New Order. ‘Movement’ compie 40 anni (e scusate se è poco)

Siamo nel 1981. Nell’arco di poche settimane la Factory Records pubblicherà due album: l’ultimo (postumo) dei Joy Division e il primo del gruppo che nascerà sulle sue ceneri

Di Jacopo Scarinci

Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, allegato del sabato a laRegione

Uno dei suicidi più annunciati e che maggiormente sono entrati nella mitologia della musica pop (quello di Ian Curtis, cantante dei Joy Division) si consumava nelle prime ore di domenica 18 maggio 1980. La mattina dopo – scrive il bassista Peter Hook nel suo monumentale Joy Division. Tutta la storia – lui, il chitarrista Bernard Sumner e il batterista Stephen Morris erano di nuovo in sala. A provare. Con il testamento di Curtis da affinare, cioè i suoi ultimi brani in via di elaborazione (‘Ceremony’ e ‘In a Lonely Place’) che comporranno il primo singolo ufficiale dei New Order. E il riff iniziale col basso elettrico a sei corde di ‘Dreams Never End’, scritto da Hook nella sua camera poche ore – “passate impietrito” dirà lui – dopo aver saputo della morte del cantante. ‘Dreams Never End’ diventerà la traccia d’apertura di Movement, primo disco dei New Order. Ovvero i Joy Division senza Curtis, con ‘Barney’ Sumner alla voce e il fondamentale ingresso nel gruppo di Gillian Gilbert.


Il cantante e chitarrista Bernard Sumner (dietro) e il bassista Peter Hook.

Bello ma ‘indigesto’

Odiato dagli stessi membri del gruppo, brani mai più suonati nella loro più che ventennale carriera come band ad alto livello dopo la relativa tournée, Movement è per certi versi l’ultimo vero disco dei Joy Division più che il primo dei New Order. Scrive Simon Reynolds nella Bibbia intitolata molto semplicemente Post-Punk che il gruppo “passò la seconda metà del 1980 a brancolare in cerca di una nuova direzione” e la strada fu trovata per caso da Martin Hannett, loro tecnico del suono e produttore: insegnò ai quattro come usare la console di mixaggio, ricorda ancora Reynolds. L’inizio di tutto. L’11 novembre 1981 – scrive la Factory Records; ma altre fonti parlano del 13 o del 19 novembre – il disco compare negli scaffali dei negozi: indubbiamente c’è ancora tantissimo della vita precedente ma ci sono elementi di novità che saranno alla base del decennio appena iniziato. Se i brani ‘Truth’ , ‘The Him’ e ‘Doubts Even Here’ hanno ancora testi cupi e introspettivi e una batteria che qualcuno definisce a ragione ‘una macchina da guerra’, il suono è palesemente più aperto e meno pesante: è la wave, bellezza. Per i New Order il post-punk è durato lo spazio di capire come usare un mixer e la drum-machine. Il basso (inconfondibile) di Hook è protagonista assoluto del disco, e lo rimarrà anche quando il gruppo scoprirà gli Stati Uniti, la scena dance e il loro suono già aperto si trasformerà sempre più in colonna sonora di un’elegantissima discoteca per niente cialtrona e anzi raffinatissima.


18 dicembre 1979: i Joy Division al concerto di Les Bains Douches, Paris. Ian Curtis è l’ultimo a destra. Si suiciderà cinque mesi dopo.

1981: passaggio di testimone

Preceduto l’8 ottobre 1981 dall’uscita di Still – doppio album postumo dei Joy Division composto da brani inediti e dal vivo, inclusa una versione live di ‘Ceremony’ datata 2 maggio 1980; vedi sopra la copertina di una delle numerose ristampe in cartoncino, l’originale era in stoffa –, Movement è il masso di tre chili buttato nell’acqua profonda. Tutto quello che seguirà sono le onde circolari che si propagheranno per anni e anni. Aiutati molto dalla libertà assoluta di cui godevano con la loro etichetta, la gloriosa Factory Records. I loro dischi avranno copertine minimali e ricercate, per niente spendibili a livello di mainstream né commercialmente ‘sexy’. E questi dischi non avranno mai al loro interno i singoli, i brani da hit parade, che sono andati a scrivere la storia dei New Order. Quelli sono sempre stati una cosa a parte, riassunti più tardi nella raccolta Substance del 1987 (che richiama, guarda caso, l’omonima raccolta dei singoli e dei brani ‘sciolti’ dei Joy Division apparsa nell’88). Un percorso diverso da quello dei singoli è quello degli Lp: meno sperimentale e meno votato alle vendite, ma inteso quasi andasse a creare il tappeto giusto e il contesto adatto per poi uscire con le bombe, i sintetizzatori andanti e il videoclip. Tra cui quello, clamoroso, di ‘Perfect Kiss’. Brano contenuto nel disco Low-Life del 1985, ma per il quale il regista Jonatham Demme propose di registrare un’esecuzione molto allungata dal vivo. Arrivato in studio e non vedendo la batteria, gli caddero le braccia per non dire altro; la soluzione fu riprendere Morris sempre dal petto in su, mentre governava la drum-machine. E, nel finale, mostrando lo studio di registrazione con il poster dei Joy Division attaccato di fianco a una porta dove entra un fascio di luce fortissimo e una persona non identificabile. Ian Curtis che è lì, a guardarli ancora?

SETTE BRANI DA RIASCOLTARE

1. ‘Ceremony’
Scritta da Curtis 16 giorni prima di suicidarsi (preda di crisi epilettiche sempre più debilitanti) è l’ultima canzone scritta dai Joy Division e la prima incisa dai New Order. È il lascito per il nuovo inizio, con Curtis che scrive di “viali alberati dove vedo me e poi te cominciare a guardare per sempre, per sempre, crescere l’amore per sempre” e Sumner che canta imitando Curtis meglio di quanto faceva Curtis stesso. Il lato B propone ‘In a Lonely Place’, che a sua volta rappresenta bene il momento di passaggio tra le due identità musicali.

2. ‘Everything’s Gone Green’
Si è partiti, forza, avanti tutta. Riff di basso martellante per iniziare, synth programmato e tutti a ballare. Primo singolo dopo Movement, è il primo passo verso la scena dance e una wave più effettata, danzereccia e lontana dai testi laceranti di curtisiana memoria.

3. ‘Temptation’
Ma sì, tutto in grande: due, anzi tre versioni. Le prime di prova e poi la definitiva del 1987. Passata sottotraccia alla sua uscita, esploderà nella colonna sonora di Trainspotting (1996): prima canticchiata da Diane nella doccia, poi in sottofondo alla scena in cui Renton chiacchiera amabilmente coi genitori della minorenne con la quale è appena andato a letto.

4. ‘Perfect Kiss’
Cavalcata di sintetizzatori e basso elettrico che fa entrare i New Order nel pop, testo letteralmente incomprensibile, forse il loro manifesto degli anni Ottanta. E il video di Demme a renderla immortale, grazie anche a un Peter Hook che decide di suonare con pantaloni della tuta sformati e chiodo di pelle. Che stile.

5. ‘Sunrise’
Nervosa, un’accelerata continua, la chitarra di Sumner per la prima volta protagonista al pari del basso di Hook, quasi sei minuti di rock anni Ottanta, tra inno da stadio e incedere sregolato. Il disco che la contiene (Low-Life, 1985) venne registrato in una sola notte col gruppo in preda a ogni sorta di sostanza. Chi l’avrebbe mai detto…

6. ‘Elegia’
Brano che segue ‘Sunrise’, uno dei pochissimi interamente strumentali, il commiato definitivo da Curtis. Lenta come una marcia funebre, un distacco dalla vita che fu. Sul tappeto di cui Gillian Gilbert è assoluta protagonista si possono leggere le parole di Hook nella sua autobiografia di cui sopra: “Io mi sentivo colpevole della morte di Ian. Colpevole perché, come tutti, gli davo retta quando diceva di stare bene; ero talmente preso da me stesso e dalla band che non mi sono mai fermato ad ascoltare i suoi testi, o lui, e pensare: ‘Ha veramente bisogno d’aiuto’”.

7. ‘Blue Monday’
Perché si deve. Perché è storia. Perché è pura vita che pulsa dopo qualche momento di morte apparente. Perché tutto va avanti. Sempre. Uno dei brani più influenti della musica disco-pop.

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