Chi li ascolta? I giovani, l’attivismo e certi ‘fastidi’

Per alcuni sono degli ‘sdraiati’ (titolo di un fortunato romanzo di Michela Serra). Per altri delle menti manipolate. Ma loro, i ragazzi, che ne pensano?

Di Valentina Grignolino

Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, allegato a laRegione

‘Sono le azioni partite dal basso, soprattutto dai giovani, a fermare più spesso conflitti e ingiustizie’ scriveva qualche settimana fa Giuseppe Cassini sul quotidiano il Manifesto, a naturale conclusione di una serie di manifestazioni storiche riuscite, in nome della giustizia sociale e del pacifismo.
Eppure. Danno fastidio.
Quanto è facile a volte aderire all’immaginario di lotta e gioia con entusiastico fervore, schierarsi dalla parte dei manifestanti in nome di romantiche memorie e dire con fermezza ‘largo ai giovani’ mentre si osservano su tutti gli schermi le fiumane colorate che si mobilita(va)no per i ‘Fridays for Future’. Facile e semplice, a volte, lasciar fare ai ragazzi, quasi spettasse loro riordinare dopo i festini altrui. Ma se poi gridano troppo, steccano o si dimenano, silenziarli con la dotta esperienza e professionale destrezza dell’età matura. Non è forse quello che accade? Che sta accadendo proprio ora?
Eppure: i giovani si indignano, propongono soluzioni in modo apparentemente disordinato e disorganizzato, come il loro mondo. L’hanno sempre fatto, da sessant’anni a questa parte. Con la sfrontatezza e l’arroganza, l’irragionevolezza e l’esuberanza dell’esperienza di quel misero paio di decadi di vita alle spalle. Partecipano al dibattito di idee globale e quel bisogno di far emergere una voce, limpida e ancora a suo modo pura, è quel che lo mantiene vivo. Non solo, una sorta di allarme da prendere così com’è, frastornante e indelicato. Non è forse stato l’urlo fermo di una ragazzina a mobilitare le folle negli ultimi anni? Ci piace (ecco che mi metto già, anagraficamente è un dovere, dall’altra parte della barricata), eppure sentenziamo troppo spesso su pertinenze, modi e linguaggi. Quasi non fossimo mai abbastanza vicini per poterli ascoltare davvero.


© Ti-Press

La voce dei ragazzi

Osservo le azioni, spio le ripercussioni sull’opinione pubblica: spesso le liquida. Ascolto interviste in cui manifestano la loro paura per il futuro, snocciolano pensieri a volte più lucidi dei miei e dimostrano una coscienza tutt’altro che ingenua rispetto al mondo attuale. Studi (l’ultimo di qualche giorno fa a Berna) dimostrano che sono molto più attivi di quanto si creda, e di quanto credano loro. Fanno sentire la loro voce a volte con più timore rispetto a qualche anno fa – che la pandemia abbia tarpato le ali un po’ a tutti si sa, e son proprio loro ad averne risentito di più. E poi sbroccano, a furia di tanto parlare e poco arrivare, sbroccano. Le recenti azioni andrebbero sicuramente analizzate in maniera approfondita una per una, per decifrarne volontà, rivendicazioni, pertinenza. Tra l’altro il loro perpetuarsi non fa che confermare, a mio parere, una necessità di fondo parecchio diffusa. Sono andata a chiacchierare con alcuni ragazzi che in una scuola d’arte si stanno formando, e che un’idea su quanto stia accadendo se la sono fatta. Per cercare anche di scoprire con loro quali possibilità d’ascolto effettivo ci sono per i ragazzi oggi, come possono essere attivi con le proprie idee, quale visione del mondo si stanno facendo. Ne è uscito ovviamente un discorso un po’ sconnesso e disarticolato come loro, ma che nella sua imprecisione brilla. La difesa delle opere d’arte non è mai stata messa in discussione, semplicemente non è questo il punto.


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CSIA, un pomeriggio d’autunno

“Qui si parla tanto, si viene ascoltati e si fa sentire e valere la propria opinione, è una bella scuola”. Gabriel, Emma, Licia, Fabienne, Este, Dayan, Emma G. sono all’ultimo anno del loro percorso scolastico. “A scuola abbiamo uno spazio espositivo, un comitato attivo che ci permette di avere voce in direzione” mi racconta Fabienne. Le chiedo se sia attiva politicamente anche in altri modi: “Ho fatto parte del Consiglio cantonale dei giovani, per due anni, e anche di qualche progetto del PS. Era molto interessante, super professionale, ma ricordo una lista lunghissima di proposte bocciate, anche un po’ deprimente”. Questa cosa del non essere ascoltati a sufficienza è rimbalzata più volte, in diverse chiacchiere anche con altri ragazzi. Interviene qui Gabriele dicendo che, comunque, si può essere attivisti anche nel proprio piccolo, “tutti possiamo contribuire a costruire un mondo migliore”. Este ha un suo parere personale: “Attenzione, i ragazzi si battono in una maniera piena di contraddizioni. Una manifestazione legale non è uno sciopero. È abbastanza inutile. Esprimo il mio dissenso, certo, ma non è detto che la gente poi lo ascolti. Ormai sembra una festa, ci vai perché viene fatta, routine. Ma non puoi fermare così le industrie che rovinano il mondo”. Lisa non è d’accordo: “Però proprio con le manifestazioni puoi convincere tutti coloro che usufruiscono dei servizi di queste industrie. Non riusciremo a cambiare il mondo ma di sicuro ci saranno informazione e partecipazione”. Ragazzi, ma come sta il mondo oggi? Dayan: “Non son mica rose e fiori! Ho una visione abbastanza pessima della società, la gente non sembra vivere bene, anzi”. Gabriele: “Ma il mondo è mai andato bene?”.


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Una lettura oltre l’atto (provocatorio)

Più positiva Emma G., per la quale “la situazione sta comunque migliorando, si investe molto sulle energie rinnovabili. Ma certo è che finché non succede qualcosa di concreto sotto al nostro naso, facciamo tutti finta che la crisi non esista!”. È anche questo che stanno tentando di dirci i giovani attivisti che se la prendono con le opere d’arte? Dopo una discussione sulla pertinenza o meno e l’utilità contestata di queste azioni, Licia interviene: “Se si è consapevoli che lo scopo non è vandalizzare ma si va più a fondo e ci si informa, l’azione è utile. Sta a noi capire se siamo pronti ad ascoltare un certo discorso oppure no”. “Il discorso è spesso fatto solo dopo il gesto, e che si fa? Ci si ferma lì”. Continua Fabienne: “Quando la primavera scorsa un pazzo ha lanciato una fetta di torta sulla Gioconda per provocazione, senza un vero pensiero di fondo, non se ne è parlato più, tutti ne hanno riso ed è finita lì. Oggi invece il gesto viene fatto con cognizione, con una motivazione carica di senso per la nostra generazione”.
Eppure. Danno fastidio.
Certo, c’è accordo comune rispetto al fatto che bisogna pensare a strategie comunicative più efficaci, per farsi ascoltare, anche se Emma sostiene che: “Ma dai! Avremmo già tutti gli strumenti per capire la gravità della situazione climatica. Senza bisogno di azioni di questo genere. Se ci si mantiene in superficie, non si è disposti ad accettare la realtà che si ha davanti. Questo mi fa paura”. Per Fabienne: “E poi diciamolo. Viviamo in una società vecchia. Le persone più anziane sono quelle che gestiscono la maggior parte delle associazioni. È qualcosa che si vede. Ora, certo, sta nelle nostre mani, come dite, ma cosa possiamo fare? Chi ci ascolta?”.


4 novembre 2022 / Palazzo Bonaparte, Roma. Attivisti del movimento ecologista Ultima Generazione (costola italiana di Extinction Rebellion) imbrattano con un passato di verdura “Il seminatore” di Vincent van Gogh. Dopo il gesto i militanti vi si incollano alla parete chiedendo delle politiche per il contrasto del cambiamento climatico.

IL SENSO DELL’ATTACCO ALLE OPERE D’ARTE

Rispetto alle azioni plateali e agli attacchi verso simboli e opere artistiche di immenso valore (culturale ed economico) cui assistiamo con una certa regolarità, abbiamo chiesto un commento a Monica Delucchi, docente di Storia al CSIA di Lugano e alla SPAI di Trevano.

I giovani oggi vengono ascoltati e presi sul serio a sufficienza? Da cosa se ne accorge?
“Troppe volte la nostra società si limita a fare atto formale di ascoltare i giovani, spesso visti con fastidio, ostilità, timore. Assistiamo alla sfilata di classi di bambini e ragazzi ricevuti dalle autorità politiche e invitati a sedere nelle aule del legislativo o a festeggiare la maggiore età, con tanto di foto ricordo pubblicata sui quotidiani; esiste il Parlamento dei giovani, istituito dal mondo politico per dialogare con le nuove generazioni: iniziative lodevoli, che però non riescono quasi mai a sfociare in veri atti politici, e sembrano fatte per gratificare il bisogno di buonismo e inclusività degli adulti. Questo lo si vede non appena i giovani chiedono qualcosa che esula dalla zona comfort degli adulti: basta pensare alle reazioni di insofferenza dell’uomo-qualcuno (l’uomo qualunque che si sente qualcuno di cui canta Caparezza) verso Greta Thunberg e i giovani manifestanti nei Venerdì per il Futuro, o la catartica soddisfazione che si respirava nei giorni successivi alla demolizione del Macello. I giovani vengono incentivati a occuparsi di politica, ma non appena lo fanno seriamente, abbattendo il muro di facciata del perbenismo, il mondo degli adulti li rimette al loro posto. E guai a commettere errori: l’errore è imperdonabile! Sarebbe invece buona cosa ricordarsi la lezione pedagogica dell’Illuminismo, che ci ha insegnato a vedere l’errore come un fondamento della crescita nella libertà: libertà che è una grossa responsabilità, prima che un diritto”.

Insegna anche in una scuola d’arte (CSIA): come avete commentato le azioni di protesta che colpiscono le opere?
“Ne ho parlato solo con le classi che hanno sollevato l’argomento. Paradossalmente questo è successo soprattutto nella scuola tecnica dove insegno, con allieve e allievi che non frequentano regolarmente musei e luoghi d’arte. Il tono nelle loro parole era pieno di indignazione, molto simile all’orrore scandalizzato che proviamo quando un membro della comunità viola la legge inconscia e sacra che ci dice che non dobbiamo camminare sulle tombe o fare picnic in una chiesa. Nei pochi accenni al tema usciti nella scuola d’arte ho invece percepito sentimenti di tristezza per l’aggressione a opere di artisti amati, che oltretutto nella loro vita erano stati ‘imbrattati’ dallo stigma della società benpensante del tempo, come Van Gogh”.

In quanto storica, concorda con il fatto che servano gesti eclatanti per essere visti? Esempi storici di rivolte dal basso che cambiano il mondo?
“Da storica ho imparato a convivere col pessimismo circa la possibilità di cambiare il mondo. Certamente i gesti eclatanti aiutano, ma la qualità fondamentale per cambiare le cose è l’intelligenza, accompagnata da una buona dose di perseveranza: se mancano queste due qualità, la protesta eclatante susciterà solo sentimenti oppositivi al tema su cui si vuole portare l’attenzione. La ragione della protesta è a mio avviso assolutamente legittima, e rappresenta una delle sfide prioritarie dell’imminente futuro in cui i giovani saranno costretti a vivere. Di esempi storici ne esistono molti: dal Boston Tea Party del 1773, che portò alla nascita degli Stati Uniti, al gesto di Rosa Parks, che nel 1955 si rifiutò di cedere il posto a un bianco su un bus di Montgomery, passando per il fenomeno della Resistenza nella Seconda guerra mondiale e arrivando alle proteste silenziose di Plaza de Mayo a Buenos Aires, così simili a quelle in corso contro il regime russo e bielorusso, o a quelle urlate e di massa contro il regime degli Ayatollah in Iran. Nei limiti di grandezza dati, è stata intelligente e ironica anche la protesta dei forni a microonde organizzata dai liceali di Locarno lo scorso anno”.


15 novembre 2022 / Leopold Museum, Vienna. Due attivisti di Last Generation gettano del liquido nero su “Morte e Vita”, capolavoro realizzato da Gustav Klimt tra il 1908 e il 1915 (uno di loro, inoltre, si incollano al quadro). L’opera, protetta da un vetro, pare non aver subito danni.

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