Theatre of Tragedy. Poesia gotica dal profondo Nord
“Velvet Darkness They Fear”: un disco che è un capolavoro di poesia gotica, perfetto per anime inquiete e romanticamente tormentate
Di Marco Narzisi
DISCHI DAL RETROBOTTEGA
Theatre of Tragedy – Velvet Darkness They Fear (1996)
Recensire un disco metal in questa rubrica può sembrare un sacrilegio o, bene che vada, uno scadimento. Non lo è (però) se, sfidando un certo pregiudizio snob riguardo al “metallo”, si presenta il lavoro di una band che ha riscritto le coordinate del gothic metal aprendo la strada a innumerevoli imitazioni/ispirazioni. Parliamo di Velvet Darkness They Fear, secondo album dei norvegesi Theatre of Tragedy, uscito nel 1996 e considerato come l’apice compositivo non solo della band ma dell’intero panorama gothic.
La rivoluzione dei Theatre of Tragedy sta nell’aver portato definitivamente alla ribalta lo stile di cantato “beauty and the beast”, ovvero una voce femminile angelica, spesso su registri da soprano lirico, contrappuntata da una maschile cupa e aggressiva che sovente sfocia nel growl. Un paradigma che verrà seguito negli anni da band che hanno fatto la storia moderna del genere a partire dagli anni Duemila, dagli scandinavi Tristania, Nightwish, The Sins
of thy Beloved agli italianissimi Lacuna Coil. Velvet Darkness They Fear si poggia ancora in parte sulle basi doom-metal dei pionieri del genere (My Dying Bride, Paradise Lost e amici vari): brani mediamente lunghi, ritmiche lente e pesanti, chitarre scarne ed essenziali, con assoli ridotti al minimo o del tutto assenti, come nell’iniziale ‘Fair And ’Guiling Copesmate Death’ e la successiva ‘Bring Forth Ye Shadow’. Ma qui la cupezza funerea del doom sfuma in un’atmosfera malinconica e rétro, sottolineata dalle liriche spesso in inglese arcaico shakespeariano e addolcita da strumenti classici come pianoforte e archi su cui fluttua, eterea, la voce di Liv Kristine che si intreccia, e a volte dialoga, con quella a tratti vigorosa, a tratti lugubre di Raymond Rohonyi. Non mancano le accelerazioni, a partire da quello che è uno dei brani di punta dell’album e di tutto il genere, ‘Der Tanz Der Schatten’, in cui le due voci si sovrappongono correndo parallele a tratti, per poi piegarsi fino a ricongiungersi e poi ancora allontanandosi, con l’“Ich liebe dich” ripetuto ossessivamente da Liv Kristine che farà forse cambiare idea a chi vede nei metallari solo personaggi brutti e cattivi.