La ‘bottega’ di Amanda Molinaro

A Biasca gestisce un negozio dove giochi, libri e vestiti di seconda mano vanno e vengono. Ma prima ci sono le persone.

Di Samantha Dresti

Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, disponibile anche nelle cassette di 20 Minuti per tutto il fine settimana.

Gli spazi di vendita dedicati al commercio dell’usato (i second hand) sono una passione per molti. Oggi diffusi un po’ ovunque  (meglio se «di qualità») sono diventati una tendenza, e non solo per chi ha scarse disponibilità finanziarie. Lo sa bene Amanda Molinaro, che a Biasca gestisce un negozio dedicato proprio a questi oggetti. Lei si definisce «un’accumulatrice» e il suo sogno è possedere un furgone e girare per cantine, mercati, solai: «Ma per fortuna non guido», ci confessa sorridendo, «chissà cosa troverei!».

Una scelta d’amore, per il mondo
«Che cos’è l’amor? Chiedilo al vento…»: la voce di Vinicio Capossela ci accoglie in sottofondo insieme allo sguardo vagamente cupo di Amanda, che cogliamo in un momentaccio: si sta dedicando «alla contabilità», e questo non le piace affatto. Poi si rasserena e ci racconta della sua «bottega», o il suo «capriccio» come lo definisce il compagno Simone, che però l’aiuta e la sostiene in tutto e per tutto. «Ok, non ci tiro fuori un vero stipendio, ma quando arrivo a casa la sera sono felice». 
All’inizio vendeva solo giochi e l’occorrente per i bambini, partendo dal recupero di quello che offriva la cantina di casa: «Quante cose si accumulano con due figli; tra ciò che compri e quello che ti regalano, molti oggetti restano usati pochissimo!». Solo in seguito ha iniziato coi vestiti, l’oggettistica, i libri eccetera. Comprare usato, si sa, è una scelta responsabile per il futuro del pianeta. Ma c’è di più, anzi meno: poco packaging, chilometro zero, meno sostanze tossiche nei vestiti e meno spese, naturalmente. E poi, vuoi mettere la soddisfazione nel trovare quella gonna, quella camicetta, quel «qualcosa»; entrano in gioco la fantasia, l’estro, il caso.

’Horror vacui
Entro nello spogliatoio per provare una maglietta appena adocchiata e Amanda mi spiazza: «Sei in un bancomat». Poi scopro che i cinque locali e mezzo del negozio ospitavano la filiale di un istituto di credito, ora invece sono pieni zeppi di «cose». Uno spazio apposito è dedicato ai bebè: vestitini, giocattoli, oggetti per la loro cura; un altro accoglie oggetti per ragazzi, pattini, monopattini; e ancora scarpe, borse, libri, cimeli, cartoline, orecchini, collane, orologi. Quando pensi di aver visto tutto, Amanda da sotto al banco tira fuori altri libri. Se fossimo in un dipinto si potrebbe parlare di horror vacui, di terrore del vuoto: «Siamo quasi sommersi dalle cose» esclama una cliente. La si sente ma non la si vede, forse celata da una scansia. Poi scopro che questo stesso concetto di assenza del vuoto lo si osserva anche nei disegni creati da Amanda: «E comunque tra tutta questa roba mi piace che l’energia giri» sottolinea lei, che regolarmente cambia, toglie, elimina, aggiunge e molta della mercanzia finisce a persone bisognose: «Ma voglio avere la certezza che le cose arrivino a destinazione» e così, attraverso conoscenze, partono gli scatoloni per la beneficenza. Lei definisce questo luogo come uno spazio di aggregazione, di scambio di idee, dove c’è chi passa giusto per salutare – e a volte anche a confidarsi –, chi cerca una parola di conforto, chi per consegnare i propri oggetti usati e ridare loro nuova vita in altre mani. 
«Ecco, sì, mi piace l’idea del centro sociale, anzi del collettivo», esclama Amanda, una donna caparbia, idealista. «Mio nonno era un partigiano…», ah ecco, adesso capisco tutto: lei crede fermamente in quello che fa e si percepisce che ci mette amore. Gli occhi si fanno lucidi quando racconta di bambini figli di rifugiati che «ti guardano con quegli sguardi che hanno visto cose che nemmeno un adulto dovrebbe mai vedere». E prosegue col suo piglio malinconico e vivace insieme: «Regali loro una girandola o un pacchetto di matite colorate – che i nostri figli neanche le guardano – e li fai felici».

Quello che tengo
Come per tutti, anche Amanda Molinaro ha oggetti di cui non si libererebbe mai. Per esempio un paio di gioielli appartenuti alla zia e poi i suoi libri: «Faccio fatica a separarmene. A casa ho l’embargo, ma qualcuno riesco sempre a farlo passare». Gli intoccabili sono anche altri, come «tutti i dischi in vinile, i cd, i poster di Fabrizio De André…». Si parla e si parla, mentre il sottofondo musicale «d’autore» riempie l’atmosfera. Nel frattempo dalla porta sono entrate e uscite donne di diverse età: tra questi scaffali c’è un vero microcosmo. Saluto tutti ed esco, lasciandomi  un universo alle spalle. Ricco di sfumature, di racconti, che «pulsa di vita». Come i mercati delle pulci di Napoli e di Torino che piacciono tanto ad Amanda.

IL PERSONAGGIO
Amanda Molinaro vive a Bodio col compagno e i loro due figli. Estro creativo, fantasiosa, spirito imprenditoriale, da ragazza aveva aperto un negozio di parrucchiera, ma poi il mestiere l’ha stufata e ha cambiato rotta. Trasmette forza d’animo: qualcuno passa da lei anche solo per una chiacchierata o per «tirarsi su il morale». Amanda non te le manda a dire e ricorda con piacere una fortunata frase di Sandro Pertini: «Chi ha carattere ha un brutto carattere». Oltre al lavoro e alla famiglia, si è ripromessa di dare più spazio a un’altra passione: la fotografia. 

 

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