La realtà esiste o è un’illusione?

Cosa succede quando, osservando un muro, ‘vediamo’ occhi, naso e bocca? Si tratta del processo psichico chiamato pareidolia. Ne parliamo qui
Di Nicoletta Barazzoni
Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, allegato a laRegione
Quante volte ci è capitato di vedere nel tronco di un albero un volto legnoso o nel citofono di una vecchia palazzina tante curiose faccine? Oppure troviamo somiglianze fra celebrità e animali? Si chiama pareidolia ed è un processo psichico che elabora in modo fantastico le percezioni reali incomplete, facendoci vedere immagini illusorie dotate di nitidezza materiale.
Come potrei dimenticare quel mio professore di sociologia che, in classe, ci spiegava come la realtà non esiste perché esiste quello che vediamo o che vogliamo vedere. Si riferiva, in particolare, alla complessa teoria della realtà come costruzione sociale. In quest’ottica voglio approfondire il fenomeno della pareidolia, ben rappresentata nelle fotografie qui pubblicate, che induce il nostro cervello a riconoscere volti o caratteristiche umane in animali, oppure in elementi, come ad esempio le nuvole, determinati oggetti o un cuore nella tazzina del caffè.
Le somiglianze del personaggio famoso con il gatto o del gatto con il personaggio famoso, per esempio, sono unicamente effetti ottici, costruzioni della nostra mente che utilizza frammenti della realtà per costruire altre realtà illusorie? Nell’epoca della società dell’iperconnessione, che ha soppiantato la società dell’informazione, siamo sommersi e bombardati da tante realtà che possono essere delle non realtà perché quello che vediamo alla televisione, in fotografia, sui social può apparire incredibilmente falso, frutto di inganni e manipolazioni. Il termine “deepfake” infatti viene usato per indicare contenuti digitali, come video o foto, creati utilizzando l’intelligenza artificiale per falsificare la realtà in modo molto realistico.
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Cercando online, l’attore Adam Driver è spesso paragonato a un gatto orientale
Antropomorfizzazione
Tornando alla pareidolia, il caso forse più eclatante è il ‘Volto su Marte’. Quel “volto” e quelle sembianze antropomorfe si devono a una combinazione di eventi e condizioni come ad esempio l’angolo d’illuminazione. Anche durante i processi, le testimonianze vengono valutate attentamente, indagando e fugando i dubbi, proprio perché fenomeni come la pareidolia, ricordi falsi o distorti possono influenzare e condizionare ciò che i testimoni credono di aver visto, dal momento che la percezione o la memoria possono ingannare. Perciò la testimonianza deve essere supportata da altri elementi per costruire un quadro credibile e completo dei fatti. La verità non può essere mai assoluta perché veniamo a conoscenza di fatti che, nella maggior parte dei casi, possono risultare parziali.
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Il volto su Marte
La tendenza del cervello a vedere ciò che non c’è, a riconoscere e a rilevare le somiglianze tra volti umani e animali o oggetti viene enfatizzata da angolazioni, espressioni o tratti distintivi. Il cervello tende a preferire scorciatoie mentali, a cercare conferme alle nostre credenze pregresse, trovando analogie somatiche come i gatti che assomigliano a certi personaggi e viceversa, o come una scopa che assume le sembianze di un volto umano. Dagli studi sulla percezione visiva, alla psicologia della Gestalt, spicca il famoso vaso di Rubin, un famoso insieme di forme bidimensionali ambigue, in cui assume rilevanza anche l’impostazione soggettiva dell’osservatore perché, essendo l’attività percettiva un processo attivo, entrano in gioco processi di riorganizzazione e reinterpretazione.
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Il vasi di Rubin
La percezione cerebrale del volto
Sono numerosi gli studi su questo tipo di manifestazioni che vengono anche indagate attraverso test psicologici. È stato osservato, tramite tecniche come la Risonanza magnetica funzionale e la Tomografia a emissione di positroni, che la percezione del volto umano e l’elaborazione delle informazioni che da esso derivano, “attivano il giro del cingolo anteriore e posteriore, la corteccia orbito-frontale mediale con estensioni fino alla convessità dei giri frontali superiori, al precunio inferiore, ai giri frontali inferiori e alla giunzione temporo-parietale”. Questo ci spiega che la visione di un volto attiva diverse aree del cervello che lavorano insieme per interpretare le emozioni, il comportamento e il significato sociale di quel volto. Studi specifici, ai quali mi ispiro e dai quali attingo in maniera riassuntiva, stabiliscono l’esistenza, nel nostro sistema nervoso, di aree distinte per la percezione degli oggetti rispetto a quelle implicate nella percezione dei volti. Un’ulteriore specializzazione è riservata alla capacità di elaborare espressioni e riconoscere emozioni.
Un cervello amante degli schemi
Insomma, gli innumerevoli studi delle neuroscienze hanno dimostrato che il nostro cervello riempie costantemente le lacune perché gli piacciono gli schemi, preferisce creare una storia coerente, anche se basata su supposizioni e percezioni, così che tutto sembri reale. Infatti le teorie della mente, come la teoria della dissonanza cognitiva che è strettamente legata ai processi mentali, ci dicono che il cervello percepisce incongruenze tra credenze e comportamenti, cercando di ridurle per mantenere una coerenza interna, prendendo le scorciatoie mentali. Questo può influenzare il modo in cui interpretiamo le informazioni e prendiamo decisioni. In poche parole ci autoconvinciamo. Ci sono persone che ragionano e pensano per immagini, trasformando concetti o idee in rappresentazioni visive nella mente. È un modo naturale di elaborare informazioni, soprattutto per chi è visivamente orientato.
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Volti nascosti, ma neppure molto
Un errore naturale
Uno studio condotto nel settembre del 2020 sul giornale online Nature communications ha stabilito che il fenomeno della pareidolia può essere concettualizzato come un errore naturale del sistema di rilevamento facciale. Lo studio indaga il processo comportamentale, suggerendo che la percezione di volti illusori deriva da una caratteristica fondamentale del sistema di rilevamento facciale dei primati, piuttosto che essere un tratto unicamente umano. Lo studio, che si avvale di un campione ampiamente rappresentativo, combina strumenti di neuroimaging non invasivo con alta risoluzione temporale e spaziale, nonché valutazioni comportamentali e analisi basate su modelli per capire come i volti illusori vengano elaborati nel cervello umano. Nel riassumere queste informazioni si può sostenere che siamo spesso noi, per mezzo del nostro cervello – un organo misterioso – a determinare il significato di ciò che vediamo, ma non è affatto detto che ciò che vediamo sia realmente vero o veramente reale.
Si può anche provocatoriamente affermare che siamo arrivati al punto in cui, se ci guardiamo allo specchio, ci facciamo il classico selfie o se ci diamo un pizzicotto, dobbiamo dubitare fortemente di essere davvero noi, perché non è sicuro che quel che stiamo vedendo sia realmente la nostra immagine e la nostra realtà.
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Nelle nuvole vediamo animali, facce, oggetti…