Disavventure latine. Ecuador: El Coca, la porta dell’Amazzonia

Due nomi, due fiumi (il Rio Coca e il Rio Napo) e due anime: quella fracassona di mezzogiorno e quella placida che segue il tramonto

Di Roberto Scarcella

Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, allegato a laRegione

Mi avevano detto che non c’era niente da vedere, che era brutto, sporco e cattivo. Che si mangiava male e beveva peggio. Che mi sarebbe costato troppo e mi avrebbe dato indietro poco. Che a un certo punto mi sarei chiesto – arrabbiato con me stesso – perché non il Brasile, le Canarie, l’Appenzello Interno. O il Molise. E che se volevo rischiare la pelle potevo almeno evitarmi un volo di dodici ore, visto che ci si può far ammazzare molto più vicino, se proprio ci tieni. Mi avevano detto che non si poteva uscire la sera, e forse nemmeno di giorno, che non si poteva prendere un autobus né entrare allo stadio. Così sono andato a vedere davvero com’è, l’Ecuador: senza ignorare i pericoli (che ci sono, eccome), ma abbracciando – ricambiato – tutto il resto. Ne è valsa la pena. Ve lo racconto qui.

Caos, strade impolverate, procacciatori d’affari, mercati che ti vendono di tutto, dai pulcini a divani troppo grandi e troppo kitsch per un qualsiasi salotto. Puerto Francisco de Orellana, detta El Coca, è la classica città di frontiera. Solo che la frontiera non c’è. Per arrivare alla più vicina, quella con la Colombia, bisogna fare oltre cento chilometri di strada; la più nominata e conosciuta dalla gente del posto, quella con il Perù, dista duecento chilometri e un viaggio della speranza in barca, perché la strada, semplicemente, non esiste.

Oltre El Coca, andando verso Oriente, c’è solo Amazzonia. Che lì inizia, per finire un continente e un oceano più in là, sulle sponde brasiliane dell’Atlantico. Per dare un’idea di quanto sia grande, tutti i Paesi dell’Unione europea ci starebbero dentro una volta e mezza. Per dare ancora meglio l’idea, solamente l’1,48% dell’Amazzonia si trova dentro i confini dell’Ecuador, eppure copre quasi la metà della superficie del Paese. L’Ecuador è sette volte più grande della Svizzera.


© Wikimedia
El Coca vista dall’alto

Ricchi e poveri

El Coca, che da cinque anni si chiama ufficialmente così, mentre prima era solo un soprannome (dovuto a uno dei fiumi che l’attraversa, che ha preso il nome dalla pianta) per abbreviare un toponimo troppo lungo (Francisco de Orellana, il conquistador, che per primo, partendo proprio da qui, in Ecuador, navigò il Rio delle Amazzoni fino al suo estuario), è quindi davvero un luogo di frontiera, anche se non ci sono dogane, bandiere, passaporti da timbrare e soldi da cambiare. Per arrivarci ho preso un volo di poco più di mezz’ora da Quito. Via terra ci sarebbero volute circa 10 ore su una delle strade con il maggior numero di incidenti del Paese.


© R.S.
La statua del dedicatario del nome originario della città sui due fiumi

Una volta atterrato in un aeroporto che più sperduto non si può, ho capito che nella vita puoi scappare da tutto fuorché da due cose, te stesso (e questo, per quanti tentativi abbia fatto, già si sapeva) e i Ricchi&Poveri, la cui voce esce dagli altoparlanti (“De pronto canto, será porque te amo/Y siento el viento que pasa por tus manos/ Todo es distinto, cuando te estoy mirando/ No me comprendo, será porque te amo…”) accompagnata da quelle di ecuadoriani e turisti: chi la canta in spagnolo, chi in italiano, chi in una lingua inventata sul momento. Tant’è, la conoscono tutti.

Una volta in giro per El Coca, a mezzogiorno, sotto un sole che ti costringe a bere ogni due passi, capisco che dovrò stare attento al portafoglio: ma non sono i borseggiatori il problema. Sono i venditori. Da quello dei giornali a quello delle bibite, faranno di tutto per spillarti un centesimo in più, dimenticarsi di darti il resto, fingere che tu abbia pagato con una banconota di minor valore di quel che ricordi. Mai come a El Coca girare con i soldi contati e tanti spiccioli può tornare utile. Sembra davvero un posto da cui scappare il prima possibile, tra moto che ti sfrecciano sui piedi e ristoranti che servono spiedini di larve di coleottero, ma scoprirò presto che non è affatto così.


© R.S.
Spiedini di larve di coleottero

Tra chi ha l’aria di chi ti vuol fregare e – anche se non ho mai capito quanto – lo farà, c’è Patricio, un omone affabile che organizza viaggi dentro la foresta pluviale. Il suo ufficio è a pochi metri da dove partono le barche che solcano il rio Napo e finiscono dritte dentro l’Amazzonia. La trattativa la fai, ma la guida lui. Potrei cambiare agenzia, ma perderei solo tempo. Dopo mezz’ora di tira e molla ho un biglietto andata e ritorno per una barca veloce (veloce vuol dire 6 ore di traversata anziché 10-12) e un pacchetto di tre notti in un villaggio di una tribù locale che comprende cibo ed escursioni con guida.


© R.S.
Marisqueria

Caos e pace

Regolata la questione Amazzonia posso finalmente capire meglio dove sono finito. E con il calar della sera realizzo che El Coca può essere sì il caos, ma anche il suo contrario. La passeggiata sul lungofiume di una città che non ha un solo edificio che merita di essere visto o fotografato (a eccezione del Macco, il museo di archeologia e storia locale) e che ha abbassato finalmente il volume mi pervade di un senso di pace raro: davanti a me ci sono migliaia di chilometri di Amazzonia, intorno, invece, famiglie numerose e sorridenti, ragazze con un cocktail in mano, ragazzi che – appoggiati alle moto, come sempre, come ovunque – le guardano dandosi di gomito e bambini con metà gelato in mano e metà sulla faccia.


© R.S.
Cooperativa di tassisti

Mi fermo a bere una Piña Colada in uno dei chioschetti e vengo accolto da Jon, un giovane surfista rimasto senza mare, perché nella sua Esmeralda, sulla costa nord del Paese, tutto è in mano alle gang criminali: “Prima si ammazzavano tra loro. Non ci piaceva, ma sapevi che se evitavi certi posti, certe frequentazioni, potevi vivere in santa pace. Ora entrano nei locali e sparano. Non guardano nemmeno chi c’è dentro. Ho visto morire gente innocente, ho visto morire delle bambine. Un giorno ho preso e me ne sono andato. Sto aspettando il passaporto colombiano che mi permetterebbe di entrare più facilmente in Europa. Vorrei andare in Spagna o in Italia, ricominciare a surfare, vivere una vita che non debba fare ogni giorno i conti con la morte”. Jon dice che a El Coca si annoia, ma almeno, non essendoci distrazioni, può risparmiare qualche soldo in vista dell’Europa.

Seconde occasioni

Mi consiglia infine di mangiare il maito de pescado, niente più che del pesce cotto in foglie di bijao, una pianta locale, la stessa con cui si avvolgono i tamales. Lo farò, poco più tardi, alla Casa del Maito, un ristorante senza pretese con una cameriera dalla gentilezza commovente e vecchie foto sgranate di pescatori: il pesce – a dirla tutta – non era un granché, ma ci sono serate e luoghi in cui dove mangi conta molto più di quel che mangi. Sarei potuto rimanere lì ore a godermi quell’atmosfera da mondo perduto, con il mio tè locale se possibile ancora più insapore del pesce, ma il ristorante ha chiuso presto lasciandomi due alternative: un locale alla moda, di stampo occidentale, indubbiamente bello, ma che stona con l’atmosfera circostante (e in cui si paga solo per entrare, ancor prima di ordinare) oppure chiassosi ristoranti per famiglie in cui a fare chiasso sono rimasti solo i padri. Intravedo una terza ipotesi: una semplice lattina di birra da comprare in un minimarket e bere senza fretta sul lungofiume.


© R.S.
L’atmosfera nel ristorante

Mentre butto giù il primo sorso, con alle spalle la statua di Francisco de Orellana, penso a come questa città con due nomi, due fiumi (il Rio Coca e il Rio Napo) e due anime, quella fracassona di mezzogiorno e quella placida che segue il tramonto, riesca nell’impresa di far vacillare il senso di quella frase monolitica che alcuni mettono in bocca a Oscar Wilde, altri all’americano David Swanson, altri ancora a qualche vecchio saggio francese di cui si è persa la memoria: “Non c’è una seconda occasione per fare una buona prima impressione”.


© R.S.
Chiatte sul pelo dell’acqua

Articoli simili