Quarantena: isolarsi & ritrovarsi
Essere confinati nella propria abitazione, per forza di cose e per la salute propria e quella degli altri. Un male necessario o una preziosa opportunità?
Di Palma Grano
Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, allegato del sabato nelle pagine de laRegione.
Dopo l’onnipresente coronavirus, le parole più utilizzate in queste settimane sono tampone, distanziamento sociale e quarantena. Concorderete, sono vocaboli che creano una certa ansia: solamente pronunciando la prima ‘a’ intuiamo che con la ‘qua-rantena’ qualcosa rimane in sospeso. Ma che cosa, dove e come? E qualcuno, prima o poi, tornerà a recuperarla? Nel frattempo, proviamo a goderci questo insolito presente.
Chissà che quel qualcosa “in sospeso” non sia semplicemente l’andare in ufficio, la cena fra amici, lo shopping, il concerto del mese, il corso di ballo, l’allenamento. Cos’altro rimane in sospeso oltre la vita di tutti i giorni? La vita stessa, la vita che ti chiede introspezione prima di continuare. In un tempo così delicato è difficile scrivere, perché si ha paura di dire la cosa sbagliata. Ma oggi il taglio di questo contributo è un po’ diverso, più intimo, perché spero che come me tanti cerchino di vedere (sebbene non sia facile) il bicchiere mezzo pieno, e riflettere sul vero significato della quarantena, senza doverlo ridurre a un banale hashtag.
Per ricominciare
Si tratta qui, rovistando tra libri e internet, di condividere alcune delle varie sfaccettature di questo stacco dalla vita quotidiana che, ahinoi, non sappiamo per quanto potrà protrarsi. Senza considerare che in questi giorni, nei quali non è nemmeno semplice intervistare gli immancabili “esperti in materia”, si possono riscoprire saggi e romanzi, che siano cartacei o digitali.
Nel libro L’arte di disimparare di Enric Corbera, rinomato psicologo catalano specializzato in terapia bio-neuroemozionale, l’autore parla della quarantena come un periodo d’isolamento necessario per recuperare la salute e per recuperare il contatto con sé stessi. Corbera non parla solo di quarantena come di un processo necessario dei tessuti corporei, ma che permette anche al pensiero e ai sentimenti di recuperarsi. Se ci pensiamo bene, le persone che affrontano una situazione che normalmente le porta a isolarsi – come può essere una malattia o la perdita di un impiego – spesso fanno quello che potremmo chiamare pulizia sociale, una specie di quarantena cosciente per fortificarsi e affrontare la vita con più forza. Corbera scrive che la quarantena è sempre necessaria, non solo in caso di malattia; lo è anche quando una persona è disposta a cambiare vita, a prendere decisioni che continua a posticipare o a riempire il vuoto d’insoddisfazioni. Oggi potrebbe sembrare cinico scrivere questo, ma forse dovremmo vedere la quarantena come un’opportunità per cambiare la direzione delle cose. Anche della nostra vita.
Riti ancestrali
La pratica della quarantena, parola di origine veneziana, è antica come l’umanità. Secondo Gustav Jung la quarantena sarebbe una sorta di archetipo ancestrale, ovvero un momento di conoscenza profonda della nostra psiche relazionata ai problemi più importanti che ereditiamo attraverso l’incoscio collettivo, e che passano inevitabilmente dall’incoscio familiare. In parole spicce: un momento di introspezione.
Tra i tanti studiosi della quarantena troviamo Robert Newman e il suo Calm Healing (“Guarigione calma”), un testo nel quale espone una forma di meditazione tibetana praticata nell’oscurità assoluta, conosciuta come il “ritiro del bardo”. Bardo in questo caso non significa cantore, ma si riferisce a una parola tibetana che indica letteralmente lo stato intermedio, che si può anche tradurre come “stato di transizione”. Questo ritiro dura 7 settimane, 49 giorni, in una stanza scura appositamente adibita per sperimentare esperienze e processi vitali. L’idea in fondo è semplice: l’oscurità, la privazione di luce, produce un’alterazione della mente; una persona è disorientata perché si stacca dai riferimenti esterni e quindi ci ritroviamo a prestare maggiore attenzione al mondo interiore. Al lato oscuro, potremmo affermare. Chissà che questa introspezione collettiva non sia necessaria per riordinare una scala di valori troppo dettati da norme neoliberali? Dalla legge del più forte. Qui siamo tutti vulnerabili, tutti limitati dai nostri diritti e richiamati a un solo dovere: “restare a casa!”.
Ovviamente Newman parla di un approccio che viene da una cultura orientale. Ma questo termine, bardo, si potrebbe semplicemente interpretare in chiave occidentale come il “ritiro da una vita ordinaria”, dove le distrazioni esterne si annullano e siano richiamati a recuperare una parte spirituale della nostra vita. Ovviamente, come dice Corbera, il tutto non è privo di rischi. Molti già oggi o nelle prossime settimane potrebbero essere confrontati con livelli di ansia maggiori del solito. Proprio come chi si sta disintossicando da una qualsiasi dipendenza.
Le legge del ‘40’
Nella Bibbia e nell’Antico Testamento non mancano i momenti di quarantena. Erano in verità periodi ben più lunghi, come quando Mosè passeggiò nel deserto per quarant’anni per giungere alla Terra promessa. E gli esploratori che viaggiarono nella Terra promessa tardarono 40 giorni a tornare. Anche Gesù stette 40 giorni del deserto, e altri 40 giorni in terra dopo la resurrezione. Abbiamo poi i 40 giorni del diluvio universale o la Quaresima di Pasqua… e la lista potrebbe continuare.
Qui non si tratta di crederci o meno, sono semplici analogie, come le troviamo in altri ambiti biologici e fisiologici. Come sono 40 i giorni necessari di riposo per una donna che ha bisogno di occuparsi di sé stessa e del neonato: secondo gli specialisti sarebbe il tempo necessario per il recupero del suo utero. E pensate che sempre 40 giorni sarebbero quelli necessari per guarire da una frattura.
Ma ritorniamo agli aspetti psicologici. Come abbiamo visto la quarantena è un momento importante per riflettere e prendere coscienza degli aspetti della nostra vita che vogliamo cambiare. Il neurologo, psichiatra e filosofo Viktor Frankl, nel suo libro L’uomo in cerca di senso, scriveva: “A un uomo possono rubare tutto, meno una cosa, l’ultima delle libertà dell’essere umano: la scelta della sua attitudine davanti a qualsiasi tipo di circostanza, la scelta del suo cammino”. Questa riflessione può anche significare vivere semplicemente il presente.
La routine aiuta
In un recente incontro avvenuto online tra alcuni terapeuti spagnoli e italiani, coordinato dal formatore del gruppo Humana, Alberto Simoncini consigliava di mantenere una routine: “Mantieni una tua routine. La tua, ovviamente, ma che sia fondata su piccole cose: vestirsi come se si stesse andando a lavorare, alimentarsi bene, scegliere di sorridere, dedicarsi a momenti di silenzio, pulire e ordinare casa…”. Comportamenti che probabilmente stiamo già seguendo tutti in queste settimane.
Immagino che le pulizie di primavera le abbiamo tutti anticipate. A questo punto nella vostra checklist potreste aggiunge: fare esercizio, parlare al telefono/in videochiamata con amici e parenti, leggere e riguardare i classici del grande schermo. E chissà che non sia il momento di imparare quello strumento, quella tecnica pittorica o quella lingua abbandonata da tempo. Alberto Simoncini conclude: “Ricordiamoci che l’unico momento che esiste veramente, che puoi assaporare, è il presente”.