Donne da volante
Il problema non è come si guida, me a cosa serve la nostra auto
Di laRegione
Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, disponibile anche nelle cassette di 20 Minuti per tutto il fine settimana.
La Redazione mi ha giocato un brutto tiro: di recente ha pubblicato un numero speciale sulle auto
(https://issuu.com/laregione/docs/ti7_05042019), senza avvisarmi! Eppure sono un’ottima pilota…
Della macchina di mia madre ricordo il rumore a ogni curva dei cd sistemati nella tasca dello sportello, che facevano impazzire mio padre. Si narra come in ogni epica il racconto si confonde con il sogno, che all’ennesimo viaggio con quei rumori di sottofondo, lui abbia tirato giù il finestrino, esasperato, per buttare fuori tutto quello che si muoveva in quella macchina non sua. La storia riporta anche di sacchetti della spazzatura trasportati giorni interi, nella più completa distrazione della guidatrice, fino all’arrivo di lui. L’uomo che non vedrebbe un prete nella neve e che non è in grado di assemblare una moka del caffè, quando si tratta di automobili diventa un incrocio tra Sherlock Holmes e MacGyver.
Un veicolo, mille usi
È evidente che ho già smesso di parlare dei miei genitori e ho iniziato a parlare di noi e, somma ambizione della rubrichista, anche di voi. Perché possiamo essere belli o brutti, pigri o vivaci, innamorati o delusi, ma sappiamo che non c’è niente di più privato dell’automobile. Pensatelo lunedì mattina, quando il vostro vicino di semaforo si starà esplorando il naso in attesa del verde. O quando la signorina in procinto di ingranare la marcia tirerà fuori il rossetto per un ultimo ritocco guardando lo specchietto. O quando vostro marito vi farà vergognare gridando dietro ai pedoni che vanno troppo lenti sulle strisce pedonali. C’è un posto in cui ci permettiamo di essere più vergognosamente, bestialmente e impresentabilmente noi stessi che non sia l’auto?
Quelle di noi che si mettono al volante la mattina dopo aver lasciato i bambini a scuola agganciano il telefono al vivavoce come un prigioniero affronta l’ora d’aria. Venti minuti di strada per chiamare la mamma, mandare un vocale alla tata perché prepari un sugo salvavita, chiacchierare con l’amica del cuore senza che nessuno si senta autorizzato a disturbare con richieste di qualcosa da prendere, aprire, pulire, trovare.
Il mondo non si divide tra chi in macchina si preoccupa del cric e chi delle salviettine umidificate, ma tra chi la macchina la usa per spostarsi e chi la venera come pied-à-terre. I bagagliai dei primi sono puliti e dotati di cassetta degli attrezzi. Quelli dei secondi contengono un cambio completo, la borsa del calcetto, i giochi dei bambini, i vestiti vecchi da smaltire in qualche centro per l’usato. Soprattutto: perché usare il bagagliaio quando ogni cosa può essere agilmente raggiunta se posizionata sul sedile posteriore? La prova che l’acqua non scade l’abbiamo avuta più volte d’estate, attaccandoci avidamente alla bottiglia d’acqua che giaceva da mesi sotto il sedile del guidatore.
L’altro tema da affrontare è la guida. Non prima di aver fatto una premessa importante: l’unica vera differenza genetica tra maschi e femmine si vede nella marcia indietro: nessuna donna di mia conoscenza sa fare la marcia indietro diritta come la fa un uomo. Fatta eccezione per questo piccolo dettaglio insignificante – gli uomini non possono che eccellere in qualcosa di utile soltanto a dimostrare la loro perizia, ma senza nessuna reale ricaduta pratica di peso –, il vero pericolo è il pilota che «ha frequentato un corso di guida sicura». Fate qualche chilometro come passeggero di un «pilota sicuro» e pregherete di non essere mai salite sulla sua auto. Può essere un uomo o una donna, ma giura che professionisti del settore gli hanno insegnato che è estremamente sensato frenare fino all’ultimo secondo, sballottare il passeggero nell’abitacolo e sgasare come forsennati. Di sicuro, in questi corsi, ci deve essere almeno il «vaffa» finale.