Vanni Bianconi: un poeta ticinese a Londra

Traduttore e direttore artistico del festival bellinzonese “Babel” si racconta, tra versi d’amore, ricerca linguistica e nuove sfide

Di Samantha Dresti

Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, disponibile anche nelle cassette di 20 Minuti per tutto il fine settimana.

È nato a Locarno nel 1977 e vive a Londra. Si è laureato all’Università Statale di Milano in lingue e letterature straniere. È traduttore di opere letterarie – tra gli ultimi W. Somerset Maugham, W.H Auden e W. Faulkner –, direttore artistico del festival bellinzonese “Babel“ e scrive poesie. La sua prima silloge poetica (“Faura dei morti”) è apparsa nell’Ottavo quaderno italiano di poesia (Marcos y Marcos, 2004); per le Edizioni Casagrande sono usciti “Ora” prima (2008; Premio Schiller incoraggiamento), “Il passo dell’uomo” (2012) e “Sono due le parole che rimano in ore” (2016). È uno dei curatori della rivista di traduzione poetica “Testo a fronte”.

Lontano dal traffico e dalle incombenze quotidiane, è certo una fortuna poter passeggiare in mezzo alla natura accompagnati da un poeta. Il filo conduttore della chiacchierata, se l’autore è Vanni Bianconi, non può che essere il senso della vita. Certo, interrotta da aneddoti e «informazioni» più pratiche, ma sempre con un sottofondo dai toni esistenzialisti. Vanni vive a Londra da molti anni, ormai; è stato l’amore che lo ha portato lì ed è l’amore che ancora oggi lo lega alla metropoli britannica.

Tradurre è un’arte

Ma il nostro cantone rimane sempre nel suo cuore: nel Locarnese vive la sua famiglia di origine e vi ritrova regolarmente alcuni dei suoi amici più cari, mentre a Bellinzona ha fatto ergere la sua «Torre di Babele»: parliamo naturalmente di Babel, un festival unico nel suo genere, che si occupa di letteratura e traduzione. Ma qui, al contrario del riferimento biblico, i vari idiomi si confrontano al fine di far chiarezza e togliere dall’ombra – tramite conferenze, cinema, musica, workshop – il mestiere del tradurre. Anche perché troppo spesso, ancora oggi, molte pubblicazioni omettono il nome del traduttore; in questo senso anche grazie al festival bellinzonese si stanno facendo passi avanti.
Vanni, lui stesso traduttore, lo conferma: questo esercizio non è semplicemente una questione tecnica, «contiene sempre anche l’interpretazione del suo traduttore». Ma a vari gradi, come specifica quando gli chiediamo se un’opera tradotta diventi un’altra cosa, cioè un lavoro con una sua identità, un’opera a sé. «La stessa domanda» – ci dice – «andrebbe prima posta riguardo all’originale: ci sono opere che ricreano la loro lingua (e senza dovere essere sperimentali, è una questione di coesione tra ritmo e senso e suoni e sintassi che crea la sua unicità, la sua necessità), mentre altre semplicemente la usano. Questa non è per forza una distinzione di qualità. Così più la lingua dell’originale è originale, più la traduzione sarà un’interpretazione, una ri-creazione. Forse è per questo che i classici, cioè libri che hanno formato non solo la loro lingua ma la nostra cultura, hanno sempre bisogno di nuove traduzioni». Non è quindi sbagliato affermare che la traduzione sia né più né meno che una forma d’arte.


© Ti-Press

Mondo anglosassone

Certo non è tutto semplice quando ci si confronta con la cultura anglosassone: come quando ci confida che nei primi anni inglesi, frequentando amici di amici e conoscenti, si stupiva della loro grande capacità di fare small talk, di parlare per ore, senza scambiarsi in fondo nessuna informazione minimamente personale. «Io invece in questo sono meno portato; ho bisogno di chiederti anche come stai, di dirti come sto… Ma forse è una questione di carattere». E che cosa trova a Locarno che a Londra proprio gli manca? «Comprensione immediata e sfaccettata degli interlocutori» rivela Vanni: «nel momento in cui arrivo a Locarno, in ogni frase, anche di uno sconosciuto, anche sentita a metà, mi sembra di saper cogliere il detto e il non detto: non solo i riferimenti mi sono familiari, ma tutto mi sembra leggibile, le esitazioni e i loro motivi, borbottii e gesti a metà. Ha a che fare con la lingua madre, ma non solo. Questo non accade mai a Londra, con le sue mille barriere linguistiche e non. Ma quello straniamento è anche stimolante, bisogna sempre ritrovare il modo per dirsi oppure per capirsi».


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Vivere di poesia

Neanche vivere di poesia e traduzioni è semplice. A parte alcune occasioni in cui il proprio lavoro viene riconosciuto, la quotidianità dello scrittore può essere interlocutoria: «La poesia la scrivi, la pubblichi e poi puff, cade nel vuoto. È vero che si fa un lavoro per sé, per il piacere di farlo, ma abbiamo anche bisogno di riconoscimenti. In passato ho avuto voglia di smettere, di occuparmi d’altro». Ma poi – e per fortuna – Bianconi ha ripreso fiducia. Si potrebbe anche pensare buon sangue non mente: Vanni è figlio di Sandro e nipote del compianto Giovanni Bianconi. Ma la sua tenacia è però stata ripagata; basta prendere tra le mani Sono due le parole che rimano in ore apparso nel 2016 per rendersene conto. Come sottolinea Piergiorgio Morgantini nella sua recensione (laRegione, 23.9.2017), è «una raccolta intensa e viva, da leggere in un fiato, che racconta l’amore in tutte le sue forme e le sue sfumature emotive, con semplicità». E ancora: «Tra i meriti di Bianconi quello di avere avuto il coraggio di raccontarcelo in versi, l’amore». E dai, allora, Vanni: scrivi e scrivi ancora. Che il mondo ha bisogno di poesia. Poesia nuova.

PS: Dicembre 2021: dal prossimo 10 gennaio Vanni Bianconi sarà il nuovo responsabile del settore Cultura della RSI: ad annunciarlo è stato il direttore Mario Timbal. Proprio il suo “sguardo aperto sul panorama culturale nazionale e internazionale” è uno dei motivi della scelta citati da Timbal nel comunicato. Complimenti e un grande in bocca al lupo per la nuova e stimolante avventura professionle.

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