Maria Ursula Bianchi, una donna del Piora

È una pastora-postina, ma con un’energia e un modo di vestire colorato da farla sembrare quasi una ragazzina.

Di Lorenzo Erroi

Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, disponibile anche nelle cassette di 20 Minuti per tutto il fine settimana.

Il laghetto di Tom è un po’ la scuola d’infanzia dell’alpe di Piora. Da qui passano ‘sterli’ (vacche asciutte), manzette e vitelli che in tenera età si preparano a passare un’estate in montagna: rafforzando salute e muscolatura, imparando a muoversi lungo pascoli e sentieri e a distinguere le erbe che riescono a digerire. Da una ventina d’anni, la ‘maestra’ di questo asilo è Maria Ursula Bianchi, mamma di quattro figli, nata nel 1959 da contadini del Bergamasco e della Valtellina. È una pastora-postina, visto che d’inverno fa su e giù per le vie dell’Alta Leventina a consegnare lettere e pacchi. La sua rapidità, la sua energia, i colori che ama indossare e appendere per casa la fanno sembrare quasi una ragazzina. 
«A me piace soprattutto l’aria aperta», ci spiega subito, «d’inverno come d’estate». Arrivata in alpe nel 1996 come cuoca, «appena potevo mi fiondavo a mungere, e ho chiesto subito di mettermi sui pascoli appena possibile». Due anni dopo è stata accontentata. «Anche se non l’avevo mai fatto: accompagnavo solo le mucche e i maiali di mio padre, quando avevo vent’anni. Il mio primo ricordo d’alpe sono gli odori». Di buàscia? «Ma no, di latte e formaggio! E poi delle piante. E poi sì, anche di rustico…». 

Di bestie e caratteri

A istruirla comunque ci ha pensato Giacomo Arrigoni da Bergamo, pastore di lunghissimo corso. «Ho avuto un buon maestro. Mi ha insegnato a far girare le vacche anche nei posti più difficili, e a badare alla loro salute. All’inizio in certi passaggi avevo una paura folle, e lui mi diceva: ‘Tienila la paura, perché è quella che ti fa stare attenta’». E poi le ha trasmesso «l’amore per gli animali: mi diceva di voler sempre bene alle mucche, perché sono animali a sangue caldo, che soffrono e sono contente proprio come noi». Sarà per questo che Ursula continua a parlare ai suoi animali con la sua voce calda e squillante, «a volte con dolcezza, altre li sgridi, così imparano a comportarsi. Anche se ogni tanto mi guardano come per dire: ‘Ma adesso mi lasci fare quello che voglio?’». Questa forma di intimità le permette di riconoscere ogni esemplare «dalla coda, le macchie sulla pelliccia, il colore», di accorgersi se stanno male, di «fargli fare gruppo» e guidarli dove vuole. «Mi ricordo ancora una manzetta, Elodie si chiamava. La sera prima le indicavo coi gesti e le dicevo dove saremmo andati il giorno se ci fosse stato tempo bello, e dove se invece faceva brutto. La mattina dopo la trovavo sulla cinta davanti alla cascina, che puntava già nella direzione giusta». Poi certo, «ogni bestia ha il suo carattere. C’è quella che ti segue come un cagnolino anche in cascina e quella meno mansueta, soprattutto nella fase fra l’anno e mezzo e i due anni e mezzo». Sarà l’adolescenza.
A Maria «piace molto la solitudine, anche all’alpe di Piora ci vado quasi solo per il latte, una volta alla settimana». Latte che usa «per una casatina da venti litri»: ne ricava un formaggio che a volte si diverte a mettere in forme bizzarre, di cuore o di stella. Poi torna sui suoi pascoli, magari con dietro trenta chili di generatore e cinta elettrica. 

Viaggiare leggeri

Ché poi, comunque, non c’è mica tanto da stare soli. «Da qui passano anche gli escursionisti, i turisti». Ogni tanto «se vedo che tuona gli lascio la chiave della cascina, perché possano entrare se di notte fa stratempo. Una volta un gruppo mi ha anche lasciato un biglietto di ringraziamento e un mazzo di fiori sul tavolo prima di partire». Un’altra invece «sono venuti su a cavallo per imparare a guidare le mandrie, come i cowboy. È stato bellissimo vedere i cavalli che facevano conoscenza coi vitelli!». Bastano certi ricordi perché l’azzurro negli occhi di Ursula si accenda ancora più del solito. Come «quando una vacca partorì prima del previsto, e alla mattina ci trovammo il vitellino già in piedi davanti alla cascina. Andai da Barbara» – Cotti, l’altra pastora che ha condiviso con lei le avventure dei primi anni – «e le dissi: mi sa che siam diventate mamme. Mettemmo anche un cartello sulla porta: ‘È nato Gualtierino!’».
(…) Per restare leggera Maria non si porta dietro la zavorra dei pensieri negativi. Preferisce pensare ai figli – e ora ai nipoti – «che corrono sui pascoli, trovano i loro nascondigli e mi danno una mano». È un po’ la stessa propensione che mette nel lavoro di postina. «Adesso ormai è sempre più difficile per via dei turni, ma mi piace scambiare due chiacchiere, soprattutto con gli anziani. È un’occasione per ascoltarli un po’, magari fargli una commissione o portargli via il sacco dei rifiuti». Con l’allegria della generosità.

IN LIBRERIA
Questo testo è stato estratto dal volume Piora. Un alpe, una valle, una storia (SalvioniEdizioni, 2019; salvioni.ch)

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