Se l’amore è cantato
Tutti abbiamo dei brani che hanno segnato la nostra giovinezza, e che ancora ci accompagnano. Soprattutto se legati agli affari di cuore
Di laRegione
Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, disponibile anche nelle cassette di 20 Minuti per tutto il fine settimana.
Di cosa parliamo quando cantiamo d’amore è il sottotitolo perfetto – una parafrasi di Raymond Carver difficilmente può non esserlo – per un libro tanto necessario quanto non sufficiente. Dove l’insufficienza è connaturata alla natura stessa del progetto, visto che Romantic Italia (apparso per Minimum Fax, 283 pagine) nasce per raccontare «le canzoni italiane che hanno esplorato, in modi diversi e originali, le molteplici forme dell’amore».
Detesto l’orrida pratica giornalistica di consigliare libri per l’estate, eppure mi piace immaginare che anche voi, come me, possiate trovarvi in mano questo volume e ascoltarne con piacere ogni pagina, possibilmente spalmati su un lettino del mare, mentre la radio dei bagni passa Benji e Fede e J-Ax.
«Ho ascoltato canzoni italiane e canzoni d’amore ogni giorno», scrive l’autrice. «Nella mia cameretta io salvavo le canzoni dall’invisibile e incombente macero del tempo e loro salvavano me dalla fatica dolorosa di descrivere e dire, da sola, l’indescrivibile e l’indicibile». Se l’analisi – per inciso puntuale, colta ed enormemente interessante e godibile – è prerogativa di chi, come Giulia Cavaliere, di musica scrive da anni, la convivenza con questo genere di canzoni è patrimonio ampio e universale.
’Celo, manca‘
È difficile infatti non trovare in Romantic Italia una parte della propria vita. C’è il dialogo tenero e giocoso della Wanda di Paolo Conte, lo stilnovismo di Rita Pavone e della sua Cuore e ancora il ménage à trois di Patty Pravo in Pensiero stupendo con la regina del Piper che, si dice, proprio in quegli anni sperimentava situazioni sentimentali «affollate».
Poi c’è il provincialismo epico di Sei un mito degli 883 e ancora quel trattato supremo che è La costruzione di un amore di Ivano Fossati. E ancora il sentimento domestico e puro di Una storia d’amore di Jovanotti, il cinismo dotto di Vedi Cara di Guccini, la speranza straziante di Mia Martini in Almeno tu nell’universo, la fierezza di Lugano addio di Ivan Graziani. Ci sono le canzoni dei nostri genitori, quelle dei nostri fidanzati, quelle che abbiamo scritto sul diario di in versi e quelle che abbiamo imparato per osmosi. Ci sono aneddoti divertenti, più o meno noti, su motivi che non dimenticheremo mai ogni volta che qualcuno imbraccerà una chitarra, sulla spiaggia o in salotto.
Sapore di sale, sapore di spleen
Come la storia dietro a Sapore di sale, per esempio. All’inizio degli anni Sessanta Gino Paoli è già discretamente famoso (ha scritto Il cielo in una stanza per Mina) e viene chiamato a risollevare le sorti di un club sull’orlo della rovina a Capo d’Orlando, in Sicilia. L’operazione riesce e l’impresario, galvanizzato, propone ai musicisti di trattenersi un mese intero facendosi raggiungere dalle mogli. Accanto a Paoli però non arriva la moglie ma una giovanissima Stefania Sandrelli, attrice emergente di una bellezza inenarrabile. Sapore di sale è il racconto di quel mese lento e rovente, fatto di baci salati e proibiti e pervaso da un ultimo, indicibile, sentimento di tristezza.
Perché amare è questo: non accontentarsi neppure su una spiaggia da sogno al fianco di Stefana Sandrelli, non avere pace ma fame sempre. Vedere «questo amore che si fa più vicino al cielo» (Ivano Fossati); domandarsi «se di tanti capelli ci si può fidare» (Lucio Dalla) mentre «tutto il resto è noia» (Franco Califano). Amare è non sapere cosa si prova, ma avere una canzone che lo dice per noi in quell’album inesauribile e imprevedibile che è la vita.