Patrizia Varini preferisce il viola

Nella sua esistenza fatta di lavoro, passioni, hobby e viaggi i colori non mancano. Ma ce n’è uno che brilla e vibra sopra tutti gli altri…

Di Davide Martinoni

Pubblichiamo l’editoriale apparso su Ticino7, allegato a laRegione.

Classe 1955, è la primogenita – con il suo gemello – di 6 fratelli e sorelle. È zia di 12 nipoti e 4 pronipoti. Per quasi 40 anni è stata docente di scuola elementare a Locarno, con una pausa negli anni Ottanta per gli studi universitari a Ginevra. In pensione ha scoperto il piacere di viaggiare, visitando la Nuova Caledonia, Cuba, le Hawaii, la California. Oltre al viola, i suoi hobby principali sono le escursioni nelle montagne ticinesi e la visita di città europee, sempre strettamente percorse a piedi. Dall’adolescenza è attiva come volontaria in molte associazioni locali, l’ultima delle quali Nez Rouge.

Di Pattiviola, o la Violetta (o ancora Violet, all’inglese) in molti non conoscono il vero cognome. È Varini, per la cronaca, ma da tempo è caduto in disuso a beneficio di una caratterizzazione cromatica che ne colora l’intero universo. A casa sua, a Minusio, viola sono le poltrone, viola il pc, viola il telefonino e gran parte dei mobili; viola la tinta delle pareti. Viola è anche la camera da letto (“Mi rilassa, anche se c’è chi pensa il contrario”), viola le posate, le tazze, i bicchieri, il bollitore, le penne, i tappeti, i quadri, le caffettiere, le trousse, la custodia per gli occhiali (e gli occhiali stessi). Viola sono gli abiti: maglioni, maglie, pantaloni, calze, scarpe, sciarpe e scialli. L’orologio e i braccialetti. Viola le giacche, in diverse tonalità, come l’appendiabiti, le borsette, le candele, le sedie, i vasi, gli orologi da parete, le tende. Viola è anche l’auto (quella attuale e le tre precedenti). “Per strada – dice – spesso la gente mi ferma, mi osserva, domanda, si informa. C’è chi tiene a dirmi che ha una figlia di nome Viola, chi mi chiede di scattare una foto di me con l’automobile, chi afferma che gli coloro la giornata. Una volta, in Italia, ci siamo fermati a bere qualcosa in un bar con sedie di tutti i colori. Un uomo occupava quella viola. Quando mi ha visto si è alzato immediatamente e mi ha ceduto la sedia: ‘Prego – ha sentenziato –, questa è la sua sedia’ ”.


© Ti-Press / Samuel Golay

Un invito all’identificazione

A Pattiviola non interessano le implicazioni psicologiche di quella che potremmo definire la sua “fissa”, o più semplicemente grande passione. Non le interessa il perché e il percome e dice di non aver intenzione di ricorrere all’ipnosi per capirlo. “Posso solo dire che è partita da lontano. Quarant’anni fa, con mia sorella, acquistavamo i capi bianchi e li tingevamo di rosa o di fucsia. Il viola ancora era poco in uso. Poi, con l’andare del tempo, è stato un crescendo e ho sempre più ristretto il campo. Non che non ami altri colori forti, come l’arancione, ma il viola è il viola. Se non c’è lo cerco. O lo cercano gli altri per me”. Ci mostra il WhatsApp di un’amica: “Oggi siamo a Positano. Davanti a una vetrina abbiamo pensato a te”. Si vedono due fenicotteri che sembrano osservare una Vespa, in diverse tonalità che dal viola digradano verso il fucsia e il rosa. Il viola, per gli amici, è semplicemente la Patti. Se la conosci, è impossibile non vederla.
“Un vantaggio è la straordinaria facilità di contatto che si stabilisce con le persone: incuriosisco! Specialmente le persone anziane, ma anche i bambini, mi osservano e poi attaccano bottone, ognuno secondo le sue modalità. Vogliono sapere, mi chiedono e si aprono loro stessi. Il mio ‘essere viola’ è un ponte”. Di facile percorrenza in entrambe le direzioni. Paradossalmente, ci dicono che simboleggia l’attitudine a identificarsi con il prossimo. In realtà, nella vita e nell’esperienza di Patti è vero il contrario. Il suo è un viola che invita all’identificazione. Ci si cerca il proprio appiglio e si entra in relazione. È successo a Firenze, dove “la Viola” è la squadra di calcio. “Sono arrivata in città in auto e sembrava fossi una regina: gente che si complimentava, saluti deferenti, grandi sorrisi. C’era chi chiedeva di toccare la vettura perché considerata portafortuna”. E lo stesso è successo a Locarno, dove l’Impronta Viola è l’associazione dei tifosi gigliati che l’ha adottata come una sorta di mascotte: “Mi invitano alle loro serate. E io, benché non sia particolarmente appassionata o tifosa, sono entrata volentieri nel ruolo. Andavo volentieri nel bar dove si trovavano per guardare assieme le partite. Galeazzo Auzzi, il compianto artista fiorentino che ha realizzato una composizione per il Premio Impronta Viola consegnato ogni anno a persone meritevoli, quando veniva in Ticino per la cerimonia era sempre felice di rivedermi”.


© Ti-Press / Samuel Golay

Amicizie e scaramanzia

È ‘facilissimo’ farle i regali, ammette sorridendo. E pare che alcune amiche, quando si lasciano tentare da uno sfizio viola, lo comperano ben sapendo che dopo non molto tempo se ne stancheranno e finirà nel suo guardaroba! Cercare tutto in viola è diventata, per certi versi, anche una sfida. “Alcuni oggetti sono veramente difficili da reperire. A partire dalle scarpe della mia misura. Ma con attenzione, determinazione e aiuti esterni, prima o poi si trova tutto, o quasi”. Basta cercare. Anche nella natura, cosa che Patti fa con molto piacere in montagna, durante le sue camminate rigeneranti. “Non si può nemmeno immaginare quanti fiori viola esistano”, afferma. E poi, mostrandoci delle belle immagini, li elenca: crocus, campanule, aquilegia, astro alpino, geranio silvano, giglio montano, fiordaliso. Quanto al grande classico, la lavanda, Violet ricorda di una volta a Gemona, in un negozio specializzato. “Sono entrata di viola vestita, come sempre, e la gerente, che non mi aveva mai visto in vita sua, mi ha detto: ‘Se cerca un lavoro, l’assumiamo anche subito’. Ed era seria”.
Ci sono proprio gli slanci di generosità, che caratterizzano i rapporti interpersonali di e con Patrizia. Piccoli sipari capaci di aprirsi su legami più profondi. La Violetta ricorda il gesto di Gianfranco Perazzi, per anni trascinatore degli eventi locarnesi: “Gianfranco era un amico. Un giorno, allo Stammtisch dello Svizzero, mi chiese se andassi in bici. Gli risposi che era un gran pezzo che non salivo in sella, e che probabilmente non sarei più stata capace di farlo. Per anni, ad agosto, ho dato una mano alle casse del Festival. Ebbene, una sera si presentano quelli che hanno inventato le famose bici pardate della rassegna. Ce n’era una bell’e pronta per me. Ma rosa, a macchie viola. Era un regalo di Perazzi”.
Due cose, volendo, ancora le mancano. Una è un’amica che si chiami, per davvero, Viola. Si stupisce Patrizia stessa, rendendosene conto. Per l’altra c’è ancora tutto il tempo del mondo. Anzi no. E lo dice sorridendo: “Con Diego Rossi ci siamo già messi d’accordo. Se non proprio la cassa da morto, viola saranno il cuscino e il rivestimento interno”. Chiamiamolo… vezzo per l’eternità.


© Ti-Press / Samuel Golay

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