Non per gioco, ma per amore
Ricorrono i 70 anni della morte del primo grande fotoreporter: Robert Capa. Celebri gli scatti della guerra civile spagnola e dello sbarco in Normandia
Di Marco Stracquadaini
Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, allegato a laRegione
Occhio in macchina e sigaretta fra le labbra, considerato il primo grande fotoreporter della storia, Robert Capa (1913-1954), più per ciò che scrisse e disse, è celebre per i suoi scatti, che hanno raccontato (e raccontano ancora oggi) alcuni grandi e tristi avvenimenti del passato, in particolare la guerra civile spagnola e lo sbarco in Normandia dei soldati alleati. Morto in Indocina settant’anni fa, dichiarava: “Se le tue foto non sono abbastanza buone, non sei abbastanza vicino”.
In un’immagine è intento a dar le carte in una clinica londinese. Sotto le coperte c’è John Houston e sopra Robert Capa distribuisce le carte. Una cicca tra le labbra e il posacenere ai piedi del letto. In un’altra è ugualmente intento – sigaretta fra le labbra – a seguire una corsa di cavalli all’ippodromo di Longchamps, a Parigi, circondato dalla folla degli altri spettatori. In una terza di molti anni prima – del 1937, dunque ha 24 anni – è seduto su una panchina a ridosso di un muro. Abito elegante, cravatta, pettinatura curatissima e non ripeterò della sigaretta. Già da un paio d’anni la sua compagna Gerta, da occasionale e infallibile manager, ha costruito il professionista: d’ora in avanti ben vestito, niente più scapigliature, a Parigi c’è un altro fotografo di nome Friedmann, diremo che sei americano e ti chiami Robert Capa (nome reale Endre – poi André – Friedmann). A un fotoreporter americano non chiuderanno la porta in faccia. Quanto a lei, Gerta Pohorylle, tedesca di origine polacca, diventerà Gerda Taro seguendo una simile intuizione. Comincerà a scattare anche lei e lascerà il suo segno, ben netto, nella storia della fotografia del ’900, lasciando la vita sul fronte della guerra civile spagnola, a 26 anni.
Anonimo
Gerda Taro (1910-1937)
Non era un artista
Quanto di accidentale contribuisce al successo nella vita di un artista? Frase, per Capa, tutta da rifare: non convince la parola “artista” né forse “successo”. Sappiamo che non si riteneva un artista. Un fotoreporter è un giornalista che fa fotografie. La prima grande e decisiva accidentalità fu l’immagine del soldato colto nell’atto di cadere ucciso (‘Miliziano colpito a morte’ – 5 settembre 1936, che uscì su ‘Vu’ il 23). L’immagine più famosa e che gli spalancò la carriera. Ma furono tutte quelle scattate alla guerra civile spagnola a consacrarlo come il primo grande reporter di guerra. La seconda accidentalità – che virò il soggetto verso l’“artistico” – fu la resa sfocata delle foto più emblematiche di un emblematico evento: lo sbarco in Normandia. La terza riguarda la morte, il 25 maggio 1954, a 41 anni (in questi giorni sono settant’anni).
© Keystone
In esposizione ‘Miliziano colpito a morte’ (5 settembre 1936, che uscì su ‘Vu’ il 23)
Quando sbarca, lui pure con l’esercito americano, sulla spiaggia normanna, ha con sé tre macchine; nelle due Contax un rullino da 32. Ma non si salveranno che 11 scatti. L’urgenza di farle partire per New York, per l’edizione della settimana seguente di ‘Life’, spinse l’operatore londinese ad alzare troppo la temperatura dell’essiccatore. Quanto invece all’effetto fuori fuoco, che rende imprecise e memorabili le figure dei soldati che avanzano nell’acqua, pare sia dovuto al tremito incontrollabile delle mani esauste.
© Keystone / Robert Capa
Una delle fotografie dello sbarco in Normandia, 6 giugno 1944
Sempre più vicino
Capa si mette davanti al soggetto, semplicemente, vicino quanto è possibile, e scatta. L’indifferenza per il fare o non fare arte diventa una delle sue forze. Ancora prima di passare da Budapest, dov’è nato (22 ottobre 1913), a Berlino, pensava a sé stesso come parte di una società più che come individuo. E quando iniziò a lavorare era quello stesso giovane libero, ribelle a ogni potere che stravede per sé stesso, con una macchina fotografica nelle mani. Non si scorgono interessi estetici nei suoi scatti anche quando ha tutto l’agio di comporre l’immagine. Un’intenzione più formale può vedersi forse nelle più disimpegnate: nei ritratti di attori e attrici, di artisti – famosi gli scatti a Picasso – quasi che lì si mettesse a far l’artista per gioco. Nei reportage non altrettanto disimpegnati, né di tema bellico – uno su tutti quello sul Giappone, pochi giorni prima del trasferimento fatale in Indocina – predomina il solo soggetto. Che in Giappone, come in parte ai suoi esordi, sono i bambini.
Si trovava in Giappone nell’aprile del 1954 contrattato per due mesi. Il fotografo che copriva le operazioni in Indocina, Howard Sochurek, doveva rientrare negli Stati Uniti. Così pensarono a lui. Gli proposero 2’000 dollari, spese di viaggio, polizza di 25’000 dollari. Più il compenso per ogni foto. ‘Life’ mandò Sochurek da lui per cercare di convincerlo. Riferirà che non gli parve molto convinto, ma accettò. Il 25 maggio i francesi dovevano evacuare e far saltare due fortini nel Vietnam settentrionale, Capa fu invitato a partecipare, con due giornalisti di altre testate. Preceduto dagli sminatori e già ripresa con alcuni scatti l’avanzata del reparto francese, iniziando la salita di un pendìo calpestò una mina.
Talmente vivo
“La casualità lo ha raggiunto – scrisse il suo amico Hemingway – e questa è una sfortuna per chiunque ma specialmente per Capa. Era talmente vivo che uno deve mettercela tutta per pensarlo morto”.
Settantamila negativi tra il 1932 e il ’54, riferisce il fratello Cornell. Come sceglierne due, tre? In un’altra immagine bella e fuori fuoco (Barcellona, gennaio 1939), una donna sta correndo in una piazza. Cerca di raggiungere un rifugio antiaereo, un cane piccolo e nero le corre accanto. Tutto è nebuloso nell’ampio sfondo, le sue gambe appaiono scontornate, il cane è una silhouette nera non meglio delineata. Nell’immagine sua più gioiosa (Hankow – Cina, marzo 1938) bambini cinesi giocano con la neve, raggianti. Alcuni escono per metà dal riquadro, ma se c’è un soggetto che non ha bisogno di posa, né sarebbe possibile, è questo. In un’altra vediamo Steinbeck (Mosca, agosto-settembre 1947) seduto davanti allo specchio. Così vediamo anche lui, Robert Capa, in piedi dietro lo scrittore, chino sull’oculare della macchina, la sigaretta fra le labbra. Ciò che disse e scrisse non resta in mente come i suoi scatti. Ma alcuni giudizi non si dimenticano: “Amate la gente e fateglielo capire”.
© Keystone
Una delle molte scatole contenenti i negativi di fotografie scattate durante la guerra civile spagnola