Il posto delle donne è ovunque
Le storie professionali di due giovani che per inseguire i loro sogni hanno abbattuto gli steccati di genere. #donneinsciopero
Di Cristina Pinho
Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, disponibile anche nelle cassette di 20 Minuti per tutto il fine settimana.
Hanno 16 e 18 anni e l’entusiasmo nello sguardo e nelle parole di chi è animato da una grande passione e la coltiva con determinazione e impegno. Sono due allieve della Scuola arti e mestieri di Bellinzona (Samb): Dunja, al primo anno, che si appresta a studiare da progettista meccanica; e Jennifer, che frequenta il terzo anno di elettronica. Si occupano rispettivamente di disegnare e sviluppare pezzi singoli o parti di apparecchi, macchine o impianti, e di progettare circui–ti, saldarli, programmare controllori e componenti simili. Le incontro nella mensa della loro scuola.
Ai tempi del liceo ci andavo spesso a pranzo per evitare lunghe attese in fila. Allora la maggior parte degli studenti della Samb era costituita da maschi e a distanza di 15 anni la situazione non è cambiata: «In totale oltre a noi ci sono solo 2 ragazze in quarta e un’altra in prima, su circa 170 studenti». Una scelta inconsueta la loro: «Io sapevo che non saremmo state tante in questa scuola – dice Dunja –, all’inizio un po’ mi faceva paura l’idea di essere l’unica in classe, ma poi ho capito che sono qui per studiare ciò che mi piace e per farmi un futuro». Conferma Jennifer: «È vero, studiare quello che ami è una cosa bellissima». In Ticino i dati mostrano che le donne sono formate almeno altrettanto rispetto agli uomini, e intraprendono in numero maggiore gli studi universitari, i percorsi sono tuttavia fortemente caratterizzati da una specificità di genere. I ragazzi scelgono più frequentemente formazioni nell’ambito artigianale, tecnico e industriale, le ragazze invece sono più orientate al settore sociale e sanitario. Inoltre le giovani donne tra tutti gli ambiti si indirizzano prevalentemente verso un numero ristretto di essi pari al 20%; si tratta del fenomeno della cosiddetta segregazione orizzontale che vede la presenza femminile concentrarsi in un numero limitato di settori – solitamente contraddistinti da forme contrattuali meno favorevoli.
Quelli di Dunja e Jennifer sono esempi preziosi, che solcano cammini poco tracciati da passi femminili, e dimostrano che le donne possono andare dove vogliono, scavalcando stereotipi e determinismo. O almeno così dovrebbe poter essere. «A me piace in particolar modo l’elettronica – spiega Jennifer –, soprattutto quando facciamo pratica in laboratorio e mettiamo mano a quello che abbiamo imparato con la teoria». Dunja: «La mia materia preferita invece è la fisica, mi piace tantissimo capire come funzionano le cose, disegnarle e crearmi l’idea nella mente». «Niente nella vita va temuto, dev’essere solamente compreso. Ora è tempo di comprendere di più, così possiamo temere di meno», ha scritto la fisica e chimica Marie Curie.
Come spesso altre persone incuriosite o un po’ sorprese dalla loro scelta, domando dell’ambiente a scuola. «Per me fin dal primo anno è la miglior classe che abbia mai avuto – dice Jennifer –. Rispetto alle Medie non c’è più la divisione tra ragazze e maschi, qua mi sento uguale a loro. Ogni tanto fanno delle battute, ma per scherzare, mai con cattive intenzioni». Dunja invece mi spiega: «La mentalità dei miei compagni è diversa dalla mia, hanno gusti differenti, fanno discorsi che non sempre mi interessano, però con loro posso parlare di motori, di pezzi, ed è molto divertente. Non è come stare col mio gruppo di amiche, che comunque vedo fuori da qui, ma mi trovo bene». Una buona complementarità. «Anche per i professori siamo tutti uguali – mi dicono –, siamo trattati tutti allo stesso modo, non ci sono favoritismi».
Per quanto riguarda l’accoglienza da parte dei familiari, per il padre di Jennifer l’unica preoccupazione era che lei trascorresse tanto tempo sul treno abitando a Mendrisio, ma nemmeno questo l’ha fermata: «Mi sono abituata, anzi è un bel momento per me». L’interesse per Dunja verso la tecnica le è stato trasmesso dal padre polimeccanico; la madre non era contrariata dalla sua decisione, anche se ha provato a dirle di fare qualcosa di più femminile, «ma non mi interessava». Parliamo poi delle scuole medie e Dunja racconta: «Nel mio caso i professori hanno sempre saputo che ero portata per la meccanica, quindi mi hanno consigliato questa scuola». Per Jennifer è stato un po’ diverso: «Molti miei professori credevano che sarei andata al liceo, ma io volevo l’Attestato federale di capacità così da avere più conoscenze specifiche nell’ambito che mi interessava ed eventualmente poter iniziare a lavorare subito dopo la formazione. Quando mi hanno presentato le varie scuole superiori non mi hanno parlato di questa; solo grazie alla mia orientatrice sono venuta alle porte aperte. Peccato, penso che si dovrebbero sempre mostrare tutte le possibilità».
Per il futuro Jennifer ha le idee ben chiare: «Finita la Samb vorrei andare alla Sup di Friborgo, come ingegnera informatica, e poi fare il master in intelligenza artificiale». Anche Dunja intende proseguire la formazione: «Sono sicura che voglio continuare a studiare, voglio fare ingegneria meccanica». Chiedo loro se hanno timore di essere discriminate nel mondo del lavoro. «Io penso che a un livello abbastanza alto, di master, alla fine se sei maschio o femmina non importa tanto, contano le tue capacità – sostiene Jennifer –. L’importante è quello che hai in testa, non il tuo corpo. Non so com’è veramente nel mondo del lavoro però…». Dunja: «Io spero non ci siano differenze di trattamento, in caso contrario mi impegnerei per dimostrare quanto valgo e davanti ai fatti non potrebbero fare tanto».
La verità è che in Svizzera la disparità tra donne e uomini nel mondo del lavoro è ancora ampia. Stando agli ultimi dati pubblicati dall’Ufficio federale di statistica, per esempio, a livello salariale nel 2016 le donne nel settore privato hanno guadagnato mediamente circa il 15% in meno degli uomini. Lo scarto è tanto più marcato quanto più è elevato gerarchicamente il posto occupato e varia a seconda dei settori economici: nell’industria metalmeccanica è stato di 964 franchi al mese.
Chiedo come mai continuino a esserci così poche ragazze in questo ambito. Risponde Jennifer: «Penso che quando si sono creati lavori come il polimeccanico erano occupati maggiormente dagli uomini perché ci voleva molta forza. Anche per via dell’intelligenza: un tempo la donna era poco considerata, doveva stare in casa. Questo poi è stato tramandato col tempo e di solito ancora adesso se parli a una ragazza di elettronica dice che è una cosa da maschi senza neanche provare a interessarsi. Per me nessun mestiere dovrebbe essere identificato con un sesso o l’altro, ma spesso è ancora così. Un mio amico per esempio ha fatto una scuola di sartoria ed era l’unico ragazzo nella sua classe».
Le scienze sociali spiegano che questa ripartizione dei ruoli non ha a che fare con una naturale propensione della donna all’accudimento e dell’uomo alla progettazione e alla costruzione, ma con un condizionamento storico-culturale che agisce fin dai primi anni dell’infanzia. Ai bambini si regalano giochi di tecnica e combattimento, alle bambine bambolotti da curare e barbie da vestire; ai maschietti si fanno complimenti incentrati sulla forza e l’intelligenza, alle bambine sulla dolcezza e la bellezza; nelle storie e nella Storia gli uomini sono spesso presentati per la loro professione, le donne attraverso il loro ruolo parentale. Uno schema ampiamente veicolato anche dai media che rispecchiano e rafforzano tale normatività binaria. La filosofa Simone de Beauvoir ha descritto con un’immagine eloquente il fenomeno: la gonna costringe a terra le bambine, obbligandole a guardare il mondo dal basso, senza provare l’ebbrezza di osservarlo dalla cima degli alberi. Così nel periodo dell’adolescenza in cui solitamente si cerca l’appartenenza, al momento di scegliere (quando possibile) dove andare, la biforcazione della storia per lo più si ripete. Dunja infine mi dice: «Ci sono ancora persone che pensano che gli uomini devono fare questo, le donne quello. In futuro mi piacerebbe mostrare con la mia storia che il posto delle donne è dove vogliono essere».
Due testimonianze importanti che ispirano e fanno vedere che è possibile rompere lo stretto stampo dello stereotipo. Ma per questo i dati indicano anche che sono necessarie le giuste condizioni a livello sociale, economico e politico affinché il diritto ad autodeterminarsi e realizzarsi sia concesso ad ogni individuo, indipendentemente da appartenenza biologica, colore della pelle, nazionalità, orientamento sessuale o disabilità. Perché sempre di più ognuno possa esprimersi autonomamente e non essere parte assente o muta della narrativa di qualcun altro.