Le nuove energie sono già qui

Al Politecnico di Zurigo si creano ponti tra la ricerca pura e le sue possibili applicazioni. Perché all’emergenza climatica servono risposte.

Di Keri Gonzato

Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, disponibile anche nelle cassette di 20 Minuti per tutto il fine settimana.

Rivoluzionare le modalità di produzione energetica di una nazione? Per poterlo fare, oltre ad investire nella ricerca tecnologica, bisogna sviluppare strategie efficienti perché queste vengano usate su larga scala. Dalla ricerca arrivano segnali entusiasmanti. I traguardi raggiunti promettono di trasformare il nostro modo di produrre energia in vista dell’obiettivo delle «zero emissioni». 
Sul tetto di uno degli edifici del Politecnico di Zurigo è apparsa una raffineria di nuovissima generazione. La tecnologia, sviluppata dal gruppo di ricerca di Aldo Steinfeld, professore al Politecnico in Renewable Energy Carriers, permette di creare idrocarbonio liquido unicamente dalla luce solare e dal vento. I ricercatori dell’ETH hanno ricostruito l’intera catena del processo termochimico in condizioni realistiche; un impianto simile alla mini-«raffineria» solare sul tetto del Politecnico, ma esteso su un chilometro quadrato, potrebbe permettere di produrre ben 20mila litri di cherosene al giorno, ha sottolineato Philipp Furler, direttore (CTO) di Synhelion ed ex studente di dottorato nel gruppo di Steinfeld.

Sus.Lab.: dalla teoria alla realtà
«Teoricamente, un impianto della taglia della Svizzera, o un terzo del deserto del Mojave in California, coprirebbe i bisogni in cherosene dell’intera industria dell’aviazione», ha spiegato ancora Philipp Furler. L’obiettivo della ricerca, che sta avanzando a pieno regime, è di produrre in modo efficiente dei carburanti sostenibili per mitigare le emissioni di CO2 a livello globale… In parallelo a questi traguardi è fondamentale sviluppare strategie per inserire queste tecnologie nella catena produttiva delle nazioni.
Oltre alla ricerca nello sviluppo di tecnologie innovative è fondamentale occuparsi di strategie per fare in modo che queste vengano utilizzate su larga scala. Con questo obiettivo in mente al Politecnico è nato Sus.Lab., un laboratorio che si focalizza sulla creazione di un ponte tra scienza e implementazione. Per entrare nella tematica abbiamo incontrato Petrissa Eckle, direttrice esecutiva di Sus.Lab., parte del Group for Sustainability & Technology – Department of Management, Technology and Economics.

Signora Eckle, come si articola il lavoro di Sus.Lab. e quale contributo date per la riduzione delle emissioni di CO2?
«Ci occupiamo di elaborare progetti con partner dell’industria per capire cosa è possibile fare sin da oggi – visto i termini di tempo molto corti suggeriti dall’IPCC 1.5 Degree Report, che ci richiede di raggiungere il traguardo di zero emissioni CO2 entro il 2050. Il nostro presupposto è che è già disponibile un’incredibile quantità di informazioni e tecnologie che potrebbero essere testate su larga scala oggi, per risolvere le sfide ingegneristiche, di design e di logistica che emergono nel rendere una tecnologia pienamente commerciabile». 

Quella dell’applicazione di tecnologie a ‘zero emissioni’ è una sfida vasta: su quali aspetti vi state concentrando? 
«Stiamo lavorando in due ambiti specifici. Si tratta dei “settori difficili da rendere carbon-free”, quello dell’industria delle spedizioni cargo – che copre il 90% dei trasporti di merci a livello mondiale – e quello dei rifiuti di incenerimento e della produzione del cemento, che continueranno ad essere fonti importanti di CO2 anche in futuro. Nel caso delle spedizioni, l’obiettivo è quello di raggiungere il target delle zero emissioni con l’utilizzo di carburanti “carbon-free”, come batterie di nuova generazione, idrogeno e ammoniaca. Per quando riguarda il tema dello smaltimento dei rifiuti bisogna implementare le tecnologie che permettono la cattura e lo stoccaggio del carbonio (CCS). Una tecnologia che sarà in parte applicabile anche all’industria del cemento, un’altra fonte importante di inquinamento di non facile soluzione poiché le emissioni sono legate al processo chimico».

Quali sono invece gli ambiti nel vostro mirino per quanto riguarda la creazione di modelli sistemici che aiutino le industrie ad abbracciare queste transizioni? 
«In entrambi i casi appena citati, le tecnologie sono già disponibili e l’obiettivo da raggiungere è ora di costruire consorzi di settore per le industrie, per fare dimostrazioni su scala reale. Infine, dovremo capire i costi nei dettagli, così che l’apparato regolamentare possa essere sviluppato. Vogliamo creare un approccio più sistematico, per aiutare le aziende e le città a orientarsi tra le tante tecnologie e soluzioni esistenti per arrivare allo zero. Le domande a cui rispondere sono legate alla maturità delle soluzioni tecnologiche esistenti, al costo per tonnellata di CO2, ai benefici aggiuntivi o all’impatto (per esempio sulla biodiversità). Partendo da queste domande abbiamo iniziato un progetto per creare un database di soluzioni e poi lavorato su un “caso-esempio” con un’azienda per applicare quella conoscenza in una situazione reale». 

Se tecnologie efficaci sono già a nostra disposizione oggi, quali sono gli ostacoli maggiori al loro utilizzo?
«La barriera principale attuale è il costo di molte di queste tecnologie, così come anche i circoli viziosi in essere. Per esempio, abbiamo una catena di approvvigionamento di combustibili idrocarburici completamente sviluppata, ma dobbiamo ancora costruire tutto, dalle macchine di produzione ai veicoli a idrogeno. Sarà necessario inoltre creare regolamentazioni adattate alle innovazioni, altri traguardi da raggiungere a livello della produzione per abbassare i prezzi, e la volontà da parte delle aziende di avviare in modo efficace un coordinamento incrociato. Oltre a questo, c’è l’incertezza in ogni settore rispetto a “quale tecnologia sarà quella vincente”. Per darvi un esempio: le navi cargo che percorrono distanze medie andranno a batteria, a idrogeno o ad ammoniaca? Questa incertezza è un ostacolo ulteriore che speriamo di sormontare con il nostro progetto dimostrativo e stimolando un dialogo maggiore con il mondo dell’industria, e certamente il processo includerà incontri, confronti e tavole rotonde che coinvolgeranno le diverse parti interessate». 

In contemporanea a questo importante lavoro, il Politecnico, così come gli altri grandi istituti di ricerca all’avanguardia nel mondo, devono poter continuare a sviluppare tecnologie sempre più performanti e facili da implementare su larga scala…
«Certamente, dobbiamo continuare a lavorare allo sviluppo di alternative per il futuro che sono ancora lontane dall’essere messe in circolo sul mercato, quali la produzione di forme di idrocarbonio liquido a partire da forze naturali come la luce solare e il vento,  si veda la ricerca del gruppo del professore Aldo Steinfeld attualmente in corso. In questo senso l’ETH, così come altri importanti istituti di ricerca, può contribuire in modo straordinario». 

Svizzera nel mirino: in cosa siamo bravi e in quali ambiti invece non facciamo ancora abbastanza in termini di sostenibilità?
«La Svizzera ha iniziato a ridurre le emissioni di CO2, ma c’è molto di più da fare in ogni settore, soprattutto se si passa a un obiettivo di emissioni zero. Alcuni esempi urgenti sono la necessità di accelerare i riadattamenti degli edifici, accelerare la decarbonizzazione dei trasporti e, per tutti i settori, affrontare l’industria e le sue emissioni. Inoltre, per quanto riguarda le responsabilità individuali, i cittadini svizzeri volano e viaggiano molto e hanno un consumo di prodotti molto elevato. Emissioni importanti che però non sono incluse nei bilanci nazionali».

Quali sono i passi più urgenti che la Svizzera deve compiere per realizzare l’obiettivo di emissioni zero entro il 2050? Chi sono i principali attori coinvolti in questi movimenti?
«Prima di tutto ci deve essere un cambiamento di mentalità. L’obiettivo “zero emissioni” non può essere raggiunto migliorando unicamente l’efficienza di anno in anno, ma richiede investimenti coraggiosi in nuove misure e nuove tecnologie. Ogni settore dovrà fare la sua parte e ci sarà poco spazio per le compensazioni. Gli attori differiscono da un settore all’altro, ma sia gli individui che l’industria devono agire, con il sostegno di nuovi regolamenti. Gli individui avranno ruoli multipli e tutti come consumatori possiamo influenzare questi movimenti in modo importante. Sia come dirigenti sia come dipendenti – e infine come cittadini – possiamo fare la differenza e se vogliamo essere efficaci dovremo sostenere tutti questi investimenti, regolamenti e leggi a tutti i livelli del processo decisionale, dal comune al livello nazionale».

I FATTI IN SETTE PUNTI
Case
Gli immobili sono responsabili di circa un terzo delle emissioni di CO2 in Svizzera. 

Emissioni di CO2
Dal 2023, in caso di sostituzione dell’impianto di riscaldamento, i vecchi edifici potranno emettere al massimo 20 chilogrammi di CO2 all’anno per metro quadrato di superficie di riferimento energetica. È quanto prevede la revisione della Legge sul CO2 per il periodo dal 2021 al 2030, adottata dalla Commissione dell’ambiente degli Stati con 11 voti favorevoli e una astensione.

Il doppio
La Svizzera è particolarmente colpita dai cambiamenti climatici: le temperature sul nostro territorio aumentano in misura doppia rispetto alla media mondiale.

Fonti energetiche
Le emissioni di CO2 delle quattro maggiori aziende energetiche svizzere sono aumentate di oltre un quinto nel 2017. Uno studio della Fondazione svizzera per l’energia rileva anche che due terzi dell’energia elettrica provengono ancora da fonti fossili e nucleari.

Zero emissioni?
Nel 2018 la Svizzera ha rivisto le sue previsioni che indicavano una riduzione delle emissioni CO2 del 70-85% per firmare il patto «zero-emissioni» entro il 2020. Dal 2050, la nazione non potrà così rilasciare nell’atmosfera più gas a effetto serra di quanto siano in grado di assorbire i pozzi di CO2 naturali (per esempio le foreste) e artificiali.

Punto di non ritorno
Un aumento della temperatura di 1,5 gradi potrebbe già provocare profondi cambiamenti negli ecosistemi ed è quindi necessario raggiungere un bilancio netto delle emissioni pari a zero molto prima del termine fissato, secondo gli esperti.

Vantaggi tecnologici
Le emissioni di CO2 provenienti dal traffico, dagli edifici e dall’industria potranno essere ridotte fino al 95% grazie alle nuove tecnologie e all’utilizzo di energie rinnovabili, precisa il governo (fonte: swissinfo.ch).

IL CASO SVIZZERA – Lo stato di salute del nostro clima
«Nel 2016 le Accademie svizzere delle scienze (SCNAT 2016) hanno pubblicato una valutazione globale dei cambiamenti climatici e dei loro effetti in Svizzera, sia nel passato sia nel futuro. Le misurazioni a lungo termine indicano un marcato spostamento verso un clima più caldo per la Svizzera. Tra il 1864 e il 2016 la temperatura media in Svizzera è aumentata di +2,0 gradi Celsius rispetto ai +0,9 gradi Celsius globali (UFAM 2018d). Nel corso del XXI secolo il clima svizzero dovrebbe discostarsi significativamente dalle condizioni presenti e passate. La temperatura media aumenterà molto probabilmente in tutte le regioni e in tutte le stagioni (CH2018). Entro la fine del secolo le precipitazioni medie estive diminuiranno in tutta la Svizzera fino al 40% a seconda dello scenario di emissione, mentre le precipitazioni invernali aumenteranno, soprattutto nella Svizzera meridionale. L’andamento previsto delle precipitazioni avrà un forte impatto sul ciclo idrologico. Inoltre, si prevede un aumento dell’intensità delle tempeste e una riduzione delle precipitazioni nevose e della durata della copertura nevosa, aumentando il rischio e la frequenza di inondazioni, frane e colate detritiche. Il ritiro e la massiccia perdita di volume dei ghiacciai nelle Alpi è l’indicatore più evidente del recente aumento della temperatura atmosferica. Negli ultimi anni è stata osservata una drastica accelerazione dello scioglimento dei ghiacciai. Dai ca. 2’900 chilometri quadrati di superficie glaciale a metà degli anni Settanta, nel 2003 ne sono rimasti solo 2’100 chilometri quadrati e si stima che nel 2013 siano rimasti circa 1’900 chilometri quadrati (UFAM 2018d). Per quanto riguarda la biodiversità, i cambiamenti climatici dovrebbero influire sulla composizione delle specie, la distribuzione, i loro cicli, la sincronicità, la diversità genetica complessiva e la fornitura di servizi ecosistemici. Ciò, a sua volta, aumenterà la vulnerabilità delle foreste e ne pregiudicherà potenzialmente le funzioni protettive, produttive e sociali. La distribuzione delle specie si sposterà verso l’alto, le specie termofile si diffonderanno, arriveranno nuove specie dalle zone più calde e si verificheranno cambiamenti fenologici. Per l’agricoltura, i cambiamenti climatici dovrebbero comportare uno spostamento di aree adatte alla produzione agricola e comportare sia aspetti positivi (per esempio, un periodo vegetativo più lungo) che negativi (per esempio, l’aumento dell’incidenza delle infestazioni di parassiti a causa di inverni più miti). Anche i cambiamenti nella natura degli eventi meteorologici estremi, in particolare le ondate di calore estivo più frequenti, intense e più durature, potrebbero mettere a repentaglio l’agricoltura, per esempio riducendo le rese. Diversi settori dell’economia svizzera risentiranno probabilmente degli effetti negativi dei cambiamenti climatici: in particolare il turismo invernale soffrirà di una maggiore scarsità di neve, le centrali idroelettriche si troveranno di fronte a un’alterazione del deflusso e del trasporto dei sedimenti e le compagnie di assicurazione potrebbero dover far fronte a un aumento delle perdite dovute a tempeste invernali e inondazioni. I pericoli naturali e gli eventi meteorologici estremi possono rappresentare un rischio crescente per le infrastrutture e gli insediamenti. Le ondate di calore in combinazione con elevati livelli di ozono troposferico rappresentano una grave minaccia per la salute umana. Infine, resta da vedere in che misura le malattie trasmesse da vettori si diffondono a causa delle mutevoli condizioni climatiche. Di recente la Svizzera ha analizzato in dettaglio queste sfide e ha sviluppato una strategia di adattamento efficace per proteggersi dagli effetti negativi dei cambiamenti climatici in Svizzera». (UFAM 2012b, UFAM 2017k)

 

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