Aimo Cerati e i segreti dei cappelli

Lo potete incontrare (a distanza) sul lungolago di Lugano: “Quando inizia a nevicare sul Brè mi preparo a vendere di tutto”, non solo copricapi…

Di Cristina Pinho

Pubblichiamo un articolo apparso sabato su Ticino7, allegato a laRegione.

Ha 56 anni, viene da Mariano Comense ed è stato cresciuto con una mentalità per cui nel lavoro sono fondamentali lʼimpegno e la dedizione. Caratteristiche che non mancano ad Aimo Cerati, di professione cappellaio, con una lunga tradizione del mestiere alle spalle. In passato col suo camioncino-negozio faceva tappa nei mercati in Italia. Dal 2010 è stanziale sul lungolago di Lugano e dallo scorso maggio occupa una struttura messagli a disposizione dalla famiglia Rezzonico, che noleggia barche e pedalò, ʻa cui sono molto gratoʼ. La sua attività è legata al meteo: ʻQuando inizia a nevicare sul Brè mi preparo a vendere di tuttoʼ, che vuol dire pure berrette, sciarpe e ombrelli (li ripara anche). Restando sulla sua specialità, di cappelli ne ha per tutti i gusti, a cominciare dai suoi: ʻNon dico che li porto quando dormo, ma quasiʼ.

Incastonata in mezzo a punti cardinali da cartolina – tra il monte Brè e il San Salvatore, il lago di Lugano e il cuore della città – da qualche mese a questa parte si trova una piccola costruzione a listelli color ocra che fino allo scorso maggio era un box da cantiere in disuso. Si tratta della nuova sede della cappelleria di Aimo Cerati, che su Riva Vincenzo Vela ha trasferito la sua attività di alcuni metri, lasciando la vecchia biglietteria della Navigazione che 10 anni prima aveva adibito al commercio di copricapi. “È oltre un secolo che la nostra famiglia vende cappelli, è un lavoro iniziato dal mio bisnonno nel 1896 e tramandato di generazione in generazione. Mi ricordo che fin da quando ero piccolo c’erano sempre tante scatole di cappelli ovunque e i miei genitori mi costruivano delle grandi case giocattolo con i cartoni. Mi sono sempre trovato bene in quell’ambiente e da ragazzo ho deciso di seguire le orme di chi mi ha preceduto”.
Inizia così la sua attività nei mercati del Nord Italia. Come testimoni in bianco e nero di un suggestivo amarcord, tira fuori dall’archivio personale un tesoro di fotografie d’altri tempi, ritagli di giornale, segnaprezzo fatti a mano dal nonno. “Questa – indica un volto sorridente – è mia mamma al mercato di Como. Questo accanto ai banchi sono io alla fiera di Carugo con il nostro inseparabile cane. Questo invece è uno dei più bei camioncini posseduti da mio papà – gira l’immagine, era il ’59 –, aveva la vetrina esterna e nei pomeriggi girava per i cortili a vendere cappelli; era splendido, mi diceva”.

 


© Ti-Press

Con la cura di un tempo

Il suo stretto legame con il commercio di una volta fa di lui uno di quei resistenti che si incontrano sempre meno: “Non sono molto social e non vendo online – dice senza ostentazione, come se semplicemente fosse un universo lontano –. È mia moglie ad aver maggiore dimestichezza con i mezzi virtuali. Quello che amo di più del mio lavoro è il rapporto diretto con la gente, capire cosa cerca, consigliarla; in questo modo fidelizzo i clienti e nasce il passaparola. Sono forse un po’ all’antica, ma è più romantico”, commenta sorridendo. Il suo è un lavoro che nel tempo ha visto le consuetudini mutare: “La gente una volta non usciva di casa senza cappello, poi questa abitudine ha cominciato a perdersi. A Como in passato c’erano sette negozi specializzati, adesso ne rimane solo uno. Il cappello non è più un articolo di moda, lo sono certi modelli che magari vanno per un periodo, come ad esempio il panama in estate, ma il classico in feltro ora è piuttosto di nicchia”. La concorrenza dovuta alla grande distribuzione si sente, tuttavia i supermercati difficilmente riescono a soddisfare gli appassionati, che fanno ancora affidamento su posti come ‘da Cerati’. “Grazie alla collaborazione con aziende serie abbiamo sempre puntato molto sulla qualità, che in aggiunta al servizio accurato ha permesso negli anni di farci un nome. Inoltre ho mantenuto la possibilità di scegliere tessuti, colori, modelli, così da proporre anche dei prodotti non convenzionali”.

L’amore per il territorio

Il viavai che anima la passeggiata a lago tradizionalmente è composto da turisti internazionali, o almeno così era fino a prima della pandemia. “Vista la situazione venutasi a creare quest’anno, in estate credevo di lavorare poco, invece c’è stata una buona risposta da parte degli svizzeri. Non potendo girare, hanno scoperto il Ticino e in diversi hanno scoperto pure me. Ho anche molti clienti locali, ma devo dire che il luganese fa un po’ fatica a passare di qua per gli acquisti, tende piuttosto a girare nelle vie classiche perché pensa che sul lungolago si trovino solo cartoline, magneti e gelati. Ma pian piano stanno arrivando pure loro”. La città, tuttavia, gli ha fin dall’inizio riservato un’ottima accoglienza, come già a suo padre Luigi, che oltre a cappellaio era un artista e a Lugano ha trovato un riscontro immediato, arrivando anche ad esporre. Tra le caratteristiche ereditate da Aimo, la capacità di trasformare oggetti in disuso in opere con un’anima, e la propensione per gli spazi esterni: “Essere all’aria aperta, oltretutto affacciato sul lago, per me è un grande privilegio”. Quando gli chiedo del rapporto con la distesa d’acqua che riflette il cielo alle sue spalle, gli occhi, al suo pari, si fanno lucidi e increspati: “Mi commuovo un po’…  Le domeniche venivo qui a passeggiare, ed è proprio sulla sua riva che ho trovato una postazione non eccessivamente cara per trasferire la mia attività. Il lago per me è stato un po’ come la mamma, in fondo è grazie a lui che ho avuto modo di venire a vivere in questa città. In cambio da parte mia cerco di contribuire a valorizzare il luogo con quello che faccio”. Clienti affezionati e passanti, che non di rado gli chiedono il permesso di fare qualche scatto, sembrano particolarmente apprezzare.

 

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