Casa, dolce casa?
Se non si può uscire con gli amici, non si può andare a scuola né in ufficio. Ma nemmeno al cinema, al ristorante né un bel niente. Santocielo, e allora che fare?
Di Duccio Canestrini
Pubblichiamo un contributo apparso in Ticino7, allegato del sabato nelle pagine de laRegione.
Vicini rumorosi, mariti improvvisati bricoleur, che poi si fanno male. Mogli nervose che mal sopportano i consorti tra i piedi. Abitudini che cozzano, diversi standard di pulizia, a che ora vanno a dormire i bambini? Tra le mura di casa si consumano meravigliosi amori ma anche molti drammi dovuti alla gelosia e alle frustrazioni.
Stare in casa vuol dire molte cose diverse. Le case sono differenti tra loro: un conto è starsene in una grande casa, con molte stanze, due bagni e il giardino, altro è abitare stretti insieme a nonni e figli. E ancora, una cosa è stare a casa e godersela, in tutta libertà. Altro è doverci rimanere, per stato di necessità. Come tanti partecipanti a un reality show, ma gratis. Anzi, in netta perdita economica, visto che con l’epidemia di SARS-CoV-2 (ehi, sarebbe ottima come password…) anche il lavoro per molti è andato su per il camino.
Sedentari, per forza…
Domi manere convenit felicibus, dicevano gli antichi romani. Le persone felici stanno a casa. O anche viceversa, le persone che stanno a casa sono felici. Beh, forse non tutte, perché altrimenti l’Impero romano sarebbe stato fondato da poveri infelici, e magari è andata proprio così. Nella storia della nostra civiltà c’è sempre stata una forte opposizione tra nomadi e sedentari: i primi sospetti, i secondi virtuosi. Tanto che ancora oggi chi è senza fissa dimora, oppure ha una casa sulle ruote, viene bollato come vagabondo, zingaro, bighellone. Da parte di Sinti e Rom, per converso, chi vive intrappolato tra quattro mura di cemento deve avere qualche rotella che non va.
C’eravamo tanto amati
E così la pensava anche Tuiavii, grande capo delle isole Samoa. Tuiavii avrebbe fatto parte di una delegazione polinesiana in visita in Europa verso i primi del Novecento; rimasto impressionato, scrisse un diario in cui descriveva le bizzarrie del Papalagi, che nella lingua samoana significa uomo bianco. Ebbene, a prescindere dal fatto che si tratta di un divertente quanto istruttivo fake letterario – il vero autore era lo scrittore Erich Scheurmann, amico di Hermann Hesse, che andò in Polinesia per fuggire dalla Prima guerra mondiale – in quella antropologia alla rovescia le case sono i “cassoni di pietra” dove quei pazzi di uomini bianchi la sera vanno a dormire.
Chissà cosa direbbe il grande capo Tuiavii del profluvio di consigli su come resistere alla terribile prova di coabitazione tra persone che, in teoria, vivono sotto lo stesso tetto… perché si amano.