Con altri occhi. Esperienze di disabilità visiva
Come vive una persona con problemi di vista in Ticino? Difficoltà, sfide e ostacoli quotidiani, ma anche possibilità e soddisfazioni
Di laRegione
Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, disponibile anche nelle cassette di 20 Minuti per tutto il fine settimana.
È venerdì pomeriggio in Piazza della Foca a Bellinzona. I getti d’acqua brillano al sole ancora alto nel cielo, gli uffici si fanno vuoti e silenziosi, da un’autoradio risuona la tromba di John Coltrane, qualcuno mi passa accanto, prende un Ticino7 dalla cassetta e riparte col passo leggero di chi inizia il fine settimana. È uno di quei momenti in cui l’elenco di trame pare inesauribile e potrebbe divenire il seguito di «Un’altra poesia dei doni» di Borges.
Sto aspettando Simone, 31 anni, uno meno di me, ipovedente da quando ne aveva 11. Immagino come debba essere perdere la vista: rimanere privi di coordinate, senza i volti del mondo, gli sguardi, i sorrisi. A spaventarmi è il potenziale vuoto a ogni gradino che scaraventa nella dimensione dell’ignoto, il sipario che si apre sulla vulnerabilità umana. Ma davvero è così totalizzante la privazione, davvero ci si ritrova come a brancolare in un incubo? Pure Borges era diventato cieco; nella sua straordinaria opera però hanno continuato a proliferare molteplici punti di vista, suggerendo che lo sguardo sul mondo va oltre gli occhi. D’altronde, si dice, anche Omero era cieco, eppure a distanza di secoli continuiamo a specchiarci nel viaggio del suo Ulisse per cercare di capire chi siamo.
Da Palazzo delle Orsoline spunta un bastone bianco. Vado incontro a Simone e capisco subito che è una di quelle persone con l’eccezionale capacità di mettere chiunque a proprio agio, un connubio di gentilezza e ironia. Gli porgo un braccio, ci incamminiamo verso la terrazza di un bar e ordiniamo due birre.
«La malattia che ho si chiama retinite pigmentosa – mi spiega –; il primo sintomo solitamente è la perdita della vista notturna, poi c’è un progressivo deterioramento del campo visivo, è un po’ come guardare nel buco della serratura, per esempio adesso i tuoi occhi li vedo ma la tua bocca no. È una condizione degenerativa quindi so che alla fine perderò del tutto la vista».
La diagnosi è arrivata 20 anni fa: un’esistenza da riconfigurare, ma tutt’altro che finita. «Ho continuato a seguire le scuole pubbliche, niente istituti o corsi particolari». Dopo il liceo arriva un periodo difficile in cui prova diverse strade finché non individua la sua: «Mi sono iscritto alla Supsi e in 3 anni ho conseguito il bachelor in ingegneria informatica. Mi sono trovato benissimo, era proprio quello che faceva per me». Tentare, fallire, riprovare. «Si tratta del mio più grande successo: ne vado profondamente orgoglioso perché è stata una sfida costante, ogni giorno dovevo risolvere un nuovo problema pratico, legato alla luce, alla lavagna, ai libri, alle verifiche. Oltre alla tecnologia, che mi ha molto aiutato, è stata fondamentale la sensibilità di tutto il corpo docenti che è riuscito a mettermi allo stesso livello dei miei compagni permettendomi di dimostrare quello che avevo imparato». I sistemi ausiliari riducono le differenze, ma l’accoglienza umana è indispensabile. «Per me la parte più dura è stata la riduzione dell’autonomia: si diventa molto dipendenti dagli altri, determinate cose non si possono più fare da soli. La grande battaglia è accettarlo e accettarsi. Io ci ho messo anni».
Ora Simone è impiegato a tempo pieno per l’amministrazione cantonale, si occupa di accessibilità web: «Il mio lavoro consiste nell’analizzare tutte le pagine del sito del Cantone e cercare di abbattere le barriere informatiche per renderle più intuitive e semplici da usare per chi ha limitazioni di vario genere».
La crescente accessibilità a internet in generale permette di riappropriarsi di molti aspetti che non devono più venir delegati o affrontati con aiuti esterni, dagli acquisti online alla gestione del proprio conto, dal consultare banche dati al ricercare informazioni su qualsiasi tema. Si tratta dunque di uno sviluppo importante in termini di privacy, autonomia e comunicazione e in favore dell’inclusione sociale.
Nella nostra società l’inconsapevolezza in merito alle possibilità per chi ha un deficit visivo è ancora grande. Perdere la vista è un fatto indubbiamente brutale, ma come dimostra Simone non è una condanna all’angoscia, non implica rinunciare a una vita appagante, alla realizzazione di sé. Non è facile ricostruire la propria normalità sugli altri quattro sensi, perché la nostra è una civiltà dell’immagine e dalla vista normalmente riceviamo l’80% degli stimoli. Ma si può fare, cambiando paradigma e ripartendo da quello che si ha, non da quello che non c’è più.
Al lavoro Simone ci va con i mezzi pubblici: «Col treno mi muovo in maniera abbastanza disinvolta, faccio tutti i giorni Capolago-Bellinzona e viceversa. Anche a piedi su una strada che conosco non c’è nessun problema, ho una buona memoria per i luoghi. L’aspetto negativo è che tutto quello che è inaspettato come una bicicletta parcheggiata fuori posto, un nuovo cantiere, il mercato del mercoledì su viale Stazione, può rivelarsi un disastro perché magari perdo i punti di riferimento».
Quanto all’atteggiamento della gente «c’è una buona predisposizione. Le persone in generale si approcciano in maniera molto garbata. Spesso sono i giovanissimi che mi domandano se mi serve una mano e si preoccupano che io non mi uccida. Una delle cose che detesto sono gli schermofili, gli ‘smartphone zombie’ come li chiamano in America. Il bastone bianco, oscillando a destra e a sinistra, ha la brutta tendenza a infilarsi tra le gambe delle persone e a falciarle. Una volta ho preso al volo una signora intenta a scrivere su WhatsApp, è stato veramente imbarazzante per entrambi. Un altro mio timore sono i bambini piccoli che corrono davanti al bastone perché ovviamente non capiscono che io non ci vedo, ma soprattutto le persone anziane che camminano lentamente: ho una gran paura di colpirle e questo mi genera parecchia apprensione».
Quello del bastone bianco è un tema delicato. «Io adesso lo uso abbastanza a cuor leggero, ma ci ho impiegato 15 anni, un po’ perché inizialmente non mi serviva, un po’ perché non volevo portare addosso un’etichetta. Dal momento in cui lo impieghi hai tutti gli occhi puntati addosso, in ogni circostanza, ti senti come su un piedistallo con la tua debolezza. Io lo utilizzo per avvertire gli altri del mio problema, così capiscono perché faccio gli scalini a una certa velocità o si spostano dalla mia traiettoria – beh, a parte le mamme con i passeggini, per loro sono una specie di magnete».
In modo un po’ indiscreto gli chiedo cosa gli mancherà di più vedere. «Una cosa c’è, e sarà una tragedia… Hai in mente quando ti scappa uno starnuto, non ti viene e guardi la luce per liberartene? Ecco, non poter far quello sarà tremendo!». Non mi aspettavo una simile risposta, gli confesso ridendo. «Già, ad Andrea Camilleri dispiace non poter più guardare le donne. Io non volevo essere così scontato».
L’autore siciliano ci porta a parlare di letteratura. «Mi piace un sacco leggere!», esclama. «In questi anni di pendolarismo ho avuto modo di sbizzarrirmi: da Cicerone a Virgilio, dai romanzi storici ai trattati sulla pastorizia nelle montagne inglesi. La mia lettura avviene solitamente tramite gli audiolibri; uso poco il braille perché avendo il carattere stampato piuttosto grande e in rilievo, i volumi sono spesso dei mattoni poco pratici da portare con sé, in giro».
Simone è inoltre membro di comitato del Gruppo ticinese sportivi ciechi e ipovedenti. «È nato nel ’76 da due persone cieche che volevano praticare lo sci alpino: sembra una cosa abbastanza assurda, ma funziona molto bene; è stata sviluppata una tecnica con una guida che sta dietro e trasmette i comandi: ‘destra’, ‘sinistra’, e altre cose piuttosto semplici. Poi pian piano si sono aggiunti altri sport e il gruppo si è ingrandito. Io da anni pratico sci alpino, tandem, racchette da neve, e adesso ho iniziato anche con lo sci di fondo». Il gruppo è aperto a chiunque ami lo sport e lo voglia praticare in compagnia, e a gestire il sito gtsc.ch ovviamente è Simone.
Infine mi parla del suo più grande hobby: «Il violino! Pensa, ha stroncato sul nascere la carriera da scrittore in cui mi ero lanciato. Mi sono letteralmente innamorato di questo strumento. Sono due anni che ho iniziato a prendere lezioni e lo adoro, al punto che lo suonerei tutto il giorno, per la gioia dei miei vicini… Inoltre ho una passione smodata per la musica irlandese, dal folk tradizionale al folk punk, al celtic metal. Il mio sogno nel cassetto è di mettere su un gruppo, incidere degli album e girare il mondo, continuando la mia professione a tempo parziale. Ci sto lavorando!», assicura.