai nostri spazi, assolutamente non teatrali.

Sono giornate magiche, quelle di Arzo, in cui tra le stradine capita di incontrare artisti di ogni genere, famiglie con bambini e gruppi di giovani, sentire voci, canzoni, risate, musica dal vivo. Ma, soprattutto, capita di intercettare di nuovo vecchie storie, rimaste incastrate tra i mattoni delle case e ancora sussurrate di bocca in bocca. Come quella di una persona che un anno si presentò con il suo violoncello alle audizioni per la sezione esordienti, incantando la commissione con una bellissima storia di un rinoceronte senza il passaporto. L’aveva scritta per i suoi nipoti per spiegar loro in modo semplice e poetico la drammatica questione dei sans papier. Ovviamente è stato selezionato.

Quell’uomo era Marco Mona e qualche anno dopo sarebbe diventato il presidente del Festival.

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