Disavventure latine. Ecuador: ‘Scusi, per l’Equatore?’

A Mitad del Mundo, pensavo di averlo trovato, peraltro molto ben indicato, pure troppo: ma una volta lì ce n’erano due, cinque, quindici…

Di Roberto Scarcella

Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, allegato a laRegione

Mi avevano detto che non c’era niente da vedere, che era brutto, sporco e cattivo. Che si mangiava male e beveva peggio. Che mi sarebbe costato troppo e mi avrebbe dato indietro poco. Che a un certo punto mi sarei chiesto – arrabbiato con me stesso – perché non il Brasile, le Canarie, l’Appenzello Interno. O il Molise. E che se volevo rischiare la pelle potevo almeno evitarmi un volo di dodici ore, visto che ci si può far ammazzare molto più vicino, se proprio ci tieni. Mi avevano detto che non si poteva uscire la sera, e forse nemmeno di giorno, che non si poteva prendere un autobus né entrare allo stadio. Così sono andato a vedere davvero com’è, l’Ecuador: senza ignorare i pericoli (che ci sono, eccome), ma abbracciando – ricambiato – tutto il resto. Ne è valsa la pena. Ve lo racconto qui.

Volevo andare dove l’Equatore è più Equatore che in qualsiasi altro posto al mondo e mettere un punto su quella linea, camminandoci e poi, perché no, sedendomici sopra, un po’ come quelli che piantano la bandierina in cima all’Everest. Pensavo di averlo trovato, l’Equatore, peraltro molto ben indicato, pure troppo: ma una volta lì ce n’erano due, cinque, quindici. E ancora non ho certezze su dove sia quello vero, visto che pare che si trovi nel posto dove ti hanno raccontato più frottole.

La verità, tutta la verità, nient’altro che…

La Mitad del Mundo è un luogo sia immaginario che reale, come si conviene un po’ a tutto il Sudamerica. La sua importanza rispetto a qualsiasi altro posto attraversato dalla linea dell’Equatore è dovuta a una missione geodetica compiuta nel XVIII secolo: un gruppo di geologi ed esploratori francesi (con al seguito due spagnoli e un topografo locale) partì per individuare l’esatta posizione dell’Equatore vicino a Quito. Perché proprio lì? Perché in Africa e in Asia sarebbe stato all’epoca troppo pericoloso, a dimostrazione che l’importanza di certi luoghi è spesso dettata da caso e contingenze, non da un valore intrinseco.


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Il monolite del ‘nuovo’ monumento dedicato alla linea equatoriale

Lo scopo dei geologi era quello di verificare e dimostrare l’ipotesi di Isaac Newton per cui la circonferenza della Terra fosse maggiore attorno all’Equatore. Ci riuscirono, e intanto che c’erano fecero un sacco di cose (uno di loro, Charles de La Condamine, portò a termine la prima spedizione nel cuore dell’Amazzonia, uscendone con la prima descrizione del caucciù, della gomma, del curaro e del chinino), tra cui un segno proprio lì dove l’Equatore era diventato, all’improvviso, più Equatore che altrove. Solo che si sbagliarono, seppur di poco. Da lì una serie di equivoci e rivendicazioni mai finita, nemmeno nell’era del Gps. Il luogo dove tutti i turisti vanno, convinti di trovare l’Equatore e passeggiare con un piede nell’emisfero nord e uno nell’emisfero sud, è Ciudad Mitad del Mundo: che ci sia la fregatura lo si dovrebbe capire dal nome, visto che lì non c’è l’Equatore né la città, ma un complesso turistico, piuttosto dozzinale, con bar e negozi di paccottiglia, per appassionati di geografia e stranezze. Lì c’è un grande monumento attraversato da una linea (gialla) che dice il falso, ma non importa davvero a nessuno, perché agli ecuadoriani porta soldi e ai turisti uno scatto buono per Instagram, anche se in realtà hai un piede nell’emisfero sud e l’altro pure.


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La linea gialla dell’equatore

Il monumento, solenne, ha un suo fascino innegabile: su ogni lato c’è l’iniziale di un punto cardinale e un simbolo legato alla spedizione del 1736. Si può anche entrare e poi salire in cima per vedere il panorama fatto di tanto verde e case basse. Sopra la tua testa, mentre sei lassù, troneggia un enorme globo terrestre. E poi ti senti scemo, ma lì per lì, guardare il cielo dal quasi-Equatore ti smuove qualcosa.

Poco a lato c’è un altro monumento, quello allo spreco, ovvero il palazzo (bellissimo da fuori) che avrebbe dovuto diventare la sede dell’Unasur, l’Unione delle nazioni sudamericane. Costato 44 milioni di dollari, conteneva una bella idea, ma purtroppo solo quella, e cioè poggiare la sede di un consesso sudamericano sopra l’Equatore: dentro non c’è niente, solo “pavimenti, muri e tubi che perdono” come ebbe a dire l’ex ministra ecuadoriana della Cultura María Elena Machuca.


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Il palazzo dell’Unasur

Non lineare

A 240 metri da dove i turisti la fotografano, c’è la vera linea dell’Equatore (Gps docet) e, tutt’intorno, il Museo Intiñan, uno strano mix tra un’esibizione per bambini delle elementari e per adulti regrediti a bambini che si fanno stupire (me compreso) con alcuni giochi che dimostrerebbero come cambiano forza, gravità e resistenza quando si sta sulla famosa linea: e quindi qui è più facile tenere un uovo in piedi sulla testa di un chiodo, se si cammina sulla linea dell’Equatore mettendo un piede davanti all’altro sembra più difficile stare in equilibrio e se fai resistenza con le braccia, queste crollano se solo uno ci poggia due dita sopra, mentre tre metri più in là resisti facilmente. Resti stupefatto, poi t’informi e scopri che giocano con la suggestione.

Quando esci ci sono cartelli che indicano ristoranti, musei gestiti da privati o semplici case che promettono di farti vedere il vero Equatore: chi ce l’ha in giardino, chi in salotto. Ed essendo una linea è normale che possa essere in più luoghi, ma non sembra ci sia una continuità. E poi quanto è larga? Un millimetro, cinquanta metri? Insomma, ognuno è libero di stiracchiare l’Equatore quanto gli pare.


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Una meridiana

Nuvola d’acqua

Poi scopri che a Calacalí, a 9 chilometri da Mitad del Mundo, hanno il vecchio monumento, uguale al nuovo, ma più piccolo: l’avevano costruito, nel posto sbagliato, nel 1936 per commemorare i duecento anni della spedizione. In giro solo giovani e anziani, come se agli adulti fosse vietato viverci. C’è anche una strana nebbia che non se ne va: Calacalí, nella lingua locale, vuol dire “mantello bianco”.


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Una panoramica di Calacalí

Poco più in là c’è il vulcano Pululahua: una valle da togliere il fiato a vederla, ma anche a sentirne la storia, infatti non è una valle, ma l’interno – verdissimo – di un vulcano attivo dove ancora vive un pugno di persone. Si tratta dell’unico villaggio del pianeta dentro a un cratere. Anche qui è nebbia e pioggerella insistente e sottile: Pululahua in quechua vuol dire “nuvola d’acqua”. A poggiare sulla linea dell’Equatore c’è anche il sito archeologico di Catequilla, dove una civiltà precolombiana con grandi conoscenze astronomiche aveva già, se non capito, almeno intuito l’importanza del posto e la sua posizione rispetto al resto della Terra e agli astri. Ancora oltre si arriva a Cayambe, patria dei biscotti ecuadoriani (né dolci né salati, sicuramente buonissimi), città all’ombra dell’omonimo vulcano di 5’790 metri, l’unico luogo del pianeta dove l’Equatore incrocia la neve perenne. Anche a Cayambe il tempo è incerto, a tal punto che il venditore di biscotti, guardando il cielo, decide di non regalarmi altre illusioni: “Amigo, aquí siempre llueve. Pura agua y nada más”.


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Il ‘vecchio’ monumento, di dimensioni ridotte, a Calacalí

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