Il pianeta è ciò che mangiamo

Le nostre scelte alimentari influiscono non solo sulla salute individuale, ma anche sulla società e sull’ambiente a livello locale e globale

Di Ivo Silvestro

Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, allegato a laRegione

Le nostre scelte alimentari influiscono non solo sulla salute individuale, ma anche sulla società e sull’ambiente a livello locale e globale. Nella trama che unisce una tavoletta di cioccolato allo sfruttamento di lavoratori in Africa e un biscotto alla deforestazione nel Sudest asiatico, la sostenibilità si rivela un tema complesso che non può essere ridotto a facili slogan. Quello che abbiamo sono la raccomandazione di mangiare più prodotti di origine vegetale e la consapevolezza che, anche se non esistono soluzioni semplici ed efficaci, qualcosa possiamo comunque fare, per l’umanità e per l’ambiente.

“Siamo quello che mangiamo”. Pochi sanno che questo modo di dire – slogan ideale per ogni iniziativa commerciale dedicata a consumatori consapevoli – ha nobili origini: fu il filosofo tedesco Ludwig Feuerbach a coniarla, in una ampia recensione di un libro del fisiologo Jacob Moleschott. Con quell’affermazione Feuerbach voleva evidenziare una cosa che probabilmente si scontra con la sensibilità di molti dei già citati consumatori consapevoli: il primato degli aspetti materiali su quelli spirituali. Tuttavia, non per negare l’esistenza dell’anima, ma per mostrarne la sostanziale unità con il corpo: proprio perché non c’è una reale differenza tra i due, il cibo è nutrimento sia materiale sia spirituale. L’essere umano è ciò che mangia, ma mangia sia con lo stomaco sia con il cervello.

Interconnessione

Oggi potremmo ampliare la prospettiva di Feuerbach: il pianeta è ciò che gli esseri umani mangiano. Dalla dieta non solo dipende la salute del singolo, ma anche quella della società e degli ecosistemi. È un aspetto che, fino a poco tempo fa, veniva sostanzialmente trascurato. È il caso delle raccomandazioni nutrizionali nazionali che certo non determinano quello che mangiano le persone, ma comunque influenzano le abitudini della popolazione: solo recentemente le famose “piramidi alimentari” tengono conto anche della sostenibilità e ancora adesso, quando si parla ad esempio di “alimenti ricchi di proteine”, raramente si distingue tra la carne di manzo o di pollo, nonostante la seconda produca circa un ottavo dei gas a effetto serra della prima.

Discorso simile per la fama dell’olio di palma: a portare, una decina di anni fa, alla sua scomparsa da molti prodotti non sono state le campagne delle associazioni ambientaliste contro la deforestazione nei Paesi produttori, ma le preoccupazioni per gli effetti sulla salute. Oggi l’Unione europea ha invece approvato una legge che impedirà l’importazione di prodotti provenienti da terreni deforestati – o meglio di quelli che non saranno accompagnati da una dichiarazione di ‘due diligence’, gravando soprattutto sui piccoli produttori.

Proprio questa legge contro la deforestazione ci mostra la complessità del tema: quando si amplia la prospettiva c’è infatti il rischio di perdersi i dettagli. Il che spiega ad esempio perché non c’è una definizione precisa e accettata da tutti di “cibo sostenibile”. Il concetto generale di sostenibilità è chiaro: riuscire a soddisfare i bisogni (in questo caso di una alimentazione sana) per la generazione presente lasciando alle generazioni future la possibilità di fare lo stesso. Il problema è come riuscire, in concreto, a tenere insieme aspetti ambientali, sociali ed economici, favorendo sistemi produttivi che siano realmente sostenibili e non favoriscano gruppi multinazionali come rischiano di fare le imposizioni contro la deforestazione dell’Unione europea. Di fronte a questa complessità che cosa può fare la singola persona?

Accettare la complessità

Il primo passo è accettare questa complessità evitando di prendere per dei principi inoppugnabili quelle che sono massime e raccomandazioni. Prendiamo il “mangiare locale”: l’idea alla base, ridurre le emissioni legate al trasporto, è certamente corretta, ma parliamo solo di una parte dell’impatto della filiera alimentare e diversi studi mostrano che non necessariamente la produzione locale sia ambientalmente migliore di quella d’importazione. E sempre a proposito di trasporti, molto importante è il cosiddetto “ultimo miglio” , ovvero quanto lontano da casa andiamo a fare la spesa. Peraltro è semplicemente impossibile avere una dieta equilibrata con quanto prodotto entro i confini nazionali: secondo i dati della Fao (l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura), nel 2022 in Svizzera sono state prodotte circa 800mila tonnellate di frutta e verdura; sembra tantissimo, ma anche tralasciando quanto di questa produzione viene trasformato o destinato agli animali, sono una novantina di chili a persona l’anno, 250 grammi al giorno, neanche la metà delle cinque porzioni giornaliere raccomandate.


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Non ci sono soluzioni semplici

Il che non significa che preferire alimenti stagionali e locali sia sbagliato: semplicemente non è quella soluzione semplice ed efficace che ci piacerebbe avere, ma che purtroppo non c’è. La Fao raccomanda, per un’alimentazione rispettosa dell’ambiente, una dieta prevalentemente vegetale; il che non significa diventare vegetariani o vegani, ma semplicemente mangiare più frutta, verdura, noci, legumi e cereali integrali e ridurre carne e latticini oltre che i cibi ultraprocessati.

La EAT-Lancet Commission on Food, Planet and Health (www.eatforum.org), una associazione non profit che si impegna per una dieta sostenibile basata su prove scientifiche, insiste inoltre sulla varietà di alimenti – “con più di 30’000 piante commestibili conosciute, abbiamo una vita intera di possibili menù da assaggiare” – e sulla moderazione nelle quantità, anche per evitare sprechi.

Certo, la mancanza di soluzioni semplici ed efficaci può disorientare. Ma sempre in quella recensione che contiene la celebre citazione dalla quale siamo partiti, Feuerbach osserva come le conoscenze scientifiche possano apparire innocue e innocenti, ma abbiano in realtà la forza di cambiare la società più in profondità di tanti discorsi filosofici.

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