Lucia come determinazione, Leoni come coraggio

Lucia ha 39 anni ed è ipovedente dall’età di dieci. Nonostante la faccia arrabbiare chi dice ‘no, non puoi farcela’, lei non si ferma davanti a niente…

Di Clara Storti

Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, allegato a laRegione

Nata nel 1985 a Rivera, dove è cresciuta e dove tuttora abita con il suo gatto, Lucia è ipovedente dall’età di dieci anni. Da allora – con determinazione e coraggio – si è costruita il suo presente: è operatrice sociale e animatrice a Casa Andreina a Lugano (ma non è la sola occupazione professionale che la impegna), canta nella corale della chiesa, è attiva nei Samaritani e, soprattutto, è piena di passioni: dalla cucina alla lettura, dalle escursioni in montagna all’equitazione, la 39enne ama anche viaggiare e, dopo l’Argentina, sogna nuovi posti da visitare. In occasione della giornata Unitas intitolata ‘Dialogo’, si è raccontata alla nostra redazione.

“Me lo ricordo come fosse ieri: erano le vacanze di Natale; dovevo fare i compiti per scuola, così ho preso il libro, ma non riuscivo più a leggerlo. Sulle prime ho negato quanto stava accadendo e l’ho tenuto nascosto ai miei genitori; perché non volevo”. Lucia aveva dieci anni quando è diventata ipovedente e, allora, ha dovuto reimparare tutto, adattandosi a quella sua nuova condizione, fino a quel punto lontana dalla sua vita.

Oggi, Lucia Leoni ha 39 anni, lavora a Lugano dove è operatrice sociale e animatrice al centro diurno Casa Andreina di Unitas (Associazione ciechi e ipovedenti della Svizzera italiana), ma anche, da un paio di anni, formatrice degli apprendisti operatori socioassistenziali (Osa) e, da un anno, docente di visita SSPSS, un ruolo – racconta – che le dà sempre nuovi stimoli e spunti da portare negli altri ambiti lavorativi che svolge.

Determinazione e dinamismo

Piove. L’acqua batte sui vetri e dà il tempo, come un metronomo, all’intervista con Lucia, arrivata in redazione per raccontarci la sua storia, fatta di determinazione, coraggio, resilienza, tanta simpatia e autoironia. L’occasione di scambiare quattro chiacchiere con lei ci è data dall’evento organizzato da Unitas fra un paio di settimane, durante il quale la nostra interlocutrice parteciperà come relatrice (si legga in calce). Sbrigata l’esplicitazione del motivo del nostro incontro, torniamo alla nostra storia. Nata il 12 aprile 1985, Lucia è cresciuta a Rivera, dove tutt’oggi vive con il suo gatto Furby: “Andare a vivere da sola, ben dodici anni fa, è stato un passo importante per la mia crescita personale e la mia autonomia” dice. Un cammino – quello della crescita – non sempre facile, soprattutto in una società che dà per scontati i cinque sensi, ma che Lucia sin da bambina ha sempre affrontato con grande determinazione, che è poi la parola che più la rappresenta. “Non mi ferma niente. Trovo delle strategie per riuscire a far fronte a ogni situazione e raggiungere gli obiettivi che mi prefisso. Questo mio modo di essere sicuramente mi ha portata ad arrivare dove sono oggi”. E nonostante ci siano cose che le fanno paura e la facciano arrabbiare coloro che dicono “no, non puoi farcela”, Lucia non si tira mai indietro, buttandosi a capofitto in ogni cosa che intraprende, prefissandosi gli obiettivi che desidera raggiungere: “È molto bello dirsi ‘okay, ce l’ho fatta’!”.

Basta poco per capire quanto sia una donna piena di risorse, energie e dinamismo: “Sono sempre in movimento, non mi piace stare ferma, tranquilla”, conferma. Tante le passioni che la occupano, dalla corale (in cui canta) ai Samaritani, dalla montagna all’equitazione, dalla lettura (ha divorato i libri di Nicholas Sparks e, in generale, ama le storie drammatiche e romantiche) alla cucina (il suo piatto preferito, e pure forte quando si cimenta ai fornelli, sono gli spaghetti alla carbonara), ai viaggi: come quello fatto lo scorso anno in Argentina, sognata sin da adolescente e di cui porta nel cuore un bel ricordo.

Non fermarsi davanti a niente

Torniamo, con un’analessi fulminea, alla scuola dell’obbligo che Lucia termina grazie al suo pertinace impegno, alla disponibilità dei docenti, ad alcuni trucchetti appresi man mano e ai mezzi che, di anno in anno, sono entrati a far parte della sua quotidianità, come il computer e il macrolettore che ha iniziato a usare alle Medie; mezzi ausiliari tuttora fra i suoi strumenti quotidiani. Oggigiorno, chiarisce la nostra interlocutrice aprendo una parentesi, sono pochissime le persone cieche e ipovedenti che frequentano scuole specifiche, come quella nel Canton Zugo, “perché la tendenza è quella dell’integrazione dell’allievo con disabilità visiva nella scuola pubblica”.
Frequentato quindi il liceo, Lucia insegue il desiderio di poter lavorare con e per le persone, decide perciò di intraprendere un percorso in ambito sociale, “mi ha sempre entusiasmato l’idea di poter essere utile agli altri”. Dopo un anno di Psicologia a Basilea, interrompe gli studi e fa rientro in Ticino, con l’intenzione di iscriversi alla Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana (Supsi) a Manno, dove, all’incirca una decina di anni fa, si è laureata in Lavoro sociale.

Fino a qui, pare sia filato tutto più o meno liscio, tuttavia sulle prime, l’ammissione alla scuola professionale non è stata affatto scontata, “forse perché c’era un po’ di paura del nuovo – commenta con comprensione –, dovuta alla mancanza di conoscenza e sensibilizzazione…”. Ma visto che non accetta rifiuti e forte del fatto suo e delle sue capacità, Lucia non si è data per vinta e ha lottato per la sua formazione, per autodeterminarsi. Alla fine, “mi sono diplomata nei tempi stabiliti dei tre anni, senza bocciature, senza aver mai mancato un esame… È stata una bella soddisfazione ricevere il diploma”, ricorda col sorriso.

Essere nei panni altrui

Conclusa la formazione, Lucia svolge diverse esperienze professionali prima di approdare a Unitas (dove ha svolto il suo primo stage), a riprova del fatto che “una persona con disabilità visiva ha comunque la strada aperta” con la imprescindibile motivazione e gli strumenti adatti allo svolgimento del mestiere intrapreso.

A Casa Andreina – centro diurno che accoglie ciechi e ipovedenti, ma anche persone senza disabilità visive –, l’operatrice sociale è principalmente a contatto con persone anziane, alcune delle quali hanno una problematica simile alla sua e a cui “posso trasmettere la mia esperienza, che in qualche modo può aiutarle a superare o fronteggiare alcune difficoltà”, che altrimenti potrebbero abbatterle. Questa vicinanza fa sì che il suo contributo sia un valore aggiunto sul posto di lavoro. Dal canto suo, Lucia per affrontare gli ostacoli che incontra sfodera anzitutto l’autoironia, un atteggiamento, ci pare di capire, di cui non potrebbe fare a meno.

Dialogo

La storia di Lucia ci dice, una volta di più, quanto sia importante normalizzare le condizioni di disabilità visiva, affinché le differenze non diventino un ostacolo all’integrazione a tutti i livelli della società, sfera professionale compresa. Impedimenti spesso dovuti alla paura che situazioni diverse, fuori dal comune, suscitano in noi, vuoi perché non le capiamo, vuoi perché non sappiamo come rapportarci. “La cosa fondamentale, quando si è confrontati con una persona cieca o ipovedente, è sempre chiedere alla persona stessa cosa ha bisogno, come vuole essere aiutata, quanto vuole essere aiutata”, spiega l’interlocutrice che sottolinea come ognuno vada approcciato in maniera diversa perché ciascuno è differente. Entrando nello specifico dell’integrazione professionale, per lei è essenziale “creare un ambiente di lavoro idoneo, attraverso mezzi ausiliari o abbattendo le barriere architettoniche” e questo lo si fa con il dialogo fra le persone coinvolte.

Del tema dell’integrazione professionale di persone cieche e ipovedenti, Lucia, insieme ad altri relatori, parlerà durante la tavola rotonda dell’evento intitolato ‘Dialogo: una giornata per comprendere cecità e ipovisione’ organizzata da Unitas il prossimo 19 ottobre a Bellinzona (www.unitas.ch).

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