Kico Gregori: il grotto, il menestrello e il presidente

La storia di un uomo che canta, suona, ride. E non solo

Di Lorenzo Erroi

Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, disponibile anche nelle cassette di 20 Minuti per tutto il fine settimana.

Onorato Gregori, detto Kico, è nato a Lodrino nel 1938 e lì vive. Suona e canta da quando aveva 18 anni, mescolando folk, canzoni ticinesi, satira. Ha due figlie, Grazia e Maruska, e un nipote, Ean. Ha fatto il verificatore veicoli per le FFS e l’assicuratore, oltre a gestire un bar a Biasca e un grotto a Iragna. È stato anche giocatore, allenatore e presidente del Football Club Lodrino. Si esibisce ancora in tutto il Ticino, e non solo. I suoi cd si trovano a Biasca (Cartoleria ABC) e a Bellinzona (Bar Incontro).

Mi aspetta in un grotto di Lodrino, Kico. Uno di quei gran posti dove quando entri gli aficionados si girano a guardarti, e per un secondo ti senti come lo straniero entrato nel saloon sbagliato. Solo per un secondo, però. Perché fra foto sbiadite di vecchie glorie dell’hockey, camino e paioli di rame, Kico si illumina e fa un cenno come a dire: «Non sparate, cowboys, il Lungo è con me…». Ha una gran testa di capelli bianchi, gli occhi azzurri, una giacca di velluto a coste e un cravattino alla texana, con un piccolo stivale come fermaglio che tiene un brillante al posto dello sperone (in realtà «me l’ha portato mia figlia dalla Pennsylvania»). Ha qualcosa di Johnny Cash e qualcosa di Gino Bramieri.


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Voce della valle

A un tavolo più appartato, davanti a un rosé, si comincia dall’infanzia. Come l’albero che sbuca proprio in mezzo al salone del grotto, attraversandone il tetto, Kico è rimasto quasi sempre ben piantato da queste parti. Famiglia numerosa, «10 tra fratelli e sorelle». Povera, anche, «ma tanto i soldi non bastano mai. Sai come si dice, i franchi sono come i poliziotti: la volta che ti servono non li trovi mai». Allora – parliamo degli anni Quaranta – «si dormiva in tre o quattro per letto, i materassi si riempivano con le foglie di frumento che, per tenerli morbidi, si cambiavano ogni mese. Ma erano duri lo stesso». Suo padre, manovale, «è morto quando avevo 12 anni», la mamma è arrivata a 92. Oltre a tenere dietro ai figli «aiutava nei campi, quando ancora si raccoglieva tabacco. È da lei che ho preso la voce: quando cantava in chiesa, si giravano tutti».
La voce, ecco. Quando parla, quella di Kico suona filiforme e roca. Ma quando accenna a cantare – quello che ha fatto per una vita – si apre come un ventaglio. «Ho cominciato nei grotti a 18 anni, la prima chitarra me l’ha regalata un collega. Suonavo per quelli che giocavano alle carte o alla morra, fra una mano e l’altra. Poteva essere Vola colomba come i canti degli emigranti, Ul marunat, Spazzacamino». La musica non si imparava da dischi e spartiti, ma a forza di radio e memoria: «Conosco ancora duemila canzoni, dove poi mi mancano i testi ci metto del mio». E in effetti Kico è noto per i suoi rifacimenti estemporanei: sul ritmo di Cacao Meravigliao è Muschin da Magadin («che bel süscià i züchin»), mentre la Cavergnesa è stata reintestata al caso Argo1 («fate largo lassei passà i’è dal governooo…»). Il gusto per l’intrattenimento e la satira ne ha fatto uno dei fondatori del Cabaret della Svizzera Italiana, nel 1977. Coi Pipistrelli ha cantato cose come Al Tesin, rimato con cadreghin e galupin in un catalogo ancora attuale di vizi e virtù del cantone (si trova su YouTube). I politici che ha preso in giro ci ridevano su, «e poi mi invitavano a cantare al loro compleanno». Di compleanni, ma anche di congressi, feste e castagnate di qualsiasi partito Kico ne ha fatti un’infinità, con una rodata comitiva di musicisti, «Jacky Muttoni, Fredy Conrad, Michele Barra…». Ha anche suonato accanto ad artisti come Jannacci, Pozzetto, Gaber, «formidabile: non si lasciava mai andare anche quando vedevi che era un po’ depresso».


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Quella volta col Pertini

La capacità di improvvisare lo ha aiutato perfino all’estero, quello vero e quello di casa nostra. «Per cantare Strangers in the Night a una californiana l’ho cambiata in strengium in di man, tant la capiva negótt…». In Svizzera tedesca, dove ha lavorato un paio d’anni, «cantavamo in italiano e la gente ci buttava i soldi dalle finestre, un mio amico apriva i tombini per recuperarli dalla féscia. Il capo della Polizia era un Pusterla, se chiamavano perché disturbavamo la quiete pubblica diceva: quando passo fate silenzio, appena giro l’angolo ricominciate». Poi può capitare di trovarsi a Buenos Aires o a Mosca, magari con quelli delle bocce. E allora anche lì tocca improvvisare, magari cantare Bella ciao col partigiano-presidente italiano Sandro Pertini: «Era in Spagna per i Mondiali dell’82, si è lasciato dietro la scorta per venire da me». Ma a Kico è capitato anche di trovarsi «con Umberto Bossi a fare Roma ladrona». O di ricucinare in grammelot la Kalinka russa. Funziona bene anche al contrario: «Una volta agli sciatori italiani ho cantato Gebrüder d’Italien, l’Italien s’è desten».
Nel frattempo Kico lavorava in ferrovia e nelle assicurazioni: «I clienti li trovavo anche durante le serate». Dal 1967 al ’77 ha gestito un bar a Biasca, «davanti all’Olimpia. A volte passava il sindaco, l’avvocato Giovannini, con ospiti accademici. Pur di farmi cantare serviva lui al tavolo». Al Grotto Angela «gli svizzeri tedeschi, per sentirmi suonare, si preparavano loro da mangiare. Mistero misterioso!», dice, e ride come un bambino. Perché alla fine è tutto lì: «Io sono sempre vissuto contento».


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