Oh, dolce far niente…

Niksen è una parola olandese che significa ‘non fare niente di che’. Ma come la mettiamo con l’iperattività del nostro tempo?

Di laRegione

Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, disponibile anche nelle cassette di 20 Minuti per tutto il fine settimana.

Diceva Joseph Conrad: «Come faccio a spiegare a mia moglie che quando guardo dalla finestra io sto lavorando?». Rilassarsi sul divano, stare seduti al sole su una panchina, vagare oziosamente per la città, come un flâneur di Baudelaire, senza fretta, osservando l’ambiente tutto intorno, o seguire la filosofia del «dolce far niente» pare sia la tendenza del momento. È una presa di coscienza rispetto a una società nevrotizzante, dove più si hanno impegni, più si è considerati importanti. 
Secondo il niksen, prendersi il tempo per fermarsi è una sorta di pigrizia produttiva necessaria per aumentare la redditività. Scienziati, scrittori, artisti, mistici, psicologi e persino uomini d’affari raccomandano di trovare lo spazio per lasciar libera la mente e far emergere così nuove idee. La contemplazione e il sogno a occhi aperti possono innescare la creatività. Per «staccare la spina», non basta però sostituire il lavoro con un’occupazione più rilassante, ma bisogna non fare assolutamente nulla. Il primo consiglio per incamminarsi sulla «via della pigrizia» è quello di non giustificarsi davanti agli altri, non provare sensi di colpa, ma ostentare questa nuova modalità, creando in casa un angolo dedicato all’ozio. Ci sono tanti modi di sperimentare il niksen, per esempio organizzando una «festa della noia» con gli amici, non mettendo ordine per una settimana o facendo una vacanza senza andar via di casa.

Inattività produttiva
Dopo l’hygge, l’idea danese di casa accogliente, e il lagom, il principio svedese dell’equilibrio nella vita (si veda «L’arte della felicità», Ticino7 n. 40/2018, ndr), il niksen è l’ultima moda. Senza arrivare all’esempio del bradipo o agli eccessi di Oblomov – il personaggio dello scrittore russo Gončarov, simbolo dell’indolenza elevata a dimensione esistenziale esclusiva –, l’obiettivo è quello di ricaricare le batterie, prevenire il burnout, i disturbi d’ansia e le malattie legate allo stress. Si tratta di rallentare, di concedersi un momento senza alcun piano, se non quello di «essere». Per gli utenti dei social più scatenati, utilizzare così il proprio tempo può sembrare uno spreco. Ma uno dei motivi per cui molte persone si tengono sempre impegnate è quello di evitare sé stesse. O forse il fare sempre qualcosa deriva dalla nozione cristiana di accidia, per cui le mani inoperose sono il campo da gioco del diavolo. Niksen non significa apatia, l’umore malinconico che fa perdere la voglia di fare qualsiasi cosa, ma è una specie di meditazione, un rilassamento mentale, un abbandono a digressioni fantastiche, magari ascoltando della musica rilassante.
Si può iniziare a praticare il niksen 5-10 minuti alla volta, spegnendo il cellulare, il televisore, il computer, chiudendo gli occhi e restando in ascolto del proprio respiro, cercando di lasciare andare i pensieri, in modo che ritornino sotto forma di nuovi impulsi d’azione. 

 

ELOGIO DELL’OZIO
Questo primo saggio che dà anche il titolo al noto libro di Bertrand Russell (Elogio dell’ozio, 1935) tratta dei pericoli derivanti dall’eccesso di zelo e dell’importanza della contemplazione. In esso l’autore propone che si lavori per un massimo di 4 ore al giorno, al fine di poter dedicare il resto del tempo al pensare, al socializzare. E fa un esempio emblematico. Supponiamo che un certo numero di persone sia impegnato nella produzione di spilli, e che ne produca una quantità necessaria per il fabbisogno mondiale, lavorando 8 ore al giorno. Ecco che qualcuno inventa una macchina grazie alla quale lo stesso numero di persone, nello stesso numero di ore, può produrre una quantità doppia di spilli. Il mondo non ha bisogno di tanti spilli e il loro prezzo è già così basso che non si può ridurlo di più. Dunque, basterebbe portare a 4 le ore lavorative nella fabbricazione degli spilli, e tutto andrebbe avanti come prima. Ma una proposta del genere, oggi come allora – ricordiamo che questo scritto è degli anni Trenta – sarebbe giudicata immorale. E invece potremmo approfittare dell’avvento dell’intelligenza artificiale e della digitalizzazione per lavorare di meno e «oziare» di più, nel senso dell’otium «dono degli dèi», cantato da Virgilio. Un scelta politica. prima ancora che economica.

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