“Sulla Rolls di Lennon”. Un racconto di Giorgio Genetelli

Un manipolo di amici, una macchina musicalmente leggendaria, un viaggio senza meta, quella voglia di trasgredire e mandare tutti a quel paese. Se ancora si può fare

Di Giorgio Genetelli

Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, allegato a laRegione.

L’auto di John Lennon è in un museo da qualche parte. C’è scritto qua, dico. La tirano fuori di rado perché il tizio che l’ha decorata ha usato colori delicati come i tuoi.
Il Frank sta strusando con inchiostri per serigrafia.
Questi colori sono eterni, ribatte piccato come se lo avessi offeso personalmente. Secondo me gli girano perché avrebbe voluto dipingerla lui, certamente meglio. È sempre così: se una cosa non può rasentare la perfezione, meglio rinunciare. Inutile discutere. Possiamo sempre rubarla e rimetterla in giro, no? Yes.
Il piano è così semplice che potrebbe riuscire.
E infatti. Riportarla a una nuova vita circolatoria è facile: il Meo e la Gigi dietro l’angolo a fare i pali, io a tenere aperto il portone, tu ad avviarla e condurla fuori nel fondo della notte con la prudenza che usi con il tuo pickup gibollato.
Ah, è una Rolls Royce senza servosterzo. Una patacca.

Il piano è scacciare l’oblio e metterci in giro fino a quando non ci fermeranno, ammesso che, chiaro. 

You may say I’m a dreamer
But I’m not the only one

Fab Four: il Meo e la Gigi, io, e tu alla guida, che sei sempre bizzarro con gas e debraille e gli spaventi ai pedoni si assommano e si guma di brutto. Sequenza: il mezzo esce dal museo, scende dal marciapiede con un paio di rumoracci di tolla e saltiamo a bordo come su un immenso bob a quattro sgargiante, tutti dietro, tu con la paglia in bocca e una ruga di concentrazione sulla fronte sgombra. Fa effetto.
Secondo me, oltre al volante, anche le marce sono al contrario e ingranano con rumore e scintille da altoforno. Pacifici, però, discendiamo Portobello Road cercando un assetto e una volta trovato andiamo alla risalita delle valli, con la Verzaschina in quadrifonia per lasciare al Meo il tempo di abituarsi agli spazi e ai tempi senza doverlo legare alla cintura che non c’è. Sai com’è.
Al decimo chilometro, lisci lisci, si stappano le birre, con gazosa per il Meo, scura per me e per la Gigi. A te, tranquillo, barbera Montorio come da status, altrimenti ti immalinconisci e il rischio per i rari pedoni supera ogni limite. Poi ci tocca forzare una specie di posto di blocco formato da agenti di sicurezza imbarazzati dai vestiti, dall’eloquio e dalla vita in generale. Con i funghi allucinogeni disegnati sulle fiancate, passiamo in curva salutando il popolo asserragliato al Crot, in un luccicare di cromo e d’occhi liberati dalle fette di salame.
‘ViaSuisse’ annuncia la presenza di una macchina colorata e fuori catalogo, con gente ignota a bordo, probabilmente in atto di infrangere più leggi in un colpo solo.
Mettiamo una cassetta meno petulante.
A metà Valmaggia, la folla si dipana in vere ali, sulle quali veleggiare alle note della Locomotiva e con la fiaccola dell’anarchia come antenna. Telefoniamo ai parenti, diciamo che stiamo bene e che torneremo, un giorno. All’imbocco della Bavona, balza a bordo anche la Maddalena mollando la scopa e l’equipaggio si alza molto di tono. Vecchio Frank, okay, ti commuovi a Sabbione e pennelli giravolte in controsterzo; il Meo propone “Gavabondo” e si canta tutti, meno il pilota che, se non fuma, barbereggia spianato e ci vuole orecchio.
Giusto.
La Rolls arcobaleno ribalta tradizioni di grigio, scuote pietraie e ontani, attraversa abitati di granito. A Sonlerto si schiaccia il clacson e rispondono incitamenti altissimi. Ormai il pubblico è da Izoard. Lontano stridono le sirene della pola, come le voci delle mamme per cena, ma stavolta non ci avranno.
Un balzo e siamo a Robiei, la Rolls psichedelica piega i placidi rododendri al volere della strada e una colonia di marmotte fischia come a Marylin. Dal Cristallina piomba a volo d’aquila su Bedretto e atterra alzando dall’asfalto un bel fumo acre che buca l’ozono, intanto che Bertoli, il Pierangelo, spera che un qualche vento soffi ancora.
La Rolls sconvolge Airolo come favonio, appunto.
Poi arrotiamo la Tremola scardinando il selciato e tagliando le curve, arrocchiti alla Janis che anche lei ne aveva una così di macchina, dici senza girarti. Il frigobar è inesauribile, i finestrini sempre bassi, le marce indovinate a puntino. Teniamo la carreggiata a sinistra, per stare sul pezzo.
Ora sei Jim Clark con casco e paraorecchie in una nuvola di mille sigarette, la Gigi intona una Revolution un po’ soul e poi si scola una Guinness, il Meo si fa stappare una gazosa al mandarino, che a una certa quota è leggenda e ce la faccio senza spruzzare, tra i denti un Avana rinsecchito.
La Maddalena con foulard di seta e occhiali neri è Angelina Jolie sulla Croisette.
All’Ospizio, la sorgente dei quattro fiumi, ci aspetta l’esercito, lo vediamo là in fondo impettito, al solito. Saltiamo fuori dalla macchina lanciata in corsa, pesante come tutte le robe inglesi, e la guardiamo per l’ultima volta mentre si infila nella bocca del cannone con un bouquet di fiori. Le mandiamo baci baci baci.
Torniamo indietro a piedi, stanchi ma contenti.
Ecco qua, facile no?
Il Frank si gira, sogghigna storto per non farsi cadere la Gauloise e mi dice che okay, il piano potrebbe funzionare.

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