Emmanuel Carrère e le ombre oltre la vita
Qui parliamo dell’ultimo libro dell’autore parigino. E non di avvocati, ex mogli e gossip di varia natura che altri vendono ai propri lettori come “recensione”. Amen
Di Jacopo Scarinci
Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, allegato del sabato a laRegione.
Esattamente come il filosofo Emil Cioran scrisse ne “Il funesto demiurgo” che tutto si riduce a desiderio o assenza di desiderio mentre il resto è solo sfumatura, una recensione di un libro dovrebbe ridursi semplicemente a suggerire al lettore se quel libro va letto o, se proprio entra in casa, va usato come fermaporte. Nel caso di Yoga, ultimo volume pubblicato da Emmanuel Carrère, sì: va letto. Non solo: va comprato, onorato, compreso, assorbito.
All’inferno e ritorno
Il nuovo libro di Carrère sarebbe dovuto essere, lo ripete più volte nel testo, un “libretto arguto e accattivante sullo yoga”. E infatti la prima parte, tutto fuorché noiosa, è una specie di compendio dello yoga frutto del ‘reportage’, chiamiamolo così, che Carrère offre su un ritiro dove per dieci giorni non avrebbe fatto altro che meditare, meditare e meditare. Le divagazioni, aiutate dalla prosa sempre scorrevolissima marchio di fabbrica della casa, passano dalla spiegazione sul come tenere dritta la schiena all’osservazione delle ‘vritti’, dalla dissertazione sul provare a evitare il dolore autoindotto in una vita già piena di dolore non richiesto all’esegesi del filosofo Patañjali. Il fatto è che il progetto di un “libretto arguto e accattivante sullo yoga” va a sbattere contro un muro: quello della discesa all’inferno e ritorno dello stesso Carrère, colonna portante del libro assieme allo sfondo sempre presente rappresentato dallo yoga che, stringi stringi, l’ha tenuto se non in vita comunque ancorato a terra.
La discesa agli inferi comincia con la diagnosi di un disturbo bipolare di tipo II. Grave. Spiegazione del perché – racconta – non aveva da molto tempo alti e bassi come chiunque, ma alti che non erano proprio alti e bassi che erano bassissimi e sembravano eterni. Momenti di gioia e produttività alternati a lunghi periodi di acuta depressione in cui non usciva nemmeno di casa. Un bipolarismo che lo porterà al crollo fisico ed emotivo, al ricovero in una clinica psichiatrica, a un ciclo di quattordici elettroshock raccontato con semplicità, come se stesse parlando di una bella vacanza o di altri futili eventi da tè e biscotti.
Di nuovo la luce
La terza parte è quella della resurrezione: stufo della sua mega villa in Grecia dove svernava durante le vacanze e gli toccava interagire con amici e avventori, si reca all’isola di Leros, punto di approdo di molti migranti che dall’Africa cercano di raggiungere l’Europa via terra dai Balcani. Trova un gruppetto di ragazzini che gli farà capire un po’ di cose della vita, trova una donna che se non sarà un nuovo amore dopo il divorzio è almeno colei che – fino a qualche pagina dalla fine: è una recensione, mica si può dirvi tutto – ha il grande merito di ricordare a lui, e noi tutti tramite Carrère, quella mirabile esibizione di una giovanissima Martha Argerich al piano mentre suona l’Eroica di Chopin. Dove è cupa, seria, concentratissima. Dove corpo e mente sono da una parte, inequivocabilmente. Nell’ombra. Ombra da cui esce all’improvviso, al quinto minuto e trenta secondi, con un sorriso dolce e aperto. Dall’ombra alla gioia. Dagli elettroshock a una vita che è la sua. Dagli inferi alla resurrezione. Sia tutto questo vero o no. Andare dal pilastro della ‘non fiction’, chiedere sincerità e stupirsi se non arrabbiarsi nel caso non sia tutto così vero significa meritarsi Baricco.