1821-2021: buon compleanno, maestro!
L’11 novembre si celebra il bicentenario della nascita dello scrittore e pensatore russo Fedor Dostoevskij, fra i capisaldi della letteratura mondiale
Di Palma Grano
Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, allegato del sabato a laRegione
Le sue opere sono state tradotte in ben 170 lingue e in questi duecento anni sono sempre state considerate un potente stimolo, non solamente per il discorso filosofico, la ricerca scientifica e le rappresentazioni teatrali e cinematografiche, ma anche per lo studio della lingua russa da parte di stranieri.
Anche se i suoi libri sono riusciti ad attraversare ben due secoli, pare legittimo chiedersi se una figura letteraria di primissimo ordine come Fedor Dostoevskij riuscirà mai ad accalappiare l’interesse dei Millennials e continuare a essere una lettura fondamentale. La sfida è ardua, ma il personaggio, sebbene sia figlio del suo tempo, ha tutte le carte in regola affinché le sue opere (su carta, in digitale o in audiolibro) continuino a stimolare l’intelletto di ragazze e ragazzi. Se pensiamo che Einstein affermò che Dostoevskij gli aveva dato più di ogni scienziato, anche più di Gauss, e che Albert Camus lo definì “il vero profeta del secolo XIX”, forse si può ancora sperare che il Dosto – chiamiamolo amichevolmente così – diventi proprio “amico” di qualche Millennials.
Un’enorme influenza
Dostoevskij ha avuto la capacità, a sua insaputa, d’influenzare molte menti brillanti (Friedrich Nietzsche, Jean-Paul Sartre, Jorge Luis Borges, Ernest Hemingway, Orhan Pamuk sino a Woody Allen). Nella sua introduzione a I demoni – 1871, una delle sue opere più importanti – Borges afferma che “come la scoperta dell’amore, o la scoperta del mare, scoprire Dostoevskij marca una data memorabile nelle nostre vite”. L’atteggiamento di Hemingway verso Dostoevskij si riflette nella sua opera Festa mobile, quando scrive: “In Dostoevskij c’erano cose credibili e da non credere, ma alcune così vere che ti cambiavano mentre le leggevi: fragilità e follia, malvagità e santità”. Pamuk ammise che, quando lesse I fratelli Karamazov (1879), realizzò che la sua vita era cambiata per sempre. Si sentì come se Dostoevskij stesse parlando direttamente con lui rivelandogli qualcosa sulle persone e sulla vita che nessun altro sapeva. E Woody Allen? In che modo è stato influenzato dallo scrittore russo? Forse vi ricorderete del film Match Point (2005), il primo di una serie di opere ambientate in Europa, a Londra. È forse il film di cui il regista si sente più orgoglioso, e che potrebbe essere visto come una rilettura particolare di Delitto e Castigo (1866), opera alla quale egli fa riferimento anche in altri film. Ma è in Match Point che lo stesso regista fa due cenni concreti a Dostoevskij. Uno dei personaggi parla dello scrittore russo con ammirazione, ricordando una conversazione su Dostoevskij. E la telecamera, in un’altra scena, mostra il protagonista mentre legge proprio Delitto e Castigo. Inoltre se, come sosteneva il filosofo e scrittore Nikilaj Berdjaev (uno dei massimi specialisti dell’opera di Dostoevskij), “il vero tema era l’essere umano” con le sue riflessioni sul bene e sul male, la morte, l’immortalità, Dio e le sue profezie sui totalitarismi del XX secolo, lo stesso può essere detto anche per il regista newyorkese.
Una vita avventurosa (e rischiosa)
Lo scrittore non fu certamente il solo a rendere la letteratura russa del secolo XIX conosciuta in tutto il mondo (potremmo citare Aleksandr Puskin, León Tolstój, Iván Turgénev o Antón Checov), ma come per tutti i grandi scrittori, l’unicità di Fedor sta proprio nella sua particolarissima traiettoria biografica, che rese la sua vita il copione perfetto di una storia da grande schermo. Sono molti, infatti, gli eventi della sua vita che meritano attenzione. Tra i principali troviamo la scampata esecuzione, gli anni di prigionia in Siberia, le crisi epilettiche, il gioco d’azzardo – tutti fatti così noti che gli fecero raggiungere una grande celebrità a prescindere dalle sue opere. Tra gli episodi che definiscono certamente un prima e un dopo, si può ipotizzare che l’essere stato graziato dallo zar trenta secondi prima della sua esecuzione, sia stato per lui un “incidente biografico” di non poco conto. Ebbene sì, nella Russia dell’Ottocento leggere una lettera del critico Vissario Belinski destinata a Gogol che si opponeva al pensiero di quest’ultimo – lo scrittore difendeva la superiorità dei proprietari terrieri sulla servitù della Gleba – poteva costare molto caro. Leggere questa lettera al Circolo dei Socialisti, da lui fondato, gli costò quasi la vita. Ma come nelle migliori storie possiamo dire che gliene restituì una seconda. Dovette però passare per quattro anni di lavori forzati e tra il 1849 e il 1859 fu esiliato in Siberia. Chissà cosa gli sarà passato in mente in quell’eterna attesa; di certo riuscì a capitalizzare la sua leggenda attingendo agli incidenti altamente drammatici della sua vita per creare i suoi più grandi personaggi.
A causa del gioco d’azzardo Dostoevskij aveva sempre bisogno di denaro e doveva affrettare la pubblicazione delle sue opere. Anche se si lamentava che scrivere con una scadenza gli impediva di raggiungere i suoi pieni poteri letterari, è altrettanto possibile che il suo stile frenetico di composizione conferisse ai suoi romanzi un’energia che contribuisce al loro fascino. Senza sminuirlo, potremmo dire che abbia fatto “di necessità virtù”. Sarà proprio dopo il periodo in Siberia che Fedor scriverà le sue opere più belle. In secondo luogo egli notava spesso che, a differenza degli scrittori della nobiltà che descrivevano la vita familiare della propria classe, plasmata da “belle forme” e tradizioni stabili, lui esplorava le vite delle “famiglie accidentali” e degli “insultati e umiliati”.
Paolo Nori e le letture generazionali
A chi volesse meglio approfondire la sua vita e cercare di cogliere la sua “atemporalità” è consigliata la lettura di Sanguina ancora (2021), l’ultimo libro di Paolo Nori. È un volume appassionante, nel quale l’autore si addentra nell’incredibile vita di Dostoevskij. Tra i tanti libri che esistono sul grande uomo russo, quello di Paolo Nori sembra il libro iniziatico per eccellenza. Nori conosce perfettamente tutte le opere del Dosto, ma afferma in un’intervista del 24 settembre 2021 col filosofo e youtuber Riccardo Dal Ferro che “siccome Dostoevskij parla della vita e della morte, se uno ti dice che è esperto di Dostoevskij è come se si dichiarasse esperto della vita e della morte. Ciò è impossibile”.
Nori prova a cercare di capire lo scrittore russo da decenni attraverso la lettura e la traduzione in italiano delle sue opere. Attraverso Sanguina ancora si viaggia nel tempo, ma si viaggia anche nella vita di Nori stesso, una vita in dialogo con i personaggi dei libri di Dostoevskij. Infatti, più che di una biografia di Dostoevskij, Paolo Nori racconta la propria storia, ma è una storia che ci fa capire come lo scrittore russo possa essere utile per riflettere sulla nostra personale esistenza. Interessante sapere anche che Nori inizia a leggere Dostoesvkij a 15 anni prendendo un libro (Delitto e Castigo) del nonno di professione muratore che, invece di guardare la televisione, dopo il lavoro preferiva passare le serate a leggere. Ecco, questo è forse l’“incidente biografico” di Nori che rende Dostoevskij accessibile e ne determina poi il suo percorso nel mondo della letteratura russa. Direte, perché parliamo di chi lo ha tradotto e non di Dostoevskij? Perché citare chi lo ha letto ci fa capire come le letture del Fedor – sebbene portino il marchio della “letteratura russa” e quindi possano sembrare delle letture ostiche – possano anche essere accessibili a tutti. E oggi? Si può leggere Dostoevskij in adolescenza come fece Nori? Di certo resta improbabile (ma non impossibile) che i ragazzini di oggi prendano Memorie dal sottosuolo, I fratelli Karamazov, Delitto e Castigo come libri per le vacanze, ma ciò che ci fa riflettere è come delle frasi quali “Io sono qua da solo e loro sono tutti”, da Memorie dal sottosuolo (1864), rimangano in verità significative per tutti gli adolescenti, ieri come oggi, in un qualche momento della vita. Paolo Nori e la traduttrice del libro fanno l’esperienza con i figli adolescenti, chiedendosi se avessero già pensato a questo. La risposta è affermativa.
Immortale, per davvero
Forse sono queste le prove che Dostoevskij ha una chance di vincere il tempo e lo spazio. Concediamoci almeno il beneficio del dubbio. Intervistando due lettori vediamo come Dostoevskij sia stato una scoperta fondamentale proprio in adolescenza. Il signor Luigi, divoratore in gioventù dei libri di Dostoevskij, infatti ci confida: “Il romanzo che più mi ha sorpreso è Il giocatore (1866), il libro che Dostoevskij riserva proprio all’amore. Il protagonista, Aleksej Ivanovic, è un esempio perfetto della vita scevra da qualsiasi calcolo e, come Dostoevskij, sul tavolo verde si rovina e si riscatta. Da lì mette la sua vita nelle mani di Paulina e giocherà un’ultima volta, sia i soldi sia la vita, quando sarà certo dell’amore di lei”. Questo romanzo fu scritto in 26 giorni e fu dattiloscritto proprio dalla sua futura moglie, la stenografa Anna Snitkina (1846-1918), persona fondamentale nella vita letteraria di Dostoevskij. Fu lei la curatrice e memorialista dello scrittore. E qui si conferma il detto secondo il quale “dietro un grande uomo, c’è una grande donna”.
Un altro lettore, Riccardo, che già in adolescenza si è cimentato nel leggere I fratelli Karamazov, li definisce “mille pagine di filosofia e psicologia selvaggia. Pensare che uno scrittore religioso sia riuscito a creare un personaggio come Ivan Karamazov, completamente ateo, ci fa capire la sua abilità, oppure l’abilità del Dosto. Una lettura che non è facile. Quindi a un adolescente forse consiglierei Memorie dal sottosuolo”. Al liceo lesse inoltre L’idiota (1868) e lo ha riletto dopo trent’anni per capire come sono invecchiati lui e il libro. Ci racconta: “Mi è sembrata incredibile la capacità nel descrivere le miserie e le virtù del carattere umano. Come papà mi chiedo quanto tempo possa ancora reggere Dostoevskij tra le nuove generazioni”. Forse questo padre ha ragione. Speriamo che quel “lasciateci soli, senza libri, e saremo persi, abbandonati, non sapremo a cosa aggrapparci, cosa amare, cosa odiare, cosa rispettare e cosa disprezzare” scritta da Fedor non sia per molti giovani un’esternazione da sostituire con un più contemporaneo “lasciateci senza Snapchat, Instagram…”.
Di certo questo mondo – digitale, connesso, mutante – ha ancora bisogno di scrittori che non giudicano, che raccontano gli aspetti più oscuri della psiche umana e hanno compassione per i loro personaggi. Fedor Dostoevskij ci ricorda che l’ideale della bellezza con la B maiuscola va di pari passo con la vita spirituale e non si trova in rete. Auguri maestro, e altri cento di questi anni!