Piera Gianotti: la natura e la bellezza del recitare
Una storia capriaschese che unisce il teatro, l’allevamento e un simpatico caprone chiamato Fidel
Di laRegione
Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, disponibile anche nelle cassette di 20 Minuti per tutto il fine settimana.
Arrivare a Bidogno di domenica mattina, per chi è abituato alla vita di città, è un po’ come finire in una scena di Non ci resta che piangere, dove due malcapitati (gli straordinari Roberto Benigni e Massimo Troisi) si trovano all’improvviso catapultati nel passato, in uno sconosciuto borgo toscano di 500 anni fa.
Qui vive Piera, in una grande casa raggiungibile solo a piedi percorrendo un breve sentiero che scende dalla strada principale. Il primo portone è quello dei genitori, il suo è sul retro e si affaccia su un’ampia distesa di prati, alberi e piccoli orti. Non si sente neanche un rumore intorno, solo qualche cinguettio e lo scampanellare intermittente delle capre nel recinto vicino. La casa ha ancora il pavimento in mattonelle di terracotta grezza, come quelli di una volta, le scale strette in pietra, il calore di un luogo estremamente personale, vissuto, intimo, fatto di oggetti unici, foto di famiglia e giochi di bambini. Già perché Piera ha due figlie, un marito, 16 capre, un caprone e diversi lavori come attrice – in particolare con Progetto Brockenhaus – con cui da 10 anni porta avanti progetti artistici, spettacoli e performance. Figlia di contadini orgogliosi di esserlo, ha sempre vissuto seguendo i ritmi della natura, mangiando la carne delle mucche allevate dai genitori e l’insalata raccolta nell’orto.
«Da piccola quando mi chiedevano cosa avrei voluto fare da grande io rispondevo: la contadina con un fornellino e la ballerina del circo – racconta Piera – in qualche modo fino ad ora ho seguito quella strada». Dopo aver frequentato la scuola d’arte drammatica Galante Garrone di Bologna ed essersi diplomata alla Dimitri, Piera sceglie quindi di portare avanti due strade, di dedicarsi a due cose completamente diverse l’una dall’altra.
«Quando mio padre si è avvicinato ai 65 anni ha pensato di vendere l’azienda ma io gli ho chiesto di tenere almeno le capre. Sono cresciuta in mezzo a loro e mi spiaceva dover dire addio a una parte del mio mondo. E così mi sono trovata a fare la capraia. E da allora sono un po’ in un dilemma. A volte mi sento costretta, in alcuni periodi dell’anno devo scegliere se fare teatro o badare agli animali… non è facile ma le capre mi legano alla terra. E di questo ho bisogno. Perché il teatro è un lavoro che conduce in una realtà immaginaria e un contatto costante con la vita reale per me è fondamentale».
Il tempo passato con le bestie diventa in fondo un esercizio per ritrovare sé stessi nella routine di azioni prestabilite, di cose da fare in un certo ordine. È un allenamento continuo, sia fisico che mentale, un esercizio che costringe a stare sempre sul pezzo, per dirla con le parole di Piera.
Ma questi due mondi, in fondo, non sono poi così distanti, pur essendo due poli apparentemente opposti si nutrono a vicenda.
E così, dopo anni passati a sentirsi dire di mettere le capre in scena, Piera ha realizzato un monologo insieme al suo caprone Fidel: così si chiamava quando è stato comprato e a lei piace pensare che il padrone avesse voluto omaggiare il lider maximo cubano.
«Parlare della mia vita mi ha sempre creato un certo pudore… Il dualismo che vivo, l’essere al tempo stesso attrice e capraia mi ha in qualche modo messa sempre in difficoltà. Questo mio essere più cose è stato finora una mia fragilità. Ma adesso vorrei che potesse essere anche un mio punto di forza. Vorrei riconciliarmi con le mie due personalità. E Fidel sarà il mio testimone in scena. È a lui che dedico lo spettacolo. Ed è lui che tutti guarderanno e applaudiranno, probabilmente!».
Il caprone ha in fondo molto in comune con il mondo teatrale. È Pan, il dio delle foreste, figura ancestrale dalle gambe animali e il busto umano. Scisso anche lui, dunque, come Piera.
«Ho un lavoro pubblico che ho scelto. Faccio l’attrice e amo il mio mestiere. Amo esprimermi, entrare in contatto con la gente, creare una comunicazione. Ma ho anche un lavoro privato, quello legato alle capre, che ho ereditato e che ha molto a che fare con l’intimità, la famiglia, la casa e anche la solitudine. Sono due parti di me. E presentare al pubblico una performance con Fidel è un atto quasi intimo, per me. Un modo per entrare in contatto con me stessa con leggerezza. Sì, è forse proprio di questo che avrei bisogno in questo momento. Di affrontare la vita con serietà ma senza prendersi troppo sul serio».