Quando finisce un libro
Ovvero, quando amare non significa aggiustare. Perché nessuno è aggiustabile.
Di Laura (la Ficcanaso)
Pubblichiamo un contributo apparso in Ticino7, allegato del sabato a laRegione.
Premetto che scelgo i libri per colore e mi tengo alla larga da quelli che superano un certo numero di pagine. Così come mi sono sempre tenuta alla larga dagli uomini più giovani, finendo incidentalmente per averne uno stabile sul divano tutte le sere. Sette giorni fa ho finito un libro che non avrei mai pensato di poter affrontare, di lunghezza paragonabile al Signore degli Anelli, tomo che mostro con orgoglio alla prole come prova della mia buona volontà, omettendo di essere stata indotta all’impresa dall’uscita imminente del film. La premessa è doverosa per spiegare che ho iniziato Una vita come tante (Hanya Yanagihara) con poca convinzione, per di più seccata dal fatto di leggere su Kindle e non poter dunque mostrare al prossimo lo spessore dei miei sforzi (ma per chi volesse, ecco qui sotto di cosa stiamo parlando…).
Ebbene, è passata una settimana e ancora non riesco a prendere in mano un altro libro, il cuore affaticato come se avesse corso troppo. È una storia d’amore straziante e meravigliosa, una storia di cicatrici al termine della quale ti porti a casa un senso di stordimento e di vuoto, di nostalgia, di mancanza, un affetto profondo per quei quattro amici del college diventati adulti di successo.
Ora bisognerebbe andare avanti e trovare un bel libro per l’estate, del resto prima o poi anche noi faremo una valigia. Eppure, non c’è titolo affrontabile. Quando un libro ti stordisce e ti segna così andare avanti è impensabile. Ti domandi se si possa davvero leggere altro, se si possa davvero smettere di sentire la mancanza di quei personaggi contraddittori e dolcissimi, violenti e tenerissimi, che una pagina dopo l’altra dicevano forse, semplicemente e terribilmente, che amare non significa aggiustare. Perché nessuno è aggiustabile.
Come chi soffre il lutto di un cuore spezzato, finisci per affezionarti a quella nostalgia. A quel torpore che ti fa brillare gli occhi ma sentire vivo. Vorresti restare sempre lì, in quel momento di lucidità in cui le cicatrici mostrano il loro senso. Tutto, pur di non andare avanti e addormentarti la sera su un libro piacevole e innocuo. Tutto pur di non diventare come quelli che telefonano all’amore di una vita fa per il compleanno e finiscono per scambiarsi le foto dei figli.