Verso Gaza. Arrestati sulla linea dell’orizzonte

Dalla Wahoo, la terza pagina del diario frammentario di Bianconi, prima del blocco navale delle Forze di difesa israeliane fra l’1 e il 2 ottobre scorsi

Di Vanni Bianconi

Pubblichiamo un contributo apparso su ticino7, allegato a laRegione

Prima di perdere la comunicazione con Vanni Bianconi, dopo l’intercettazione della Wahoo (barca della delegazione svizzera della Global Sumud Flotilla) da parte delle Forze di difesa israeliane, lo scrittore ci ha inviato la terza pagina di un resoconto frammentario, fermatosi al 30 settembre fra speranze, incertezze, paure…

29 settembre 2025

La preparazione, la prima partenza, la seconda, la terza, hanno preso una quantità indefinibile di tempo. È per quello, e per la molteplicità degli imprevisti possibili, che a bordo della Wahoo siamo tarati per settimane in mare. Anche se (o proprio perché) l’organizzazione ha sempre parlato di 4-5 giorni di navigazione fino a Gaza, eravamo certi che saremmo stati in mare, lontani da ogni riva, se non quella libica, per 10-14 giorni almeno. Finite le scorte di cibo buono, razionando l’acqua, preoccupati per il diesel per la Wahoo e per l’animo. Come quando si aspetta con trepidazione una qualche finale di calcio e, quando arriva, al terzo minuto si è già tre a zero, il tempo ha subito una smorzata. Il Mediterraneo si è accorciato. Siamo a tre giorni di navigazione da Gaza, dopo diverse notti senza attacchi. Droni tutto attorno e interferenze alla radio, sì, sempre Three Little Birds di Bob Marley. Sì, in questo momento sta affondando la Johnny VL, ma per un guasto. E non solo siamo a tre giorni da Gaza, ma lo scenario sembra definito. Dopo le varie tattiche di Israele – le minacce di terrorismo e di lunga incarcerazione, la campagna diffamatoria per associarci ad Hamas, il bombardamento coi cordoni incendiari l’altra notte –, dopo tutto questo ora Israele ha adottato la linea paternalista, che nessuno si faccia male, intercettiamo e deportiamo, Affari esteri e non Difesa, cosa ne dite?

Così vicini a Gaza da credere alla mappa marittima, perfino all’organizzazione; così credibile la posizione di Israele che la tiene da ben due giorni. Così che sentiamo che la missione giunge al termine. La sensazione è di non sapere chi conduce tre a zero al terzo minuto. Di certo non Israele. In questa analogia non è neanche stato ammesso al torneo. E la Flotilla ha giocato molto bene in tutta la fase a eliminazione, diventando la cocca del pubblico. Scioperi, manifestazioni, media e politici, e la gente, la gente ovunque, ha reagito. Noi siamo il catalizzatore, la gente, ovunque, è la detonazione – noi siamo nel labirinto, e la gente, ovunque, è il filo che ci porterà fuori, potrebbe portarci a Gaza.

Ma Gaza, nell’immediato? Nell’immediato muore e è distrutta. Nell’immediato scenario, non arriveranno i nostri aiuti e non apriremmo un corridoio umanitario. Nell’immediato ricevo, riceviamo, messaggi su messaggi di gratitudine e di speranza. Chissà se arriveremo abbastanza vicini perché vedano le nostre vele dalla costa? Chissà cosa succederebbe allora, sulla costa, e quanto e come Israele gliela farebbe pagare?


© Vanni Bianconi

C’è la dimensione simbolica che abbraccia quella pubblica, mediatica e politica. Ma poi c’è quella tangibile, agonizzante, affamata, ferita e mutilata. Se la situazione rimane com’è, arriveremo fino a un certo punto – avremmo percorso miglia nautiche e smosso molte acque, ma arriveremmo solo fino a un certo punto. Lo abbiamo sempre saputo. Sarà che ora crediamo alla nostra stessa retorica? O che la speranza, quando così abissale, così isolata da ogni altro dato di realtà, è contagiosa? Così che anche un minuto sulla spiaggia di Gaza varrebbe una vita vissuta in altri modi? E se costasse una vita, la nostra o di quelli che lì si assembrano?

Sono queste le domande questo 29 settembre. Mi torna in loop l’immagine finale di Butch Cassidy and the Sundance Kid, Newman e Redford accerchiati che con uno sguardo decidono di affrontarli tutti, sparando a destra e sinistra, e quindi di morire lì insieme. Ma che gioia e che compimento in quello sguardo.

E mi torna in mente l’incontro con mia figlia quattordicenne che mentre facevo presenza protettiva in Palestina sembrava quasi non pensarci, non pensarmi. Ma aperta la porta di casa, tornato sano e salvo, è corsa in corridoio ed è saltata in un abbraccio sulla soglia stringendomi forte e dalla pianta dei piedi si è sciolta in pianto – e sciolta in pianto non è un’immagine trita, è quello che è successo. Come se avesse inconsapevolmente eretto un muro dentro, per non vivere per settimane con quella preoccupazione, e lì quel muro si è sciolto nel pianto, dalla pianta dei piedi alla guancia contro, dentro la mia guancia.

Nostos, ritorno, àlgos, dolore. Il corridoio umanitario, il corridoio di casa. La mia odissea è al contrario, deve esserlo, ma è sempre un’odissea, deve esserlo nelle scelte. Corridoio di casa corridoio di Gaza, un labirinto di corridoi, trasformazione e ritorno o il volo. Dedalo. Icaro. Mi chiamano da sotto coperta, qualcuno ha i segni dei morsi delle cimici da letto.

La fregata turca è qui con missili a lunga gittata, ha contattato la nostra ammiraglia. Una riunione tra gli organizzatori per i temi carcerari e gli interrogatori israeliani. Torniamo a occuparci del presente, l’eterno presente a fuoco di questo tempo senza tempo. Three Little Birds, tre giorni per Gaza, zero a tre.

30 settembre 2025

È iniziato il conto alla rovescia. È iniziato il conto alla rovescia nel mondo alla rovescia in cui i grandi o avversi poteri decidono del futuro della Palestina senza nessuna autodeterminazione della Palestina, gente come Tony Blair al timone della trasformazione di Gaza e tanti altri dettagli ancora da scoprire. Allo stesso tempo qualche garanzia a corto termine, il cessate il fuoco, gli aiuti umanitari, nessuna annessione territoriale, nessuno obbligato a lasciare la Palestina…

Per noi è iniziato il conto alla rovescia, siamo a una cinquantina di miglia dalla linea arancione, siamo a meno di 200 miglia marittime da Gaza. Vogliamo arrivare fino a Gaza con i nostri aiuti umanitari e con il nostro valore simbolico, carico di amore compassione rabbia, con il nostro carico di complicità e solidarietà dal mondo intero, con le attese di chi a Gaza ci cerca all’orizzonte e ci scrive.

Vogliamo arrivare fino a Gaza, meno di 200 miglia marittime da qui, quello che succederà invece tra 50 miglia marittime (forse rallenteremo, forse cercheremo di arrivarci alle prime luci dell’alba) sarà probabilmente un’intercettazione, quindi le forze armate israeliane che fermano le nostre barche una a una, ci ammanettano e trasportano su una nave/prigione da qualche parte per poi smistarci, imprigionarci, deportarci. Siamo tante barche, Israele non ha una grande marina militare. È possibile che qualcuno di noi ce la faccia, magari con la sua velocità punk la furbizia che ha dimostrato finora sarà la Wahoo: se arriveremo fino a Gaza il costo in problemi di ogni tipo, magari il costo in vite, sarà imprevedibile, ma sarebbe un successo, a qualche livello, anche se fossero solo i più superficiali, per chi a Gaza ci aspetta all’orizzonte.


© Vanni Bianconi
Foto tratta da Instagram

Però tutti gli strumenti indicano l’intercettazione, poi potrebbero essere bombardamenti, cose più gravi, Israele ha ripetuto che non ha paura di mietere vittime, di affondare barche. Anche se fosse solo un’intercettazione vorrebbe dire comunque aspettare con i giubbotti di salvataggio per ore di notte con le mani in alto, nella modalità più mansueta e non violenta e remissiva, che i marines israeliani arrivino, ci afferrino e sbattano sulla nave-prigione… e poi la detenzione. Lì ci aspettano i prossimi dubbi, c’è una via veloce per uscire di prigione, dovrebbe essere dopo 72 ore al massimo probabilmente in Giordania, in qualche bus ammanettati e incappucciati, vorrebbe però dire firmare e quindi riconoscere su un pezzetto di carta qualche legittimità a Israele.

Di aver infranto delle regole mentre noi, e solo noi, abbiamo agito legalmente, oltre che umanamente. L’alternativa è non firmare niente, quindi aspettare giorni per vedere un giudice israeliano, poi stare in prigione ancora 10 giorni. Basandoci su quanto è successo finora, ma questa è una situazione senza precedenti. Io coi miei privilegi di maschio bianco svizzero in salute sento che lo dovrei fare, per tutto il resto non lo so. Ho promesso a Loren, a mia figlia, che sarei uscito in fretta e che sarei ritornato da lei una volta attraversato il Mediterraneo, dopo aver provato, provato davvero a forzare il blocco navale di Gaza. Poi gli anelli concentrici nei vecchi genitori e negli amici, si sommano i messaggi non solo da Gaza, ma anche dalle persone vicine, si sente il pericolo, le persone lontane fisicamente vicine col cuore lo sentono il pericolo. E anche un senso di misura, dove fermarsi perché con quello che succede a Gaza non basterà mai, bisognerà sempre andare ancora avanti, bisognerà ancora trovare altri modi per andare avanti.

Stiamo ancora navigando e siamo a poche miglia marittime da Gaza e la speranza tra chi ci aspetta è alta: anche se dovesse venir delusa, questa speranza vale già da sola; per qualche giorno, settimana c’è stato qualcosa da cercare con gli occhi all’orizzonte. Chissà qual è il valore reale di questa missione.

Di esiti effettivi ce ne sono stati, ce ne sono stati tanti e lavoreranno a lungo. Adesso la questione è capire come arrivare al punto, dove mettere il punto fermo e andare a capo – intanto siamo ancora nel grandissimo paragrafo del mare, frase dopo frase di onde, punteggiatura di vele, il respiro del vento che legge la flottiglia ancora ampia come un canto, una preghiera: siamo in formazione molto larga adesso, stiamo andando alla velocità di 5-6 nodi, se non rallentassimo arriveremmo alla linea arancione in piena notte, se non ci fermassero saremmo a Gaza tra due giorni.

E come si aspetta un’intercettazione, un confronto con queste forze super addestrate e cervellolavate? Sulla Wahoo hanno dipinto le unghie dei piedi più o meno a tutti, fatto il backup del telefono che butteremo a mare con tutte le nostre cose, chi prepara il mahi mahi appena pescato e chi mangia, c’è chi dorme, c’è chi bisticcia sul modo migliore di prendere il vento e interpretare la rotta, un senso di normalità, un senso di normalità che si prepara a sfociare nell’irrealtà dello scontro finale, lo scontro finale e poi l’incertezza del prossimo passo.

È stato strano avere un po’ di certezze in questi ultimi giorni, il numero di miglia nautiche, la posizione di Israele, le posizioni ambigue però più o meno mantenute dai governi occidentali. Adesso non si vede ancora niente all’orizzonte, però si sente quell’incertezza: quando mi fermerò, quando mi dirò “la missione per me è finita”?

Non si vede niente all’orizzonte.

Si sente l’orizzonte che ci guarda.

Nota di redazione
ticino7 ha avuto notizie da Bianconi fino al 1° ottobre, poi l’equipaggio della Wahoo ha gettato i cellulari in mare, rompendo di fatto un filo diretto. Dalla cronaca delle ultime 72 ore circa, sappiamo che la totalità della Global Sumud Flotilla è stata intercettata e catturata dalle Forze di difesa israeliane (Idf), disponendo un blocco navale, prima che le decine di equipaggi raggiungessero la costa di Gaza con gli aiuti umanitari.

Dapprima, gli attivisti arrestati (all’incirca 400) sono stati portati al porto militare di Ashdod, in attesa di essere espulsi e rimpatriati o processati. In particolare, dalle ultime informazioni si è appreso che i 19 attivisti svizzeri sono stati condotti nella prigione nel deserto di Negev; le loro condizioni sarebbero buone.

Consapevoli che la situazione sia in continuo mutamento, queste sono le informazioni raccolte prima di andare in stampa.

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