Ah, la retorica della pandemia…
Le cose che mi hanno proprio stremata durante la quarantena. E che ancora continuano a ripeterci.
Di Federica Cameroni
Pubblichiamo un contributo apparso in Ticino7, allegato del sabato nelle pagine de laRegione.
1. Espressioni militaresche
“Siamo in guerra”. Ma soprattutto: “È una guerra che si combatte dal divano”, che poi nessuna guerra si combatte davvero dal divano a meno di non star giocando a Call of Duty. Non mi sembra rispettoso per chi davvero muore sotto le bombe. Anzi, tutta la retorica in generale: “Ora capiamo cosa provano prigionieri/migranti a essere isolati dai loro cari”. Secondo me non è vero che lo capiamo, io comunque non credo di averlo capito.
2. Nemici invisibili
All’inizio mi sembrava quasi geniale: avrebbe potuto essere il titolo di un saggio divulgativo di successo, tipo Il gene egoista. Poi ha perso enfasi, perché chiunque ha usato questa perifrasi, ed è sfuggita di mano tanto che si è arrivati a dire che “questo è un virus invisibile”, come se non fosse una prerogativa dei virus in generale.
3. Pandemia mondiale
Ora, non rappresento di certo l’Accademia della Crusca, ma sono abbastanza certa si tratti di un pleonasmo (e bello catastrofico, pure).
4. Andrà tutto bene…
Sentirselo ripetere oppure sentire, al contrario, che “non sta andando bene niente” e non ne usciremo prima di due tre anni. Perché per me le cose stanno andando così così e forse ne usciremo fra tre anni, ma per ora non ci voglio pensare.
5. Al tempo del virus & la resilienza
Ma anche al “tempo della pandemia”, che ormai son passati mesi e al tempo del coronavirus c’è stato tutto: “il lavoro/ le relazioni sociali/ la scuola / la spesa/ gli ospedali…”. Anche la parola “resilienza” usata a sproposito che mi ricorda quando a sei anni avevo scoperto il significato di “irrevocabile” e volevo usarlo a tutti i costi e in qualsiasi contesto. Spesso a sproposito.
6. Quale virus?
Il passaggio da un termine divulgativo generico a uno molto specifico. Lo chiamavamo coronavirus poi abbiamo scoperto che coronavirus era troppo vago. Abbiamo cominciato a chiamarlo Covid-19 (che in realtà designa la malattia) e di colpo nemmeno questo nome era adeguato, così siamo passati a un globale Sars-Cov-2. Temo che fra un mese dovremo impiegare un periodo intero solo per definirlo, e più si diventa specifici nel chiamarlo e più a me pare spaventoso.
7. Netflix & YouTube
Continuano a suggerirmi di guardare Pandemic e di comperare Contagion, ma io non ho assolutamente voglia di guardare, leggere o ascoltare fantascienza a tema “pandemia”! Capisco il marketing, ma a me non sembra per nulla simpatico.
8. Quelli che sanno
I dialoghi tra media e scienza dove i primi cercano risposte assolute dai secondi, i quali non le daranno mai per professione.
9. Consigli
Dritte su come vivere la pandemia e come comportarsi in quarantena: “leggere un libro”, “fare la doccia” (grazie, non so se l’avrei fatta non trovando questo consiglio su Facebook), “fare sport, mangiar sano, sentire la famiglia tramite videochiamate… lo sapevi che si può fare con FaceTime?”…
10. I bravi genitori
I consigli dei blogger su come intrattenere i pargoli a casa tramite attività che i genitori (i quali da casa, comunque, dovrebbero lavorare) raramente han tempo di fare, o lavori manuali per la cui realizzazione serve possedere un arsenale nucleare in casa: potresti fare questo esperimento con un po’ di monossido di carbonio e dell’uranio impoverito. I tuoi bambini si annoiano? Perché non realizzate insieme questo vulcano che erutta lava vera? Ti serviranno solo un po’ d’azoto liquido e un rotolo di rame. Facilissimo, no!?
11. Il ritorno alla “natura”
“La natura che si riprende i suoi spazi”, si dice e scrive. E non riesco a essere felice per la natura perché temo che gli esseri umani torneranno a rivendicare i loro spazi, dimenticandosi di quelli che si era presa la natura durante la Pandemia. “Il virus che fa male alle persone e bene al clima”, che ha portato poi allo stravolgimento della trama seguendo un climax emotivo, la cui sorprendente conclusione è stata: “Siamo noi il virus”.
12. E la normalità?
“Presto torneremo alla normalità” e “il ritorno alla normalità”: già si potrebbe discutere su cosa sia o non sia la normalità; mi è chiaro che s’intenda, generalmente, tornare ad avere contatti sociali come prima dell’emergenza sanitaria, ma preferirei che ci si interrogasse su come cambiarla, la normalità, invece di auspicarne il ritorno. Perché è poi quella ad averci portato a questa crisi.
13. Vai con l’inglese
Tutta le parole in inglese di cui esiste il corrispettivo in italiano: “social distancing” si dice “distanza sociale”, o “distanziamento sociale”, oppure fisico perché per fortuna ci sentiamo virtualmente (“lo sapevate che si possono fare le videochiamate?”; “digital divide” in italiano si dice “divario digitale”; “e-learning” è sicuramente un termine più alla moda di “didattica digitale” che pure esiste nel nostro vocabolario. “Smart work” è un termine che non viene usato nemmeno dagli anglofoni, quindi potremmo chiamarlo “lavoro da remoto” senza farci troppi problemi. Di “lockdown” forse non esiste il corrispettivo italiano altrettanto preciso: ma secondo me “serrata” o “serrata generale” si avvicina non poco a questo concetto.