Quando l’ansia ruba le parole
Non aprire bocca davanti ad estranei, mettersi in disparte, evitare gli altri: sono sono alcune manifestazioni del mutismo selettivo. Ma che cos’è?
Di Mariella Dal Farra
Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, disponibile anche nelle cassette di 20 Minuti per tutto il fine settimana.
Colpisce soprattutto i più giovani e stime recenti indicano che ne soffrirebbe un bambino su 140, sovente senza che nessuno riconosca il problema. All’origine la paura, la vergogna e il senso d’inadeguatezza.
A volte è difficile dare voce a come ci si sente: di cosa abbiamo bisogno o paura, ciò che pensiamo. Ma per alcuni bambini, soprattutto in certe situazioni, sembra addirittura impossibile. «La mia personale esperienza con il mutismo selettivo è iniziata intorno ai 12 anni» scrive Aaron Walker nella sua tesi di laurea in psicologia, dedicata a uno studio qualitativo del problema che ha vissuto in prima persona: «Prima di allora ero in grado di comunicare liberamente in ogni situazione. A partire dai 12 anni ho iniziato a sperimentare una crescente difficoltà a parlare: prima a scuola, poi con gli amici e infine con la famiglia, fino a quando l’unica persona con la quale riuscivo a comunicare era mia madre. In tutte le altre situazioni, e con tutti gli altri, indipendentemente da quanto lo desiderassi, non ci riuscivo, e le mie interazioni si limitavano a cenni di assenso, alzate di spalle e, occasionalmente, un «mhmm» mormorato sottovoce. Solo di recente ho ritrovato un senso di normalità nella vita e, sebbene vi sia ancora del lavoro da fare, posso di nuovo (quantomeno, di solito) parlare».
Leggere i comportamenti
L’intento dichiarato di Walker è stato proprio il dare voce a quella «minoranza silenziosa» di cui lui stesso è stato parte. Nonostante diverse ricerche abbiano indagato il mutismo selettivo, infatti, l’esperienza dei diretti interessati non è stata ancora sufficientemente messa in luce: una lacuna che può avere ricadute importanti su come i bambini, i ragazzi e gli adulti con questo tipo di disturbo vengono percepiti e trattati dagli altri.
Il silenzio, soprattutto nel caso dei bambini, può essere facilmente travisato dagli adulti non informati come un atteggiamento oppositivo, di squalifica o di sfida. Nel riferire il caso di un ragazzino di 12 anni con mutismo selettivo, Zena Lawrence, psicologa dell’età evolutiva, riporta le dichiarazioni di un preside che lo descrive come «manipolativo: vuole che le cose siano fatte a modo suo e, quando gli parli, si limita a fissare nel vuoto […]. Qualche volta, quando è di quell’umore, si siede in disparte e non fa niente! Una volta è rimasto fino alle cinque del pomeriggio e non c’era verso di smuoverlo» (in «The silent minority: supporting students with selective mutism using systemic perspectives», Support for Learning, Vol. 32, N° 4, 2017).
A tale proposito, è bene considerare che il mutismo selettivo può presentarsi insieme ad altri comportamenti atipici, come per esempio una reazione di «congelamento» se si viene interpellati in presa diretta o anche, semplicemente, quando ci si trova in una situazione che preveda un’interazione con qualcuno. La concomitanza di questi comportamenti aumenta il rischio che il bambino venga considerato oppositivo, quando invece sta soltanto manifestando una paura estrema (reazione di fight/flee e freezing). Ridefinire l’atteggiamento dei bambini con mutismo selettivo in termini di reazione difensiva aiuta gli adulti a rispondere in maniera appropriata, evitando di rinforzare inavvertitamente il sintomo con castighi o sanzioni.
L’approccio creativo
Attualmente classificato come «Disturbo d’ansia» dal Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-5), il mutismo selettivo è stato variamente interpretato come una forma accentuata di ansia sociale (nella quale spesso evolve con la crescita) o come la gradazione più lieve dello spettro dell’autismo. Non c’è consenso sulle possibili cause, sebbene lo sviluppo del disturbo sia stato messo in relazione a fattori genetici (Hagerman et al. 1999), al disturbo da stress post-traumatico (MacGregor et al. 1994; Anyfantakis, 2009), all’ansia di separazione (Anstending, 1999; Lehman, 2002), a dinamiche famigliari disfunzionali (Chavira et al. 2007) e alla fobia sociale (Black & Uhde, 1992). Il fattore comune a tutte queste condizioni è una difficoltà nel regolare l’intensità delle emozioni e, conseguentemente, l’essere soggetti a un’elevata «quota d’ansia».
Come sottolinea Walker nella sua ricerca, l’idea che le persone con mutismo selettivo non vogliano comunicare è contraddetta da tutti coloro che ne soffrono: «Nella misura in cui i metodi impiegati per facilitare la comunicazione consentono loro di evitare interazioni verbali dirette, le persone con mutismo selettivo sono perfettamente in grado, e spesso anche desiderose, di condividere la propria esperienza».
In alcune scuole elementari del canton Ticino si sta sperimentando con interrogazioni in differita – registrazione di video a casa che vengono poi riprodotti in classe – e la comunicazione scritta (i «bigliettini»): un approccio creativo per favorire la partecipazione attiva dei bambini con mutismo selettivo, in attesa che tornino a pronunciare quelle parole che hanno così chiare nella mente.
IL FENOMENO IN TICINO
Si stima che nel nostro cantone siano almeno una ventina i bambini con mutismo selettivo ma, secondo l’Associazione Ticinese Mutismo Selettivo – ATiMuSe (atimuse.ch) costituitasi nel novembre del 2017, si tratterebbe soltanto della «punta dell’iceberg». L’Associazione, avvalendosi della consulenza di psicologi e di altri professionisti, si propone come punto di raccordo fra i bambini e la scuola, aiutando anche i genitori a comprendere meglio la natura del problema. ATiMuSe collabora attivamente con l’Associazione Italiana Mutismo Selettivo, che il 23 novembre scorso all’Istituto Leone XIII (Milano) ha organizzato un seminario dal titolo «Momentaneamente silenziosi». Sul sito aimuse.it trovate alcune informazioni sulla serata.