Cosa ci dicono le fiabe

Perché in tutto il mondo sono così simili tra loro? E poi, che significato hanno le formule magiche, la foresta, la casupola, il lupo?

Di Sara Rossi Guidicelli

Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, disponibile anche nelle cassette di 20 Minuti per tutto il fine settimana.

L’antropologo russo Vladimir Propp, uno dei più grandi studiosi di folklore del Novecento, è tra i pochi al mondo ad aver studiato l’origine e lo sviluppo delle fiabe con metodo scientifico. Per spiegare come mai si trovi lo stesso intreccio con infinite varianti nei quattro angoli della Terra, Propp non si è accontentato dei soliti luoghi comuni, e cioè che le fiabe «nascono nella notte dei tempi da bisogni universali». 
Propp ne ha studiato la trama: il più giovane della famiglia parte da casa per un luogo lontano, attraversa un bosco, entra in una casupola, passa dentro un animale (pancia o pelle), incontra una maga o un orco, ha un amico o un oggetto fatato che lo aiuta a compiere un’impresa e conclude il suo viaggio vittoriosamente. Questo è più o meno esattamente quello che viene rappresentato nei riti delle tribù di cacciatori: il rito funebre e quello dell’iniziazione, strettamente legati. Fondamentali elementi di questi riti si ripetono nelle fiabe e resistono a migliaia e migliaia di anni di tradizione orale. 

Di riti e di cacciatori
Il rito di iniziazione era sentito dai nostri avi cacciatori come soggiorno nel regno dei morti. Al momento della pubertà si conduceva l’iniziando nel regno dell’oltretomba: lo si portava nella foresta, entrava in una casupola, un vecchio o una vecchia conduceva il rito e gli dava un aiutante, un amuleto, una formula magica; veniva tatuato, rasato, talvolta mutilato; lo si metteva in una pelle di animale affinché diventasse padrone dei lupi, degli orsi e della natura tutta intera. Lo si iniziava ai miti della tribù e ai segreti della caccia e infine lo si riportava nel mondo «di qua»: morto il fanciullo, nato un nuovo membro della tribù. Dove si pratica ancora oggi il rito, nelle poche società di cacciatori ancora esistenti, non ci sono fiabe; le fiabe nascono quando il rito decade.
Quando i nostri antenati sono diventati agricoltori, si è cominciato a raccontare ciò che succedeva un tempo ai ragazzini portati nella foresta. Chi narra non comprende più il senso profondo del rito, anzi lo ritiene crudele e così il beneficio dell’essere inghiottito da un animale diventa il pericolo di essere mangiato dal lupo; l’anziano nella casupola si trasforma in orco o strega divoratrice; i bambini sono stati portati nel bosco dai genitori che li abbandonano e così via. L’impresa diventa la sconfitta «dei cattivi» mentre restano il viaggio e parecchi dettagli che rimandano al passato preistorico. Per esempio la bacchetta magica non è altro che un retaggio del culto degli alberi, quando si usava un rametto per trasferire il potere della natura sulle cose o le persone. A strati poi si aggiungono gli elementi storici delle epoche che la fiaba attraversa: elementi agricoli, feudali e della nuova religione. 

LA DIATRIBA
Il testo di Vladimir Propp (1895-1970), uscito nel 1948 in russo, l’anno successivo era già stato tradotto in italiano, con il titolo Le radici storiche dei racconti di fate. In Italia fu contestato fin dall’inizio, in particolare da Benedetto Croce, luminare della cultura italiana, che lo ha bollato come «pericoloso, di chiaro stampo marxista e antireligioso». Perché tanta paura di spiegare le origini delle fiabe? E cosa c’entrano il marxismo e la religione? Secondo Propp (e Marx) gli aspetti artistici e le credenze spirituali di un popolo derivano dalle sue forme sociali ed economiche. Studia le fiabe da un punto di vista storico e le mette in relazione con i riti religiosi dell’epoca preagricola: per lui, i culti, i miti e l’arte sono prodotti culturali. Benedetto Croce, intellettuale estremamente influente e tra i più ascoltati all’epoca, rifiuta invece questa spiegazione perché dire che la fiaba deriva dai riti sacri di 12mila anni fa apre la strada a studiare i Vangeli in funzione del periodo storico in cui sono stati concepiti. Propp infatti considera gli angeli custodi e i santi come forme più recenti di aiutanti fatati, i quali ci guidano nelle difficoltà della vita, proprio come la madrina di Cenerentola, il Gatto con gli stivali e, più anticamente, l’animale-guida che insegnava ai nostri avi i segreti della caccia.

 

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