C’era una volta il primo maggio ticinese
La solita tarantella di canzoni, i volantini da riempirci lo zaino sgombro di birre, i comizi alla cubana… Ma che nostalgia!
Di Cristina Pinho
Oggi è il primo maggio e per la prima volta da oltre dieci anni non scenderò in piazza, se non per una passeggiata in solitaria durante la quale dai balconi non sentirò nessuno che mi grida di andare a lavorare, beccandomi se mai un “vai a casa” da parte di quelli che hanno sempre un posto dove mandarti.
La giornata a dire il vero non è che iniziasse proprio benissimo per via delle levatacce dovute a una sorta di congiura: quando abitavo in Leventina il primo maggio si faceva a Lugano, e da quando vivo nel Luganese hanno iniziato a organizzarlo a Locarno. Nel mezzo c’è stata Bellinzona, dove la mia residenza e la manifestazione per un po’ hanno coinciso, ma siccome in quel caso pioveva sempre che il padronato la mandava, beh il malumore mi veniva per il meteo.
Una volta giunta al punto di incontro c’era il terribile confronto con i soliti visi compiaciuti disposti in capannelli dai colori distintivi. Era il momento in cui, cosciente che i miei amici per quanto io sia in ritardo lo sono sempre più di me, mi facevo strada verso un immaginario obiettivo dissimulando il disagio con gli occhi su un volantino per non cader preda di chi provava ad appiopparmi una bandiera, un abbonamento, una spilla, un figlio…
Negli anni ho imparato le strategie per evitare tutti, fuorché il signore che da prima che nascessi distribuisce la “Formazione politica di base” di cui ho posseduto tutte le versioni, da quella ciclostilata, al floppy disc, al cd-rom, alla pennetta usb.
Finalmente ecco le facce amiche, sbattute come centrifugati: “Eh che ieri dopo il trash party abbiamo fatto un aglio e olio e di botto è sorto il sole”… “Eh che Moamed Ali – il gatto – ha portato a casa una poiana e abbiamo dovuto levare il sangue dal tappeto”…
Infine si parte e noi ci mettiamo in fondo al corteo e via… Oh ma hai sentito le dichiarazioni di quelli? E la proposta di quegli altri? Ce n’è per tutti, anche per gli assenti (che ovvio si saranno imborghesiti). Le etichette sono più dei convenuti: i comunisti: quelli legittimi e quelli pseudo; gli altri della sinistra radicale; i socialdemocratici (parola che per alcuni da sola basta come insulto); i libertari d’ogni declinazione; i sindacalisti; gli ultras, gli apartitici, gli apolitici…
Intanto si stappa una birretta camminando: il veleno si stempera, le distanze si accorciano, e in quattro e quattr’otto ci si ritrova in piazza allegri e un po’ alticci, a cantare insieme la solita compilation conservata nella naftalina: Guccini, i Modena, la Banda Bassotti, fino ai mitici Ematoma.
Poi arrivano i discorsi impegnati dal palco – e oggi con questa emergenza da dire ce ne sarebbe più che mai –; segue un giro tra le bancarelle che propongono le fanzine di Allucinazione metropolitana, il Libretto rosso di Mao, o l’ultimo Zerocalcare; e poi la pastata al ragù che resiste alle polemiche dei vegani i quali stanchi dell’andazzo hanno creato un mercato nero di panini alla soia; e poi digestione con i concerti dal vivo, sempre più ridotti, dato che ahinoi anche i sindacati non navigano in buone acque.
Infine i saluti fiduciosi: “Adelante! La lucha sigue! All’anno prossimo!”. Stavolta però l’incoronato c’ha fregati. Ma virus, stai attento, che ancora fischia il vento…cr