Laura Kaehr al Locarno Film Festival

Da ballerina a coreografa, da attrice a regista. Con un occhio attento alle donne e alle diversità nel mondo dell’audiovisivo

Di laRegione

Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, disponibile anche nelle cassette di 20 Minuti per tutto il fine settimana.

Artista multidisciplinare. Anima femminile, vivace e determinata. Laura Kaehr parte dal Locarnese presto e a 13 anni si trova in Francia per studiare danza. Da allora la sua vita è stata un susseguirsi di esperienze professionali tanto varie quanto intense e importanti. Dalla prima collaborazione, come ballerina, per il coreografo di Francis Ford Coppola a San Francisco ad oggi, il fil rouge è sempre stato il mondo dei film. 
La raggiungo a Zurigo, dove oggi vive e lavora. È intenta a scrivere un film con Elisabeth Lajarige e a girare il documentario, Becoming Giulia. Ci troviamo, poco prima del Locarno Festival, per parlare dell’associazione SWAN (Swiss Women’s Audiovisual Network), di industria cinematografica, di inclusione e diversità, traguardi raggiunti e visioni future.

Locarno72 della nuova direttrice artistica Lili Hinstin si apre il 7 agosto con un’opera diretta da una donna, Magari di Ginevra Elkann. Un caso o il segno che, in un’industria ancora dominata dagli uomini, qualcosa sta cambiando? 
«Quest’anno si può dire che Locarno ha fatto meglio di Cannes e molto meglio di Venezia. Il Concorso internazionale ha 17 film in tutto, 13 registi uomini e 6 registe donne, e la Piazza Grande ha 11 film, 8 registi uomini e 3 registe donne. Venezia quest’anno ha 21 film nel Concorso internazionale di cui, incredibile ma vero, solo 2 film di donne registe. Aprire Locarno con un film di una donna regista è un vero segno per tutta l’industria. La programmazione di Lili mi ha molto colpita anche per la sua coscienza verso l’inclusione, per esempio con la retrospettiva ‘Black Light’ dedicata al cinema nero. Cambiamenti che mostrano una visione artistica estremamente interessante e nuova e una donna con una grande forza e personalità. Attendo con impazienza questa edizione! Sebbene mi rallegri dei traguardi, c’è ancora strada da fare. Nell’era post hashtag #Metoo la coscienza collettiva su queste problematiche è aumentata, ma è chiaro che non abbiamo ancora raggiunto gli scopi prefissati. Con l’associazione SWAN abbiamo iniziato il lavoro e le premesse sono buone, ora bisogna perseverare perché siamo solo agli inizi».

Cosa rappresenta il Locarno Festival per te, nata a due passi da Piazza Grande? 
«Sono cresciuta tra Locarno e Cannes, entrambe città con manifestazioni importanti. Come tanti coetanei ho frequentato il festival da quando ero grande abbastanza per stare seduta al cinema. Il primo film che ho visto era Never Ending Story in Piazza Grande. Avevo 6 anni. Da giovane studente di cinema, Locarno forniva un arricchimento artistico importante. Oltre alle sezioni di competizione, ho sempre seguito con interesse le retrospettive: ho una collezione delle pubblicazioni che Locarno dedica ogni anno all’artista celebrato, un tesoro per chi studia cinema e regia. Il festival è stato per me una scuola, una finestra sul mondo e un luogo di scoperte. Da quando ho iniziato a lavorare nell’industria cinematografica la mia relazione è cambiata, partecipo in modo attivo ai programmi dell’Industry e anche a quelli legati a Ticino Film Commission. Ora l’evento rappresenta un grande momento lavorativo in cui purtroppo a volte manca il tempo per guardare i film».

Che ruolo hanno i festival di cinema nel modo di rappresentare il mondo e la parità dei generi, la diversità e l’inclusione?
«I festival internazionali più importanti hanno un ruolo chiave nel modo di raccontare il mondo. Questo vale anche per il Locarno Festival che, in quanto festival di ‘categoria A’, è un esempio per il resto del mondo. Le kermesse hanno il potere di creare un appello reale al cambiamento nella catena della produzione cinematografica dal momento in cui richiedono letteralmente all’industria di produrre i film in modo diverso. Di modo che dai sostegni finanziari nelle fasi di scrittura e sviluppo, le commissioni di valutazione siano più coscienti che, alla fine della catena, i festival cercano eguaglianza di genere, diversità e inclusione. Questa è la responsabilità dei festival: rappresentare il nostro mondo in modo equo. Lo stesso vale per il giornalismo il cui compito è comunicare al mondo quanto passa sullo schermo: in Svizzera, per esempio, le giornaliste culturali cinematografiche sono un numero quasi inesistente e le conseguenze sono importanti».

Quali argomenti sono utilizzati per giustificare la presenza diseguale tra registi donne e uomini?
«L’argomento più frequente per giustificare la mancanza di donne nelle competizioni prestigiose è quello della qualità. Ma la qualità è soggettiva e mutevole a seconda della giuria. I parametri con cui si giudica la qualità non sono fissi e prendono in considerazione vari aspetti come: provenienza del film, diversità, fama, prestigio, genere di film, temi trattati, relazioni personali. Quindi, introdurre il criterio del ‘genere’ avrebbe tutto il suo perché. L’argomento della qualità, come viene utilizzato oggi, ha come conseguenza di tenere le minoranze etniche e/o di genere, fuori dalle competizioni importanti».

Quali obiettivi concreti sono stati raggiunti finora grazie a SWAN?
«Il 2018 è stato segnato da un evento storico, perché il Locarno Festival ha firmato il Pledge for Parity and Equality con SWAN. È stato il secondo festival di ‘categoria A’ al mondo, dopo Cannes, a firmare il Pledge. L’associazione SWAN collabora con il collettivo francese ‘5050×2020’ e con ‘Women and Hollywood’ per analizzare i dati dei film sottomessi a Cannes e a Locarno. L’analisi dei dati è fatta da SWAN e dall’Ufficio federale della cultura. Vogliamo capire se le cose stiano cambiando o meno».

Da dove è nata l’esigenza di integrare al tuo lavoro come artista un impegno sociale?
«In Svizzera, per ragioni storiche, c’è una cultura poco conflittuale e poco ribelle. Ho sempre avuto l’impressione che il fatto d’essere cresciuta in Francia da giovane mi abbia invece conferito uno spirito rivoluzionario. Attitudine che solitamente tengo nascosta poiché qui i costumi sociali richiedono altro. Ma con SWAN c’era bisogno di meno compromessi e più attivismo. Ho riattivato quindi la mia natura battagliera al servizio della causa e questo ha portato i suoi frutti. Sono sempre stata sensibile ai problemi legati alle minoranze e alle ingiustizie. Sentire che il mio contributo e la forza di spirito possono aiutare a cambiare il nostro mondo è un bisogno viscerale. L’impegno sociale mi ha aiutato a definire i miei temi artistici – una delle domande che qualsiasi artista, autore, regista si pone è: di cosa voglio parlare? Cosa mi brucia dentro e ho urgenza di esprimere?».

A questo proposito, attualmente stai raccontando due storie interessanti…
«Becoming Giulia, il documentario che sto girando, prodotto da Point Prod con i produttori David Rihs e Vanessa Droz, racconta la storia di una ballerina étoile dell’Opera di Zurigo che torna dopo la gravidanza nell’istituzione della danza classica. Quando ero ballerina, la gravidanza rappresentava la fine della carriera. Attraverso il percorso di Giulia mi interessa vedere quanto stia realmente cambiando il mondo della classica, soprattutto rispetto all’eguaglianza dei generi. Malgrado si tratti di un universo prettamente femminile, poche donne fanno il passo verso la coreografia, e al famoso Prix Benois della danza su 29 vincitori solo 6 erano donne. Les Limites de L’être è un film dell’orrore che racconta una storia di donne perseguitate, e di crimini di guerra nascosti. Parla dei segreti familiari che, una volta portati alla luce, mettono le persone di fronte ai propri limiti etici. La storia, un po’ un huits clos, si svolge in una scuola di danza abbandonata e affronta temi di abuso, tradimento e antisemitismo. Attualmente sono in fase di scrittura con l’autrice francese Elisabeth Lajarige».

Quali visioni nutri per il futuro?
«Eguaglianza dei generi, in tutte le fasi della catena di creazione di un film. Inclusione e sensibilità rispetto alla rappresentazione oltre che dei generi, delle etnie e degli sguardi LGBTQI. Penso che non si debba più dividere l’eguaglianza di genere dai concetti di diversità o inclusione poiché queste problematiche camminano di pari passo. Affrontarle allo stesso tempo è la chiave per il futuro e per cambiare la tipologia dei film prodotti, sostenuti e selezionati nei festival. E poi vorrei vedere più red carpet in cui le domande sulla gestione dell’economia familiare quando si lavora su un film vadano anche agli uomini».

 

LOCARNO: GLI EVENTI CON L’ASSOCIAZIONE SWAN
L’11 agosto SWAN sarà presente al 72° Film Festival negli spazi dello Sport Café. Alle ore 10-12.30, tavola rotonda «Beyond Metoo»; 11.45 – 12, «Pledge Parity Numbers Review» con Lili Hinstin. Alle 22 si terrà il «Party Swan» con l’artista Camilla Koller.

 

IL PERSONAGGIO & I PROGETTI
Laura Kaehr nasce a Minusio e vive a Zurigo. Studia all’accademia di danza Rossella Hightower a Cannes. Attrice di danza-teatro e film, inizia a collaborare con RSI e RTS, e nel 2010 entra alla ZHdK per studiare transdisciplinarità artistica e regia. Il suo film di diploma 1927 (dedicato al bisnonno F. Kaehr, artista del Monte Verità) sarà al Festival nel 2014. Crea la casa di produzione Cat People Films e nel 2017 entra alla UCLA (Los Angeles) per studiare sceneggiatura. Fonda SWAN nel 2018, associazione che promuove le diversità di genere nel mondo audiovisivo e ne diventa la copresidente. Vince il primo premio con New World (2018) all’Underexposed Film Festival NY. Sta scrivendo il film dell’orrore, Les Limites de L’être, con Elisabeth Lajarige e girando il doc Becoming Giulia per la Point Prod.

 

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