Mansplaining. Quando gli uomini spiegano le cose (alle donne)

Il fenomeno antico e paternalistico permea diversi contesti: a porvi l’accento è stata la quarta ondata del femminismo, quello dell’ultima ora

Di Fabiana Testori

Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, allegato a laRegione

Che sia una spiegazione saccente e non richiesta di un uomo verso una donna, oppure l’interruzione costante di una donna mentre parla da parte di un uomo, il Mansplaining è un fenomeno antico che permea diversi contesti, ma è stata la quarta ondata del femminismo, quello dell’ultima ora, a porvi l’accento dando consistenza a un concetto che ha molto a che fare con l’atteggiamento paternalistico. Il termine anglofono – coniato nel 2008 e la cui origine è un saggio della scrittrice Rebecca Solnit – è diventato un hashtag diffuso e parola dell’anno 2010.

Gli uomini spiegano alle donne le cose? È vero che fin da bambine, metà del cielo, la metà femminile, integra consciamente o inconsciamente il fatto di dover apprendere fatti e verità da parte del sesso forte, a priori, l’unico depositario del sapere?

A chiederselo sono le femministe dell’ultima ora, per intenderci, quelle della quarta ondata del movimento, sviluppatasi a partire dagli anni 2010 e contraddistinta dal massiccio impiego dei social network. In essa si ritrova il #MeToo, l’intersezionalità di diversi tipi di discriminazione, l’inclusione maschile e, appunto, il concetto di Mansplaining.

Un atteggiamento paternalistico

Questo neologismo anglofono, nato dalla fusione del sostantivo man (uomo) con il derivato del gerundio del verbo to explain (spiegare), cioè splaining, si riferisce a quell’atteggiamento paternalistico di alcuni uomini (ma non solo) di voler sempre commentare o spiegare alle donne, in maniera semplificata, sicura di sé e soprattutto condiscendente, qualcosa che loro pensano di conoscere meglio, anche se non è così. Capita che la malcapitata, investita dal sermone maschile, sia un’esperta del tema in questione, ma che, “patriarcato oblige”, debba fermarsi ad ascoltare con occhi pieni di ammirazione.

A quale donna non è mai successo di sentirsi impartita la lezioncina, sia stato durante l’infanzia o l’adolescenza, poi negli atenei universitari, sul posto di lavoro o perfino a una cena fra amici? Siamo onesti, in poche alzerebbero la mano.

L’origine e la diffusione del termine Mansplaining rimonta al 2008 con il saggio ‘Men Explain Things to Me: Facts Didn’t Get in Their Way’ della scrittrice e storica statunitense Rebecca Solnit, pubblicato all’epoca su TomDispatch.com.


La scrittrice e storica statunitense Rebecca Solnit

Nello scritto, nato durante una notte insonne e nell’urgenza di sensibilizzare le nuove generazioni di donne al rifiuto di un atteggiamento (tendenzialmente) maschile oramai inaccettabile e obsoleto, la Solnit racconta di un aneddoto vissuto in prima persona, quando, parlando con un uomo a una festa aveva citato un suo recente libro su Eadweard Muybridge (pioniere della fotografia del movimento, NdR). A quel punto, l’uomo l’aveva interrotta, chiedendole se avesse sentito parlare “dell’importantissimo libro” su Muybridge uscito quell’anno, senza nemmeno prendere in considerazione che potesse essere (come, in effetti, era) proprio il libro della sua interlocutrice.

Ogni donna lo sa

Il saggio della Solnit, in cui il comportamento dell’uomo della festa è stato sintetizzato con “ogni donna sa a cosa mi riferisco”, si è diffuso rapidamente in rete. Gli utenti hanno fatto il resto, condensando il pensiero della scrittrice nella parola Mansplaining, diventata in seguito anche un hashtag e indicata dal New York Times fra le parole dell’anno 2010.

A sedici anni dalla sua prima pubblicazione, il testo della scrittrice californiana continua a essere citato, commentato e ripostato online, confermandone l’estrema attualità, oltre a essere stato incluso nella raccolta di saggi brevi dell’autrice ‘Men Explain Things to Me’ (Haymarkets Books, 2014). L’edizione italiana è stata pubblicata con il titolo ‘Gli uomini mi spiegano le cose. Riflessioni sulla sopraffazione maschile’ (Ponte alle Grazie, 2017).

Il Mansplaining è una delle punte del grosso iceberg chiamato patriarcato, sistema sociale in auge fin dal Neolitico che contraddistingue ancora oggi la maggioranza delle società mondiali, Occidente incluso. Si tratta di un sistema vasto e variegato in cui un gruppo, quello maschile, esercita in via primaria il potere su tutto e tutti, donne comprese. E fin qui, niente di nuovo.

Non abbiamo mai sperimentato qualcosa di diverso. Il patriarcato è molte cose e molto differenti: la sovrarappresentazione maschile in politica, in economia, in finanza, nei salotti che contano, nella pretesa che a farsi carico di figli, malati e anziani siano sempre e comunque le donne, nei gruppuscoli di uomini che non si spostano per far passare una donna lungo la strada, nella cieca convinzione che a scansarsi debba essere lei e non loro, nella disparità salariale a competenze uguali, nella disuguaglianza e nell’umiliazione delle donne sul posto di lavoro, nel volerle zittire come bambine appena osano dire qualcosa che non garba al gruppo egemonico in carica da secoli e secoli, fino ad arrivare alla violenza fisica e in alcuni casi alla morte, notizie che fanno sempre più i titoli dei giornali, non perché prima il fenomeno non esistesse, ma perché la violenza su una donna e la sua uccisione, anche solo qualche decennio fa, era considerata cosa di poco conto. Delitto d’onore? Normalità? Scegliete voi.

Si potrebbe continuare a lungo e il Mansplaining fa parte della lista, ma come tante altre voci dell’elenco, oggi, finalmente, si denuncia. Dal secondo dopoguerra in poi l’iceberg si sta lentamente e inesorabilmente squagliando. È un fatto, è giusto prenderne atto. E quando un cambiamento si verifica in modo oramai incontrovertibile, la prima a prenderne coscienza è proprio l’economia, il business. PricewaterhouseCoopers per esempio, rete multinazionale di imprese di servizi professionali, enumera sul suo sito alcuni suggerimenti concreti per contrastare il Mansplaining all’interno dell’azienda. Qualche anno fa, il più grande sindacato svedese per impiegati, Unionen, ha allestito una linea telefonica gratuita per segnalare casi di Mansplaining.

Che sia una spiegazione saccente e non richiesta di un uomo verso una donna, oppure l’interruzione costante di una donna mentre parla da parte di un uomo, tutto passa attraverso lo stesso prisma: la dominazione e la mortificazione dell’interlocutrice a causa del sesso a cui appartiene.

I numeri lo dicono

Nel 2016, durante i dibattiti per la corsa alla presidenza degli Stati Uniti, Hillary Clinton è stata interrotta 51 volte dal suo avversario Donald Trump, mentre lui solo 17.

Nel 2021 l’Università di Stanford ha pubblicato i risultati di una ricerca riguardo al tempo intercorso fra l’inizio di un intervento a un convegno e la prima interruzione.

È emerso che le donne relatrici, durante un seminario di economia della durata di un’ora, all’interno di un dipartimento d’eccellenza degli Stati Uniti, sono state interrotte 6 minuti e 45 secondi prima rispetto ai colleghi maschi e il tipo di commento era tendenzialmente più ostile.

Il gruppo di ricercatori ha considerato 463 interventi effettuati nel corso del 2019, raccogliendo dati fra 33 delle più prestigiose istituzioni americane. Secondo i risultati, gli uomini tendono a interrompere maggiormente chi parla. Inoltre, nel corso dei seminari di ricerca, le donne venivano interrotte molto più spesso, ricevendo il 12% in più di domande rispetto ai colleghi uomini. Già nel 2014, un altro studio condotto dall’Università George Washington, aveva rivelato che gli uomini sono 33% più propensi nell’interrompere una donna piuttosto che un altro uomo e, apparentemente, nel corso di una riunione monopolizzano il 75% del tempo di parola.

L’intervista

Non solo al lavoro

Di Mansplaining abbiamo parlato con la giornalista e scrittrice ginevrina Amanda Castillo, che l’anno scorso ha pubblicato un saggio femminista intitolato ‘Et si les femmes avaient le droit de vieillir comme les hommes?’ (E se le donne avessero il diritto di invecchiare come gli uomini?), Editions de l’Iconoclaste, la quale ci dice sorridendo: “Il Mansplaining? Succede sempre, continuamente. Mi trovavo alla libreria Payot e un tale si è avvicinato pretendendo di spiegarmi il contenuto del mio libro senza averlo letto. Un fenomeno! È pieno di medici donne che si fanno spiegare la vita da uomini che non conoscono assolutamente la medicina. Si tratta di un atteggiamento che si delinea presto, già durante l’infanzia. In generale le bambine cominciano a parlare prima dei bambini maschi, ma una volta che questi ultimi riescono ad articolare qualche frase tolgono immediatamente la parola alle femmine. Questo comportamento, molto ben documentato, prosegue nel corso del tempo e si ritrova in maniera evidente nei contesti professionali quando le donne si ritrovano in posizione di ‘equilibriste’ , cioè nel tentativo di riuscire a proferire parola prima che l’uomo di turno le interrompa, spiegando qualcosa che loro sanno già, e quasi certamente, meglio. Il Mansplaining va comunque oltre la sfera lavorativa. Concretamente ci si riferisce a un problema di credibilità che può sfociare in atteggiamenti diversi, come l’indifferenza rispetto alle lamentele delle donne, oppure la sottovalutazione delle violenze subite dalle donne per mano degli uomini. Senza dubbio lo possiamo definire un fenomeno sistemico e globale”.


Amanda Castillo, autrice ginevrina

Perché oggi il Mansplaining sembra avere più rilevanza rispetto al passato, come è diventato un argomento di denuncia e di discussione?

Il Mansplaining si inserisce a tutti gli effetti nella quarta ondata del movimento femminista. È stato necessario procedere per tappe, prima il diritto di voto, poi il diritto all’aborto, la denuncia delle violenze sessiste e sessuali ecc. Ora si avanza nell’ambito delle disparità. Le donne sono oggi consapevoli di molte più cose rispetto al passato e infatti stiamo assistendo a un risveglio della coscienza femminista decisamente marcato. A questo proposito non posso non menzionare l’apporto dato dai social media, i quali permettono di raggiungere un pubblico di donne e di uomini vastissimo. Lo stesso saggio di Rebecca Solnit, inizialmente, è stato pubblicato unicamente online e solo in un secondo tempo ha avuto forma cartacea.

Come spiega il fatto che il movimento femminista, nonostante i progressi innegabili degli ultimi decenni, sia ancora nella forma della lotta e non in quella della discussione?

Lo spiego in modo molto semplice: gli uomini non vogliono perdere le loro prerogative. Non hanno intenzione di condividere il potere e, soprattutto in questo momento storico, hanno molta paura delle donne. La questione di come ci si qualifichi in quanto uomini è di fondamentale importanza, perché se la definizione di mascolinità resta legata a doppio filo con concetti quali violenza e predazione e improvvisamente le regole del gioco cambiano, promuovendo empatia e dolcezza, molti uomini si trovano smarriti. Ancora oggi, purtroppo, essere un uomo significa prima di tutto non essere una donna e quindi fuggire tutto ciò che è cura e attenzione. C’è ancora molta strada da percorrere.

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