Verso Gaza. I droni per smarrirsi, le stelle come bussola

Seconda pagina del diario di bordo dalla Wahoo!, imbarcazione della delegazione svizzera della Global Sumud Flotilla

Di Vanni Bianconi

Pubblichiamo un contributo apparso su ticino7, allegato a laRegione

Partita da una settimana, l’imbarcazione della delegazione svizzera della Global Sumud Flotilla ha vissuto attimi di tensione dovuti agli attacchi dal cielo. In questa seconda pagina di diario, ecco alcuni frammenti di cosa è accaduto negli scorsi giorni.

19 settembre 2025

Oggi salpiamo verso Gaza. Così si chiudeva il mio articolo scorso. E il 18 mattina la Wahoo! è poi salpata, ma con solo altre sette navi, verso il Peloponneso, e di quelle sette se ne sono viste solo tre dietro di noi. L’organizzazione ha parlato di ammutinamento, di espulsione, per poi prometterci una riunione operativa appena tornati indietro e la partenza, di nuovo, domani.


© Vanni Bianconi

Appena usciti dalle acque del porto sulla Wahoo!, accompagnati dalla tromba di Sid e dai saluti infiammati o dubbiosi delle altre ciurme, abbiamo sentito la gioia, la gioia covata per tre settimane nel fango del pollaio dell’attesa: è uno stupore lancinante, prendere il mare verso Gaza. Ed è stato come un incubo bituminoso tornarcene in rada.

Ho dovuto dire a me stesso e alla mia ciurma che se il giorno dopo, il 19, oggi, non si salpa, avrei lasciato la missione. Ho dormito sul ponte per l’ultima volta (o perché me ne vado, o perché per mare mica si può fare…). Oggi alle 8.30 UTC partiamo. Poca emozione, è uscita dal guscio ieri. Poche barche con noi, ma col benestare dell’organizzazione. Poi una seconda ondata parte alle 10.30, poi la nave madre ha un guasto e fa marcia indietro con altre navi di rifornimento.

Possono dirci di tornare indietro. Non lo fanno.

La flottiglia si riunisce, più di 30 barche a vela in formazione, venute da tutti i porti dell’Europa, dall’Africa, scafi di legno vele e il vento. Il colore cobalto del mare. Le comunicazioni via radio. Il sole che splende, il sole che scende. Più di trenta barche in formazione, le minacce e le promesse del mare. I capitani fanno quello che sanno fare. Al mio è cambiata la voce e gli occhi di mare. Vele a perdita d’occhio intorno a noi. Sappiamo cosa siamo venuti a fare. Non siamo soli, siamo una flottiglia.


© Vanni Bianconi

20 settembre 2025

È notte. Per arrivare qui, nel mezzo del Mediterraneo, sono partito da Ambrì, dove non ci sono tante cose ma il cielo sì, la notte si è immersi nella Via Lattea. O così pensavo finché ho finalmente alzato gli occhi tra le capote della barca. Mi è mancato il fiato come ora mi mancano le parole. Spruzzi, come quelli del mare? O un’infinità di particelle luminose come quelle acquee che si percepiscono respirando l’aria dei tropici? Qualcosa che è delimitato, monadi, ma inspiegabilmente perché sono dappertutto, tanto che andrebbero percepite come un intero luccicante, perché in ogni lembo di cosmo buio eccone un’altra e un’altra ancora. Ci siamo capiti.

Il mare quello no, buio e possente il mare di notte, non ne vuole sapere di monadi o di luci. Ma sulla sua superficie, a perdita d’occhio, in ogni direzione si guardi, delle luci anche lì. Sono le luci della flottiglia, queste barchette che in perfetta formazione stanno percorrendo miglia marittime: sono ovunque, così che sembra che le rive non ci abbiano lasciati partire da soli ma qui, nel mezzo del mare di mezzo, ci accompagnano.

E così è, non è vero?, quanti di voi ci seguono da terra, col pensiero, con la speranza, con un senso di responsabilità. E quanti a terra stanno reagendo e stanno agendo. Al Teatro Sociale di Bellinzona, per esempio, o con lo sciopero generale che si prepara in tutta Italia il 22 settembre. Come il bosco di Macbeth, le rive si muovono, la terra non è ferma e speriamo che arrivi, che arriviate, con noi, a Gaza.


© Vanni Bianconi

21 settembre 2025

Notte. Mentre le sentinelle della flottiglia scambiano messaggi sui droni che ci sorvolano, spicca il messaggio di Sil, il nostro giovane meccanico: “Tra la Cintura di Orione e la sua spalla destra, Betelgeuse, c’è una stella un po’ più pallida e un po’ più alta, è Bellatrix. Sali ancora un po’ e trovi una stella rossa luminosetta, è Aldebaran, nella costellazione e nello zodiaco del Toro. Si traduce ‘colei che segue’ perché segue le sette sorelle (le Pleiadi), un conglomerato di 7 stelline appena sopra di lei”. Così guardo il cielo, di nuovo, ma adesso vedo una poesia scritta dalla biochimica e poeta Heba Abu Nada, che il 20 ottobre 2023, in un bombardamento israeliano su Khan Yunis (Gaza), ha raggiunto la città di cui parla nella sua poesia e che sto guardando adesso finché gli occhi non vedono più.

15/10/2023

Noi lassù costruiamo una seconda città,
medici senza pazienti né sangue,
insegnanti senza aule gremite e urla agli studenti,
nuove famiglie senza dolori né tristezza,
e giornalisti che fotografano il paradiso,
e poeti che scrivono sull’amore eterno,
tutti da Gaza, tutti.
Nel paradiso c’è una nuova Gaza che si sta formando ora, senza assedio.

(Traduzione di Nabil Bey Salameh, Il loro grido è la mia voce).

24 settembre 2025

Le stelle si sono mosse. Come le rive si muovevano con noi, con la solidarietà delle piazze e dei singoli, ora si sono mosse le stelle. Sono scese dall’alto, tre, quattro alla volta, scese verso le navi della flottiglia, risalite e ridiscese verso la prossima barca. Come calabroni malefici trovata quella giusta la bombardano. Un boato assordante e fiammate nella notte. La stella finita cancella per un attimo l’intera volta celeste. Vele lacerate. La tensione anche lei alle stelle. La fragilità delle barchette in fibra di vetro, cariche di diesel, è patente, ma l’attacco è chirurgico. Nessuno è ferito. Nemmeno dalla sostanza chimica che potrebbe soffocare e scorticare. Dodici attacchi in tutto.

Ce ne sono voluti quattro perché capissimo la strategia, colpiscono solo le barche con le vele aperte. La nostra era ammainata. Quando si capisce il disegno la tensione cala, la calma tesa rimane, si riprende il controllo del pensiero che per un po’ si occupava solo dell’immediato, dove devono mettersi i compagni, chi deve fare cosa. Sempre Sil: “Il loro intento di terrorizzarci con me non funziona. Ero già terrorizzato”. I droni grandi volano alti, quelli piccoli si rialzano e scendono scegliendosi la vittima. Ogni discesa ferma il respiro pensando a chi verrà colpito. Non sono scesi su di noi. Una volta che tutte le vele sono ammainate un ultimo botto. Poi torna la notte.

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24 settembre 2025, pomeriggio

Di colpo facciamo rotta verso Creta. Stanotte sotto attacco si è chiesto aiuto alla guardia costiera che ha chiarito che sarebbero intervenuti solo se ci fossero stati feriti (almeno hanno salvato dei migranti in pericolo vicino all’isolotto di Gavdos). Dalla mattina (o chi ne fa le veci, seguiamo l’orario UTC e dormiamo mezz’ora qua e là) lo sforzo collettivo, a terra e per mare, è stata la pressione sui governi perché finalmente reagiscano. Da poco è arrivata la notizia che il ministro della guerra Crosetto ha condannato l’attacco coi droni, la fregata Fasan ci seguirà per garantire assistenza ai cittadini italiani. Le quattro barche colpite più gravemente vanno riparate. Alcuni abbandonano la missione.

Dobbiamo temporeggiare e ci dirigiamo verso Creta. Forse nelle acque nazionali, cosa assolutamente esclusa fino a poco fa per il rischio di una nuova guerra burocratica che ci avrebbe definitivamente fermato. Vediamo le coste di Creta. Forse getteremo l’ancora nelle acque greche. Forse qualcosa cambia. Forse no. Il Minotauro. L’ibrido di Schroedinger: ci scanna (scartoffie & fermi) e ci accoglie (ouzo & bouzouki). L’altro mostro, di tutt’altra risma, quello che ci aspetta la notte, lo dimentichiamo di giorno. Poi da fonti affidabili minacce senza precedenti.

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